Come James Cameron ha fatto “Avatar 3”

E perché si arrabbia quando si dice che è “fatto dai computer”

(@Disney)
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Sul set di Avatar 3 – Fuoco e cenere non c’era quasi nulla se non gli attori. Per girare una delle molte scene che coinvolgono la razza aliena Na’vi sul pianeta Pandora non sono state usate scenografie, né costumi o trucco. Gli unici elementi fisici, oltre agli attori, erano alcuni oggetti di scena, come un bastone, un frammento di astronave, un tronco d’albero finto o una struttura che simula una creatura digitale, usati per appoggiarsi, salirci sopra o come punti di riferimento.

In questo ambiente James Cameron, regista, sceneggiatore e ideatore del progetto, sostiene di aver girato Avatar 2 e Avatar 3 insieme, per diciotto mesi, quando solitamente per un film ne servono due o tre. Per questo si arrabbia moltissimo quando dei suoi film si dice che sono «fatti dai computer».

In occasione dell’uscita mondiale del terzo film della serie, questa settimana, Cameron ha parlato quasi esclusivamente di questo. L’associazione sempre più frequente tra immagini realizzate al computer e immagini generate dall’intelligenza artificiale lo ha reso necessario, dice. Fin dal primo Avatar infatti, nel 2009, il processo di produzione di questi film è stato l’opposto dell’intelligenza artificiale: un lungo e minuzioso lavoro umano, che utilizza il computer come strumento. Al punto che Cameron ha addirittura girato un documentario in due parti su come ha fatto questi film, pubblicato su Disney+.

L’idea originale di Avatar era di farne cinque film, ma l’impresa è diventata così imponente che non è chiaro se si faranno tutti: i costi sono talmente elevati che la produzione di ogni capitolo dipende dal successo commerciale del precedente. Avatar è il film con il maggiore incasso nella storia del cinema, e Avatar 2 – La via dell’acqua è terzo in quella classifica. È questo il tipo di ritorno economico necessario per far approvare un altro episodio, perché a ciascun film lavorano molte più persone del normale, per un tempo molto più lungo. Avatar 2 è costato 460 milioni di dollari e Avatar 3 400 milioni, e questo pur avendoli fatti insieme per risparmiare. Una parte consistente di questa squadra non lavora al film direttamente, ma è impiegata nella ricerca e sviluppo, ovvero nella creazione di tecnologie che non esistono, per realizzare cose mai fatte prima su un set o fatte in maniera del tutto inedita.

Una giornata di lavoro sul set di Avatar per certi versi ricorda delle prove teatrali. Gli unici attori in costume sono quelli che interpretano gli umani, decisi a conquistare Pandora. Chi invece interpreta i veri protagonisti della storia, i Na’vi, una specie aliena che difende il pianeta, indossa una tuta nera con alcune sezioni colorate e porta un casco da cui fuoriescono dei cavi.

Al casco è collegato un braccetto di plastica che regge due microcamere grandi quanto una GoPro, posizionate a pochi centimetri dal volto per riprenderlo da vicino. Sul viso sono applicati numerosi sensori che registrano i movimenti dei muscoli facciali. Si recita così anche quando, come succede nel secondo film, i personaggi sono in acqua. Gli attori principali (Sam Worthington, Kate Winslet e Zoë Saldaña) sono stati immersi in enormi vasche per mesi, con tutta questa attrezzatura addosso.

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La tuta cattura i movimenti muscolari dell’intero corpo, il casco regge i cavi che trasmettono i dati a un computer che li registra, le videocamere riprendono i sensori sul volto. Questo sistema riesce a registrare con una precisione senza pari la performance degli attori, cioè il complesso della loro recitazione corporea ed espressiva. È la tecnologia chiamata motion capture (cattura del movimento) e non l’ha inventata Cameron: esiste, nella forma attuale, almeno dal 2001, quando fu usata per attribuire i movimenti e le espressioni dell’attore Andy Serkis al personaggio di Gollum nel Signore degli Anelli.

Cameron però ne ha sviluppato una versione così avanzata che sembra un’altra cosa. Su YouTube si trovano molti video che analizzano al rallentatore le microespressioni e i movimenti dei muscoli facciali dei personaggi digitali: è proprio questo livello di dettaglio a generare l’impressione di realismo.

Gli attori quindi si muovono liberamente in quel set vuoto dalle pareti blu (in modo che per i computer sia facile distinguerli rispetto allo sfondo) e possono improvvisare in base alla scena. A differenza di qualsiasi altro film, in motion capture o meno, James Cameron lavora esclusivamente con gli attori. Non deve sistemare la macchina da presa, non si occupa degli sfondi, né (troppo) delle luci, né di comparse, né della scenografia. I sensori registrano anche la posizione spaziale degli attori, così che la scena includa i movimenti nell’ambiente. Cameron potrà decidere in un secondo momento da quale punto di vista “guardare” la scena, muovendo una macchina virtuale come in un videogioco o in un film d’animazione Pixar.

Tutto questo, che in certi casi include anche soluzioni di illuminazione o movimenti di macchina specifici, Cameron lo chiama template. Quando lo ha registrato e ritiene che la scena sia venuta correttamente, passa il set di dati digitali a Weta, la società che si occupa della creazione del mondo digitale e dei personaggi, affinché quello che è stato interpretato in una stanza blu diventi ciò che accade realmente su Pandora.

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Tra le molte cose inventate e brevettate da Cameron c’è anche un sistema di videocamere virtuali che mostrano in tempo reale una versione provvisoria ma affidabile della scena finale, cioè completa degli effetti digitali, degli sfondi e dei personaggi di finzione. Gli attori possono così vedere l’ambiente in cui si muovono o le creature con cui interagiscono, e modificare la propria recitazione per il ciak successivo. È per questo che Cameron ha detto: «Mi fa impazzire che la gente dica che Sigourney Weaver ha doppiato il personaggio di Kiri. Sigourney ha lavorato per diciotto mesi a questi due film!».

Già nel 2009 il primo Avatar fu realizzato più o meno in questo modo, sebbene con tecniche più rudimentali che all’epoca erano comunque all’avanguardia. Se è trascorso oltre un decennio tra il primo e i due film successivi (girati insieme) è perché, secondo Cameron, serviva quel tempo per preparare le riprese, non solo tecnologicamente. L’obiettivo è convincere gli spettatori che un pianeta alieno immaginario sia realistico e credibile, più di qualsiasi altro film di fantasia.

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Una parte del team ha lavorato per circa dieci anni allo studio delle specie cetacee del pianeta Pandora che compaiono nel secondo film. È stata sviluppata una genealogia di questi animali, immaginandone in modo realistico e scientifico l’evoluzione e creando movimenti e caratteristiche specifiche per ciascuna specie, suddivisa in sottospecie coerenti con le condizioni del pianeta. Lo stesso è stato fatto per la flora, i movimenti muscolari degli animali e la loro alimentazione. L’idea è che quanto più quel mondo sarà coerente, tanto più sembrerà vero. Quando si vede una barca cacciare balene sul mare di Pandora, i movimenti ad alta velocità sulle onde e le oscillazioni non sono casuali o simulate: sono quelle di una vera baleniera che va a quella velocità, che Cameron ha catturato facendo il motion capture di una nave. Così anche l’impatto delle onde è ricreato in modo realistico.

Cameron ha anche messo a punto con un’altra squadra un sistema di sua proprietà per girare a un numero elevato di fotogrammi al secondo, superiore ai consueti 24 o 30, senza incorrere nell’effetto “televisivo” di film come Gemini Man di Ang Lee o Lo Hobbit di Peter Jackson. Ha inventato un sistema per il motion capture subacqueo e uno, totalmente analogico, per girare in formato 3D nativo (non ricreato al computer, ma ottenuto direttamente sul set) anche in primissimo piano.

Il 3D infatti ha sempre avuto difficoltà con i primi piani, perché se lo si realizza analogicamente, cioè con due obiettivi che simulano gli occhi umani, la loro distanza deve essere calibrata in base alla distanza del soggetto. Questa calibrazione, un tempo fatta manualmente, è stata automatizzata grazie a un sistema ideato da Cameron che allontana e avvicina gli obiettivi. Ma aveva un limite: se il soggetto è troppo vicino, gli obiettivi dovrebbero praticamente sovrapporsi. È la ragione per cui, se avviciniamo troppo un oggetto agli occhi, lo vediamo doppio. Per ovviare a questo problema, Cameron ha ideato un sistema di specchi che sovrappone le immagini in fase di ripresa, mantenendo l’effetto 3D.

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Un’altra parte della squadra ha invece sviluppato nuove tecnologie e software per aumentare il realismo delle creature immaginarie, migliorando per esempio la resa in tempo reale delle superfici, a partire dalla pelle. Gli alieni di Avatar, se confrontati con quelli di Avatar 3, sembrano avere la pelle liscia e lucida, mentre ora appare ruvida e realistica. Per il secondo film poi un’enorme quantità di studio e tecnologia è stata dedicata alla resa dell’acqua. Per il terzo, lo stesso lavoro è stato fatto con il fuoco: le fiamme, i lapilli e la luce particolare che generano. È un tipo di ricerca che a Hollywood si fa per ogni blockbuster, ma non per dieci anni e senza dover inventare tecnologie nuove.