C’è una gran confusione su cosa vuole fare il governo sulla cannabis light

L'aveva resa illegale pochi mesi fa, poi è sembrato che avesse cambiato idea, e ora ha cambiato idea di nuovo

Uno dei capannoni dell'azienda agricola Giflor, in cui veniva coltivata la cannabis light, ad Arma di Taggia, in Liguria, ad agosto del 2024 (Ansa/Andrea Fasani)
Uno dei capannoni dell'azienda agricola Giflor, in cui veniva coltivata la cannabis light, ad Arma di Taggia, in Liguria, ad agosto del 2024 (Ansa/Andrea Fasani)
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Giovedì in poche ore si è creato un gran caos politico sulla cannabis light, che il governo aveva reso illegale solo pochi mesi fa: si è scoperto che da qualche settimana era stato inserito nella legge di bilancio un emendamento che l’avrebbe resa di nuovo legale, introducendo però un’imposta molto alta sulla vendita; poi, appena se n’è iniziato a discutere, Fratelli d’Italia ha fatto sapere informalmente ai giornali che ritirerà l’emendamento (se n’è occupato Fratelli d’Italia perché l’emendamento era stato proposto da un suo senatore, Matteo Gelmetti).

Questi continui ripensamenti possono sembrare solo una questione politica, ma hanno conseguenze molto concrete: il divieto di vendere e coltivare cannabis light, deciso ad aprile all’interno di un contestato “decreto sicurezza”, aveva creato enormi problemi al settore, mandando in crisi le aziende e causando il licenziamento di molti lavoratori. Ora se possibile la confusione è aumentata ulteriormente.

Il divieto del governo si basa, in modo strumentale, sul principio che la cannabis light sia una sostanza stupefacente. Non è così: la cannabis light è quella che contiene un livello molto basso di THC, il componente psicoattivo comunemente associato all’effetto stupefacente della marijuana, mentre ha maggiori quantità di CBD, principio attivo che provoca un più blando effetto di rilassatezza. In Italia la coltivazione e la vendita erano permesse dal 2016, grazie a un vuoto legislativo della legge 242 del 2 dicembre 2016, che era stata approvata per regolamentare la coltivazione della canapa per fini industriali ma non menzionava esplicitamente il consumo ricreativo, e di fatto lo aveva reso legale.

Anche se era stato presentato alcune settimane fa, l’emendamento che avrebbe di nuovo reso legale la cannabis light era passato molto in sordina e non era stato pubblicizzato dal governo come avviene per altre misure (qualcuno, per la verità, se ne era accorto). Sarebbe stata (e sarebbe, visto che ancora formalmente l’emendamento non è stato ritirato) una decisione clamorosa, dal momento che il governo aveva fatto del divieto alla cannabis light una battaglia politica molto pubblicizzata.

Il ripensamento non era evidentemente il risultato di un cambio d’opinione sul tema, ma più che altro una questione di convenienza politica ed economica: l’emendamento prevedeva infatti di applicare alle vendite di cannabis light un’imposta del 40 per cento, simile a quella in vigore per le sigarette (che è intorno al 50), e dunque con notevoli guadagni per lo Stato.

Appena è venuta fuori la notizia dell’emendamento, diversi esponenti dell’opposizione hanno immediatamente attaccato il governo, facendo notare la grossa contraddizione tra le due decisioni. Il capogruppo del Movimento 5 Stelle in Senato, Stefano Patuanelli, aveva scritto per esempio: «Secondo la destra la cannabis light uccide. Quella tassata al 40% un po’ meno». Dopo poco Fratelli d’Italia ha reso pubblico il ravvedimento, che lascerebbe la situazione com’è ora: con la vendita e il commercio di cannabis light illegali. A questo punto però è difficile considerare la questione del tutto conclusa.

A questa situazione già difficile si aggiunge un’ulteriore complicazione: mercoledì (quindi il giorno prima di tutto questo caos) un giudice di Brindisi ha sollevato un dubbio di costituzionalità sulla norma del decreto sicurezza che aveva reso illegale la cannabis light. Significa che la Corte costituzionale dovrà stabilire se il divieto sia legittimo (il dubbio del giudice aveva proprio a che fare con l’opportunità di vietare la circolazione di una sostanza che non è considerata drogante). I tempi di questa decisione ancora non si conoscono.