Cos’è e come funziona la grazia
Chi può chiedere che venga cancellata una pena, come si fa, chi decide e un po' di numeri

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso la grazia a cinque persone, cancellando del tutto o parzialmente le pene a cui erano state condannate. Dall’inizio del suo secondo mandato nel 2022 Mattarella ha concesso la grazia a 36 persone su più di 1.500 pratiche esaminate, di cui nove negli ultimi tre mesi (quattro a settembre e cinque ieri, lunedì 22 dicembre).
La grazia è un atto di clemenza individuale con il quale viene condonata in tutto o in parte una pena, oppure viene trasformata in un’altra specie di pena prevista dalla legge (per esempio la reclusione temporanea al posto dell’ergastolo o la multa al posto della reclusione). A differenza dell’amnistia e dell’indulto, che si applicano a una determinata categoria rispettivamente di reati e di condannati, la grazia si riferisce a un singolo soggetto. Presuppone una sentenza irrevocabile di condanna, estingue anche le pene accessorie se la decisione lo dispone esplicitamente e non cancella il reato.
Come ricorda il sito del Quirinale la grazia «è un istituto clemenziale di antichissima origine», strettamente collegato all’istituto della monarchia. Il monarca era la fonte di tutti i poteri e la giustizia era amministrata in suo nome: aveva dunque anche il potere di rivedere tutte quelle sentenze penali che in qualche modo potevano offendere il suo sentimento di giustizia.
«Concedere grazia e commutare le pene» è un potere conferito al capo dello Stato dall’articolo 87 della Costituzione. Nello specifico, il procedimento della concessione della grazia è regolato dall’articolo 681 del codice di procedura penale.
La grazia può essere chiesta dalla persona condannata o da altre a lei vicine, specificate dalla legge: i parenti più stretti, il suo convivente, il suo tutore o curatore oppure il suo avvocato. Nel caso in cui un condannato sia detenuto, il presidente del consiglio di disciplina del penitenziario (il direttore o il vicedirettore, di solito) può fare richiesta della grazia per meriti particolari. La domanda di grazia va presentata al ministro della Giustizia ed è rivolta al presidente della Repubblica. Se il condannato è detenuto la domanda può essere però presentata direttamente anche al magistrato di sorveglianza (il giudice che supervisiona l’esecuzione della pena).
A seguito della domanda viene aperto un procedimento per valutarla: se ne occupa il procuratore generale presso la corte di appello oppure, se il condannato è detenuto, il magistrato di sorveglianza. Il sito del Quirinale spiega che nel procedimento si raccoglie «ogni utile informazione relativa, tra l’altro, alla posizione giuridica del condannato, all’intervenuto perdono delle persone danneggiate dal reato, ai dati conoscitivi forniti dalle Forze di Polizia, alle valutazioni dei responsabili degli Istituti penitenziari».
Infine, chi cura il procedimento esprime il proprio parere e trasmette tutto al ministro della Giustizia, che darà a sua volta un parere favorevole o contrario al procedimento e lo trasmetterà al presidente della Repubblica.
È al presidente della Repubblica che spetta la decisione finale, e fino a non molto tempo fa non era così scontato: lo stabilì la Corte costituzionale con la sentenza numero 200 del 2006, esprimendosi su una questione relativa alla titolarità del potere di grazia presentata l’anno precedente. Il caso riguardava Ovidio Bompressi, condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, avvenuto nel 1972.
L’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi era favorevole alla concessione della grazia mentre il ministro della Giustizia Roberto Castelli era contrario e, concretamente, rifiutava la firma del provvedimento. Ciampi sollevò un conflitto e la Corte costituzionale decise che la firma del provvedimento da parte di Castelli fosse un atto dovuto, anche se al ministro spettava ancora di seguire la fase di istruttoria e di trasmettere il fascicolo al presidente della Repubblica con il proprio parere. La sentenza stabilì dunque che se il presidente non condivide le valutazioni contrarie del ministro, può emanare comunque e direttamente il provvedimento di grazia motivando anche il suo differente parere.
Dopo la sentenza del 2006 l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano decise l’istituzione dell’Ufficio per gli Affari dell’Amministrazione della Giustizia che, tra le sue competenze, ha anche la gestione delle richieste di grazia e commutazione delle pene.
Alla fine del procedimento di valutazione la grazia viene concessa con un decreto presidenziale e il pubblico ministero competente ne cura l’esecuzione, ordinando, per esempio, la liberazione del condannato. È possibile comunque che il presidente della Repubblica conceda la grazia a un condannato senza che nessuno ne faccia richiesta, ma sempre dopo che è stata compiuta l’istruttoria.
In tutta la storia della Repubblica italiana, i presidenti hanno concesso molte migliaia di provvedimenti di grazia e commutazione della pena: circa 42.400. Il presidente che ne ha concessi di più (oltre quindicimila, un terzo del totale) è stato Luigi Einaudi, il primo della storia della Repubblica. Seguono Giovanni Gronchi (terzo presidente della Repubblica dal 1955 al 1962), Giovanni Leone (presidente dal 1971 al 1978) e Sandro Pertini, suo successore: i provvedimenti sono stati, rispettivamente, 7.423, 7.498 e 6.095. Durante il suo primo mandato Mattarella ha concesso la grazia 35 volte, e altre 36 nel secondo, che però è ancora in corso. Il presidente che l’ha concessa meno è stato finora Giorgio Napolitano (23 volte).

Le statistiche sulla grazia concessa dai presidenti della Repubblica, dal sito del Quirinale



