I genitori che non fanno regali di Natale ai figli

È un modo estremo e poco praticabile di gestire un problema diffuso, sia economico che educativo

Due bambini si tengono per mano davanti a un albero di Natale senza regali sotto
Due bambini davanti a un albero di Natale nel 1935 (Harold M. Lambert/Getty Images) 
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La lettera di molti bambini e bambine a Babbo Natale somiglia più a un elenco che a una lettera. Non è così da sempre e non è così per tutte le famiglie, ma quello dei regali natalizi ai bambini è un ambito in cui il consumismo diventa rapidamente più sregolato che altrove. Tra calendari dell’avvento, scherzetti degli elfi, regali di Santa Lucia, di Babbo Natale e della Befana, le spese di molti genitori a Natale finiscono per prolungarsi e superare facilmente e di molto i budget preventivati. Il tutto in un momento in cui i prezzi sono aumentati, e molte famiglie faticano anche con le spese ordinarie.

Decidere di non soddisfare tutte le richieste dei propri figli può essere quindi una decisione dovuta a motivi economici, ma sta diventando sempre di più anche un’esigenza educativa: alcuni genitori, anche potendo, preferirebbero non assecondare tendenze consumistiche sospinte dalle pubblicità e dagli influencer sui social. Negli Stati Uniti un approccio estremo alla questione, recentemente descritto dalla giornalista Emi Nietfeld sulla rivista The Cut, è quello dei genitori che scelgono di non fare alcun regalo di Natale ai propri figli.

È una tendenza audace e minoritaria, criticata da molte persone perché riguarda più che altro genitori benestanti. La critica principale infatti riguarda il rischio di incoerenza, se poi ogni altro desiderio dei figli nel resto dell’anno viene esaudito senza tanti pensieri. «Uno spazio vuoto sotto l’albero di Natale è il lusso per eccellenza, perché implica un’abbondanza tale che ai tuoi bambini non mancherà nulla», scrive Nietfeld. Per la maggior parte dei genitori poi decidere da un giorno all’altro di abolire i regali di Natale è una decisione impraticabile, in un mondo in cui questa tradizione è così istituzionalizzata.

Senza arrivare a questo estremo, c’è però comunque un ampio gruppo di genitori «minimalisti» che si sforza di trovare un difficile equilibrio tra il desiderio di essere generosi con i figli a Natale, senza sperperare una fortuna, e quello di educarli a essere grati di ciò che hanno e a dare valore alle cose. Molti genitori ci provano condividendo la lista con nonni e altri parenti o amici. Lo fanno per contenere le spese familiari, ma anche per dare indicazioni sui regali e limitare così il disordine in camerette che di anno in anno si riempiono.

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In generale, secondo Nietfeld, sia l’approccio degli “anti-regalisti” sia le critiche che questo modello riceve mostrano le pressioni enormi a cui sono sottoposti oggi i genitori di fronte ad aspettative contrastanti e spesso impossibili da soddisfare. Devono provvedere ai figli, ma trascorrere tempo con loro; devono accontentarli, ma non viziarli; devono proteggerli da smartphone e social, ma evitare che diventino degli emarginati.

Anche se certe soluzioni estreme al problema di fare i regali di Natale ai figli sembrano tendenze di una piccola nicchia americana, le questioni che sollevano riguardano molti paesi occidentali. Anthony Graesch, professore di antropologia al Connecticut College, ha detto a The Cut che i genitori di oggi nelle famiglie con doppio reddito trascorrono così poco tempo con i figli durante la settimana, e si sentono così in colpa per questo motivo, che «acquistare giocattoli o altri beni pensati per i bambini diventa un modo accessibile per compensare». Questo comportamento attiva però un circolo vizioso, perché spendere di più significa dover guadagnare di più.

Da questo punto di vista non sorprende che gli anti-regalisti più convinti sui social media siano in effetti genitori che trascorrono tutto il giorno con i loro figli, scrive Nietfeld. Sono persone che possono permetterselo e che non sentono quindi il bisogno di compensare la loro assenza facendo regali. Il loro approccio è però probabilmente destinato a fallire perché, in gran parte dei casi, si basa comunque su un’illusione: credere che i figli «non imploreranno per un altro Labubu» perché basta loro la presenza dei genitori.

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Di quanto sia irrealistica questa aspirazione ha scritto anche la giornalista Rebecca Onion su Slate, affermando che da un certo momento della crescita in poi tutti i bambini svilupperanno tendenze consumistiche, qualunque cosa facciano o non facciano i loro genitori. È inevitabile che sia così perché, per crescere figli emotivamente e psicologicamente sani, serve in una certa misura adattarsi anche alle norme sociali, e se il consumismo ne fa parte è impossibile tenerlo fuori.

Onion ha scritto di essere stata una mamma minimalista, fissata con l’idea che la figlia avesse pochissimi giocattoli. Eppure tutto questo non ha impedito che la figlia li desideri come ogni sua coetanea a scuola, ora che ha otto anni. Anche se non ha alcun accesso a Internet autorizzato, la figlia ha anche cominciato insieme alle sue amiche a imitare un’influencer che spacchetta regali e sorprese.

«Prima che i tuoi figli abbiano 5 o 6 anni, sei in un periodo ideale per seguire influencer sull’essere genitori, leggere libri sulla genitorialità e costruire castelli in aria», ha scritto Onion, dicendo che anche lei fino a un certo punto era stata bravissima «a fare piani draconiani su come tenere il mondo fuori da casa». Ma appena avranno l’opportunità di frequentare dei coetanei e di conoscere altri stili di vita, i bambini cominceranno a condividere con loro gusti e desideri.

Certo, i genitori possono continuare a fare i guardiani anche dopo, a mettersi tra i figli e il mondo, a vivere scrivendo email indignate alla scuola mentre affrontano «la tempesta di desideri oltraggiosi rivolti da un bambino che vive in un mondo che ha altri messaggi più allettanti di “Sento che non fa bene allo spirito avere troppi giocattoli”». Ma, conclude Onion rivolgendosi ai genitori, meglio non vivere come un fallimento il momento in cui, presto o tardi, si scopre che i centri del piacere del proprio figlio o della propria figlia funzionano come quelli di tutti gli altri.

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