Le case provvisorie costruite dopo il terremoto del Belice sono provvisorie da quasi 60 anni
E da almeno 30 si sa che sono piene di amianto: eppure si sta facendo qualcosa per bonificarle soltanto ora

Alle persone sfollate dopo il terremoto del Belice, avvenuto quasi 58 anni fa in Sicilia, dissero che le case costruite nel paese di Montevago grazie alle donazioni di tre giornali sarebbero state provvisorie: una soluzione temporanea in attesa di costruirne di nuove, più grandi, solide e definitive. Ma provvisorie lo sono rimaste per decenni e lo sono anche ora, sopravvissute alla maggior parte delle persone accolte all’epoca. Nel mezzo ci sono stati ritardi, rimpalli e molte promesse mancate.
Il Belice è la zona che comprende la valle del fiume che si chiama appunto Belice, nel sud-ovest della Sicilia. Quel terremoto fu il primo molto grave tra quelli avvenuti in Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Le scosse iniziarono a metà giornata del 14 gennaio 1968 e continuarono per diversi giorni: la più grave fu quella delle 3 del mattino del 15 gennaio, di magnitudo 6.5. Un’altra molto potente ci fu il 25 gennaio. Morirono 296 persone, quasi centomila rimasero senza casa.
Montevago fu uno dei paesi più colpiti insieme a Gibellina, Salaparuta, Santa Ninfa, Partanna, Poggioreale e Santa Margherita Belice. Il 90 per cento degli edifici delle località colpite subì danni irreparabili. Il paese di Poggioreale, in cui abitavano circa quattromila persone, fu abbandonato e ricostruito alcuni chilometri più a valle. Anche Gibellina fu abbandonata: le macerie del centro abitato furono trasformate in un grande monumento, il Cretto di Alberto Burri, che le ricoprì di cemento creando una delle opere di land art più grandi al mondo.

Il paese di Gibellina distrutto dal terremoto (Getty Images)

Il cretto di Alberto Burri a Gibellina (Ansa)
Migliaia di persone senza casa furono ospitate in tendopoli allestite dalla Protezione civile, moltissime si spostarono in altre province e regioni, altre ancora si arrangiarono costruendo baracche con il materiale trovato nei centri abitati distrutti. A Montevago furono costruite circa 60 casette grazie ai fondi raccolti da tre giornali – il Tempo, L’Eco di Bergamo e il Piccolo di Trieste – da cui i tre centri abitati presero il nome: ancora oggi vengono chiamati villaggio Tempo, villaggio Bergamo e villaggio Trieste.
Anche se piuttosto piccole, le case erano più accoglienti rispetto alle tendopoli e a tutte le altre soluzioni temporanee, con pareti spesse e un piccolo giardino. Erano case speciali, come speciale fu la loro assegnazione, tirata a sorte tra le persone sfollate. «Furono sorteggiati anche i miei nonni materni. All’epoca, quando andavo da loro, mi sembrava una villa», dice la sindaca di Montevago, Margherita La Rocca Ruvolo. «Poi però per decenni rimase tutto così, immobile».
Le altre persone sfollate trovarono il modo di costruire una nuova casa, altre ancora emigrarono. Chi invece vinse le case provvisorie rimase lì. Con il passare degli anni quasi tutte le persone ospitate all’epoca sono morte e le case sono state vendute o sono passate ai figli e ai nipoti. Ma col tempo emerse un grave problema.
Diversi abitanti si sono ammalati di mesotelioma, un tumore che colpisce la membrana che riveste i polmoni e che può derivare da una prolungata esposizione all’amianto, uno dei materiali utilizzati per realizzare le case provvisorie. La sua cancerogenicità è nota da circa 40 anni, e da almeno 30 anni si sa che quelle case sono piene di amianto. La sindaca dice che a Montevago c’è un tasso di questa malattia più alto proprio per via dell’amianto di quelle case.
Per anni, spiega la sindaca, c’è stato un rimpallo tra Protezione civile nazionale e regionale su chi dovesse fare la bonifica. I soldi sono stati stanziati molte volte, ma utilizzati dalla regione per fare altro, nonostante gli appelli degli abitanti e dei sindaci. Nel 2013 il ministero dell’Ambiente stanziò 10 milioni di euro per rimuovere l’amianto dalle case di tutti i comuni della valle del Belice, ma i lavori non sono mai iniziati.

Il vecchio ambulatorio del paese (Facebook)
Solo negli ultimi mesi il comune è riuscito a trovare un milione e 200mila euro necessari per le prime bonifiche, iniziate nei primi giorni di dicembre in 12 case del villaggio Tempo. Le altre partiranno nelle prossime settimane. Si pensava che l’amianto fosse soprattutto nei tetti, invece dai primi sopralluoghi è stato accertato che ce n’è molto anche nelle pareti.
In una seconda fase della bonifica sarà tolto l’amianto anche dalla chiesa e dal poliambulatorio del villaggio Bergamo, dove c’era lo studio del medico del paese. Serviranno altri 650mila euro. In attesa che tutto il materiale pericoloso sia rimosso, gli abitanti hanno dovuto lasciare le case.



