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  • Martedì 16 dicembre 2025

Buoni motivi per abolire il Natale

Lo spreco di cibo, l'inquinamento, il consumismo e altri raccontati nel numero di “Cose spiegate bene” sul Natale

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A Natale tutti insieme è l’ottavo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post che dedica ogni numero a spiegare bene un tema diverso. È uscito a dicembre di due anni fa ma, proprio come albero e lucine, può essere tirato giù dallo scaffale ogni anno o regalato a una persona che non ce l’aveva, per ripassare o scoprire perché ci si baci sotto al vischio, da dove arrivino le palle di vetro con dentro la neve o per capire il finale di Una poltrona per due, finalmente.

Qui di seguito trovate un estratto del capitolo più polemico “Contro il Natale”, su tutti i motivi per cui il Natale andrebbe abolito, dallo spreco di cibo all’impatto sull’ambiente, dal peso psicologico delle feste, fino a uno studio secondo cui, potendo scegliere, nessuno si sarebbe comprato i regali che riceve (il che ci riporta, come ogni anno, a dover citare almeno di passaggio la mozione Flanagin). A Natale tutti insieme si può ordinare sul sito del Post (con spedizione gratuita e ordini entro il 17 dicembre) o in tutte le librerie online e digitali.

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Ci sono, al di là dei capricci e borbottii che sono diventati parte a loro volta della tradizione, anche più sostanziose ragioni per criticare il Natale. Più di uno studio ha rivelato come durante le festività aumentino sprechi, stress, malattie, mortalità, inquinamento. Secondo una stima pubblicata da Ener2crowd, piattaforma italiana di investimenti nelle energie rinnovabili, e incrociando i dati dell’osservatorio sugli sprechi Waste watcher, durante le feste natalizie, in Italia, il 42 per cento dei cibi finisce nella spazzatura, otto volte di più rispetto alla media annua del cinque per cento.

Si buttano via soprattutto frutta e verdura, ma anche pane, latticini e carne. Messo insieme, il cibo comprato e non consumato peserebbe circa cinquecentomila tonnellate. Ma anche ciò che non si spreca ha conseguenze dannose. A Natale si consuma di più, e questo comporta un aumento dell’inquinamento. Già nel 2007 i ricercatori dello Stockholm environment institute, nello studio «The Carbon Cost of Christmas», avevano calcolato che il consumismo natalizio (cibo, viaggi, illuminazione, regali) in soli tre giorni ci fa emettere una quantità di gas serra pari al 5,5 per cento del totale annuo. Un altro spreco tipicamente natalizio sarebbero la carta da regalo e gli imballaggi, che aumentano dell’undici per cento circa rispetto alla media annua.

Ma secondo alcuni economisti andrebbero aboliti i regali stessi. In un saggio dal titolo Scroogenomics: Why You Shouldn’t Buy Presents for the Holidays, uscito negli Stati Uniti nel 2009, Joel Waldfogel della Carlson School of Management dell’università del Minnesota ha espresso una tesi che si può sintetizzare così: ogni volta che riceviamo un regalo, è molto probabile che se avessimo potuto spendere direttamente i soldi che sono serviti per acquistarlo avremmo fatto una scelta diversa. Di conseguenza, visto che non siamo soddisfatti, tendiamo ad attribuire a quel dono un valore inferiore rispetto all’effettivo suo costo e possiamo definire quella spesa sproporzionata rispetto al risultato. Secondo Waldfogel la differenza tra il prezzo pagato in origine e il valore percepito da chi riceve il dono è una «perdita secca» per l’intera economia. Ogni acquisto, secondo i suoi calcoli, avrebbe una diminuzione di valore che va dal dieci al trenta per cento, e significherebbe «polverizzare inutilmente 25 miliardi di dollari di risparmio privato, in tutto il pianeta, ogni Natale».

Nel chiamare la sua teoria «Scroogenomics», Waldfogel rievocava il nome di Ebenezer Scrooge, l’avaro finanziere di Londra che odia il Natale nel racconto Canto di Natale scritto da Charles Dickens nel 1843. E come Scrooge e Waldfogel, ostile alle festività invernali è anche David Kyle Johnson, professore associato di filosofia al King’s College in Pennsylvania e autore di un libro del 2015 sui miti sul Natale. Secondo Johnson se le priorità fossero pratiche che aiutano l’economia, l’acquisto di regali di Natale non sarebbe tra queste, rispetto alla possibilità di investire quei soldi in modi più proficui e fertili sia da parte dei loro possessori che delle banche che li gestiscono.

Nella migliore delle ipotesi il Natale non aiuta l’economia affidabilmente, ma concentra i nostri acquisti alla fine dell’anno con qualche sollievo per alcune economie più in difficoltà, facendoci però comprare cose inutili. «Se però le persone non si sentissero in dovere di fare regali a Natale potrebbero cogliere l’occasione per investire o per aumentare i propri risparmi. Certo, le vendite al dettaglio diminuirebbero nell’immediato, ma risparmiare denaro non lo sottrae all’economia. Anzi, grazie ai risparmi dei singoli, le banche avrebbero maggiori possibilità di erogare prestiti a nuove imprese in espansione.» Johnson è poi d’accordo con Waldfogel sui regali: «L’obbligo sociale di acquistare i doni induce molte persone a spendere soldi che in realtà non hanno. È una cosa deleteria, l’indebitamento può creare guadagni a breve termine in alcuni settori, ma alla fine non fa altro che gonfiare la bolla del credito, e più grande diventa la bolla, più è probabile che scoppi».