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  • Mercoledì 17 dicembre 2025

Un progetto contro la solitudine che funziona straordinariamente bene

Mette insieme anziani e giovani rifugiati, in un condominio svedese che non assomiglia per nulla a un ospizio o a un centro di accoglienza

di Viola Stefanello

(Viola Stefanello/il Post)
(Viola Stefanello/il Post)
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Quando in Italia pensiamo a una residenza per anziani o a una comunità per persone con vite complicate alle proprie spalle, è facile immaginare spazi spogli e simili a ospedali: lunghi corridoi, stanze identiche, sterili luci al neon. Luoghi frugali, insomma, impersonali e un po’ deprimenti, dove la funzionalità prevale sul comfort e gli spazi comuni sono ridotti ai minimi termini. E in cui è facile che le persone al suo interno si sentano sole, e isolate dal resto della società.

A Helsingborg, una piccola città del sud della Svezia, esiste un posto che smentisce ogni stereotipo di questo tipo. È curato in ogni dettaglio, emana calore umano. Soprattutto, funziona: nessuna persona che ci vive è scivolata ai margini della società.

Una delle cucine comuni di SällBo (Viola Stefanello/il Post)

Il posto si chiama SällBo – dall’unione di sällskap, che in svedese vuol dire “compagnia”, e bo, “casa” – ed è un progetto pubblico che dal 2019 ospita nello stesso condominio anziani a rischio di isolamento e giovani migranti arrivati da minorenni senza parenti o amici. Due categorie di persone che rischiano particolarmente di soffrire la solitudine, soprattutto in una società un po’ chiusa come quella svedese.

SällBo è gestita da Helsingborgshem, società immobiliare senza scopo di lucro finanziata dal consiglio comunale locale. È nata da una necessità pratica: nel 2019 la cittadina, una delle prime che si incontrano quando si attraversa il confine dalla Danimarca, ospitava centinaia di minori stranieri non accompagnati. Molti di loro erano ospitati da anni nell’edificio che oggi si chiama SällBo, ma c’era stato qualche problema: i ragazzi erano lasciati a sè stessi, si annoiavano, fumavano facendo scattare l’allarme antincendio anche nel cuore della notte. Il resto degli abitanti del quartiere, in larga parte anziani, sostenevano che dal loro arrivo si sentissero meno sicuri.

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Prima che arrivassero questi ragazzi Helsingborgshem pensava di restaurare l’edificio, risalente agli anni Settanta, per farci una residenza pubblica per anziani. Messa di fronte alla questione, la società ha incaricato una delle sue dipendenti, Dragana Curovic, di trovare il modo di far convivere sia i ragazzi rifugiati – maggiorenni e con permesso di soggiorno validi – che gli anziani. L’esperimento doveva durare due anni: già nel 2021, però, è stato rinnovato a tempo indeterminato.

La considerazione da cui è partita Curovic, prima ancora che pensare agli spazi, è che il condominio non dovesse diventare una specie di ghetto: «fin da subito ci siamo resi conto che avevamo bisogno di un terzo gruppo di persone, che agisse un po’ da collante». Sia fra gli ospiti stessi, sia fra gli ospiti e il resto della società svedese.

Due abitanti di SällBo fanno un puzzle in una stanza comune (Viola Stefanello/il Post)

Dei 51 appartamenti del condominio, 31 sono abitati da persone over 65. 10 sono riservati a giovani stranieri, soprattutto afghani. I restanti 10 sono abitati da giovani non necessariamente svedesi da molte generazioni, ma che siano «ben integrati nella società locale», dice Curovic. «Non è necessario che siano svedesi da generazioni, ma è fondamentale che abbiano famiglie stabili, amici, una buona vita scolastica, e che conoscano perfettamente la lingua e il funzionamento del sistema svedese».

Dal 2019 a oggi per SällBo sono passate circa 130 persone. Ognuna è stata selezionata da Curovic insieme a  Sonja Håkansson, l’unica altra persona a lavorare full time sul progetto. Le due si sono prefissate di scegliere persone «tutte diverse tra loro», spiega Curovic, «con personalità e interessi diversi, ma anche diversa estrazione economica ed educativa, diversi orientamenti sessuali e anche diversi valori», in modo che l’esperimento di integrazione sia più completo possibile.

Dragana Curovic nella biblioteca comune di SällBo (Viola Stefanello/il Post)

A garantire un amalgama fra questi tre gruppi contribuisce il fatto che gli appartamenti si assomiglino molto tra loro. Tutti abitano lo stesso tipo di bilocale con soggiorno-cucina, camera, bagno e un terrazzo piuttosto ampio: costano tra i 425 e i 540 euro al mese, molto meno rispetto al mercato privato di Helsingborg. Elettricità, acqua, riscaldamento e uno spazio in cantina sono inclusi nell’affitto.

Ma uno degli elementi che contraddistinguono SällBo e che hanno contribuito al suo successo è la cura degli spazi comuni. Il condominio ha un ampio giardino e molte terrazze ma per il resto, da fuori, sembra piuttosto spoglio e grigio. Nelle aree comuni, però, tutti i dettagli sono stati pensati per dare la sensazione di trovarsi in uno spazio accogliente.

Le pareti sono state dipinte di giallo, perché secondo vari studi migliorano l’umore ed è un colore facile da distinguere per chi soffre di problemi di vista legati all’età. I mobili e le decorazioni sono stati portati dai residenti e messi a disposizione di tutti: il pianoforte che sta nel grande salotto al piano terra, i tanti DVD nella stanza per il cineforum, i libri gestiti e catalogati da una delle anziane residenti, ex bibliotecaria.

Di spazi del genere SällBo è piena: su ognuno dei quattro piani c’è una grande cucina comune e una “stanza degli hobby”. Una è diventata uno studio artistico con cavalletti e pennelli: una residente che insegnava arte tiene corsi di pittura per i giovani. Su un terrazzo comune c’è un piccolo orto. A inizio dicembre, sui piani di lavoro di una cucina, qualcuno ha lasciato libri di ricette di dolci natalizi in vista della festa del 23 dicembre, a cui tutti sono invitati.

Il principale salotto comune di SällBo (Viola Stefanello/il Post)

Così, in un giorno infrasettimanale qualunque negli spazi comuni è possibile trovare ragazzi che lavorano al computer, anziani che fanno ginnastica, signore che lavorano insieme al completamento di grandi puzzle. Anne-Kristin Anderssen, 73 anni, una delle prime residenti, che condivide un appartamento col marito di 92 anni, lavora a un albo di ricordi nella cucina del secondo piano. «Più stiamo qui, e più la nostra vita migliora», dice. «I vicini sono persone deliziose». Quando il marito ha compiuto 90 anni nel condominio si è tenuta una festa con decine di invitati e una banda dal vivo.

Anderssen non sa dire se si sarebbe sentita più isolata altrove, ma molti anziani della zona hanno raccontato a Curovic di sentirsi molto soli, anche con figli e nipoti nelle vicinanze. Il punto di forza di un esperimento come quello di SällBo è proprio che porta i vari residenti a venirsi incontro, aiutandosi a colmare reciprocamente alcune lacune. I ragazzi migranti hanno perso le figure di riferimento adulte che avevano nel paese d’origine, non hanno nessuno che li introduca alla società svedese e spesso soffrono per i pregiudizi razzisti delle persone che li circondano.

Anne-Kristin Anderssen e il marito nel loro appartamento (Viola Stefanello/il Post)

Gli anziani, invece, spesso perdono buona parte dei propri legami sociali quotidiani man mano che i figli crescono e si trasferiscono, vanno in pensione o sopravvivono ai propri affetti, e faticano a partecipare attivamente alla vita sociale per via di problemi di salute cronici. Spesso, poi, sono più spaventati degli altri da un mondo che cambia in fretta e che sembra un po’ impazzito, per via dei cambiamenti tecnologici e delle notizie sempre più spaesanti che ricevono (a volte, banalmente, perché sono false: le persone anziane sono anche le più vulnerabili alla pessima informazione).

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Sono bisogni che si incastrano, se accompagnati adeguatamente. «Gli anziani possono aiutare a spiegare la storia locale, i valori, il contesto socioeconomico in cui i ragazzi si sono ritrovati da un giorno all’altro», racconta Curovic. I giovani invece possono ricambiare con le loro competenze tecnologiche «e la capacità di distinguere quel che è vero e quel che è falso» fra le notizie di ogni giorno.

Fra le residenti più longeve c’è Hannah Ahmadi Holmqvist. Si è trasferita a SällBo quando aveva 22 anni, nel 2020. Prima aveva vissuto con i suoi genitori a Helsingborg, per risparmiare mentre andava all’università. Poi aveva scoperto il progetto e pensato che fosse l’occasione giusta per uscire di casa. Tra feste, barbecue nel giardino e tè del pomeriggio si è innamorata di un ragazzo straniero poco più giovane di lei. Oggi i due sono sposati e hanno una figlia, una delle varie SällBo baby nate da allora.

Hannah Ahmadi Holmqvist nella stanza di SällBo adibita a sala giochi per i bambini (Viola Stefanello/il Post)

«Quando ho avuto la bambina è stato veramente prezioso sapere che in qualsiasi momento potevo uscire dall’appartamento e parlare con altri esseri umani adulti, se ne sentivo il bisogno», racconta. Le giovani madri sono un altro dei segmenti della popolazione che più rischia l’isolamento sociale. Ad Hannah, invece, basta pubblicare un post nel gruppo Facebook dei residenti avvisando che sarà in cucina un’ora dopo, pronta a fare il caffè per chiunque si troverà nei paraggi. «L’unico difetto di questo posto è che gli appartamenti non sono abbastanza grandi per poter mettere su famiglia, e quindi a breve ce ne dovremo andare», spiega. «Ma l’asilo della bambina è a cinque minuti da qui, quindi passeremo spesso a salutare».

Di storie così SällBo è pieno. Durante la pandemia i ragazzi hanno insegnato agli anziani come usare Zoom; gli ex professori in pensione hanno aiutato i ragazzi con gli studi a distanza, e oggi un’ex professoressa d’inglese tiene corsi di lingua. Un residente anziano ha insegnato a un ragazzo afghano a guidare. Altri hanno imparato a tenere in vita le piante, giocare a canasta, cucire, suonare il pianoforte. Tra giovani e anziani sono nate amicizie, ma anche gelosie e tensioni. Il compito di intercettarle e appianarle è di Håkansson, il cui lavoro principale è di mantenere l’armonia tra chi vive nel condominio.

Le due raccontano che nonostante le vite molto diverse dei residenti – che hanno estrazioni, orientamenti sessuali e posizioni politiche a volte anche molto differenti – alla fine è sempre prevalsa una certa coesione. «Si tengono d’occhio a vicenda, anche perché si vedono ogni giorno», dice Håkansson. Può sembrare una cosa da poco, ma a volte diventa una questione di vita o di morte.

Qualche tempo fa una residente anziana non si è presentata alla partita a carte che aveva in programma con alcuni vicini. «Dopo un po’ alcuni si sono preoccupati e sono andati a cercarla: hanno bussato ma non ha risposto nessuno. Quindi sono andati sul retro, dato che lei viveva al piano terra, e si sono resi conto che c’era una porta leggermente aperta. Sono entrati e l’hanno trovata priva di sensi», racconta. «I medici dell’ambulanza hanno detto che se fossero arrivati pochi minuti dopo probabilmente non sarebbe sopravvissuta».

Il giardino di SällBo e qualche edificio circostante (Viola Stefanello/il Post)

SällBo è un esperimento unico nel suo genere, ma negli ultimi anni in giro per il mondo è emerso qualche altro progetto che ha finalità simili. A Deventer, nei Paesi Bassi, c’è una casa di cura che offre alloggio gratuito a sei studenti universitari in cambio di almeno trenta ore al mese trascorse con altri residenti anziani. In tre diverse città dell’Oregon, negli Stati Uniti sono state aperte delle comunità che mettono insieme famiglie che accolgono bambini orfani e appartamenti per gli anziani, con l’obiettivo di creare delle reti di cura reciproca e ridurre l’isolamento sociale.

Varie altre cittadine svedesi hanno provato a replicare, in parte o integralmente, l’esperimento di SällBo, e altre stanno lavorando per farlo. Curovic spera che ci riescano, ma teme che sarà difficile: «c’erano un sacco di variabili diverse che, nel nostro caso, hanno contribuito a far funzionare il progetto tanto bene. Abbiamo avuto una direzione e un consiglio di amministrazione molto coraggiosi, che ci hanno dato totale libertà nell’adattare il progetto in base alle esigenze che abbiamo osservato», spiega.

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