È stato trovato l’uomo sospettato di un femminicidio ad Ancona
Lo si cercava da ore, dopo che la moglie era stata trovata morta in casa: lui era già stato denunciato per maltrattamenti

È stato trovato il principale sospettato dell’uccisione di Sadjide Muslija, donna macedone di 49 anni che viveva a Pianello Vallesina, in provincia di Ancona. È il marito Nazif Muslija, 50 anni, che era irreperibile da ore. I carabinieri lo hanno trovato gravemente ferito nei pressi della sua auto, una Smart bianca, a Matelica, in provincia di Macerata. È stato soccorso e non è ancora chiaro se sia stato arrestato, anche se è probabile di sì, dal momento che è indagato per l’omicidio.
Le ricerche di Sadjide Muslija erano iniziate mercoledì 3 dicembre dopo che il suo datore di lavoro, allarmato dal fatto che la donna non si fosse presentata nella ditta di imballaggi nella quale lavorava come operaia, aveva avvertito i carabinieri. All’arrivo nella casa dove Sadjide Muslija viveva, i carabinieri avevano trovato il suo corpo nel letto, con evidenti segni di violenza.
L’ipotesi di chi indaga è che ad averla uccisa sia stato il marito. L’uomo era stato arrestato in flagranza di reato lo scorso aprile dopo un episodio di violenza e minacce contro la donna: contestandole un presunto tradimento, aveva sfondato la porta della camera da letto di lei con un’ascia, poi era andato a casa di quello che pensava fosse l’amante, sfondando anche la sua porta, ma non trovando nessuno. A quel punto era tornato a casa di lei, che nel frattempo si era rifugiata dai vicini, ed era stato fermato dai carabinieri. In quell’occasione la donna l’aveva denunciato, cosa che aveva già fatto a gennaio dopo che l’uomo aveva rotto il parabrezza della sua auto con un’ascia e l’aveva ferita. Per quell’episodio, scrive Il Resto del Carlino, gli era stato contestato il reato di lesioni aggravate, ma non è chiaro il percorso della denuncia né a che punto fosse arrivata.
Dopo le violenze di aprile Nazif Muslija era stato portato in carcere, poi a luglio aveva patteggiato una pena a un anno e dieci mesi. Come previsto dall’articolo 165 comma 5 del codice penale, riformato nel 2019 dal “Codice rosso” (legge per la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), gli era stata concessa la sospensione condizionale della pena, a patto che affrontasse per un anno un percorso di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per reati come maltrattamenti in famiglia, stalking o violenza sessuale.
Il percorso non era però mai iniziato perché la struttura individuata non aveva disponibilità. L’UEPE, l’ufficio esecuzione penale esterna di Ancona, «l’aveva programmato per la prossima primavera. Troppo tardi», ha detto Antonio Gagliardi, l’avvocato che aveva difeso Nazif Muslija nel processo chiuso a luglio. La procuratrice Monica Garulli ha detto al Corriere della Sera che il percorso non era iniziato quando doveva «perché la struttura individuata non aveva disponibilità. Se il soggetto fosse stato preso in carico forse qualcosa sarebbe cambiato. Questa purtroppo è una criticità sulla quale bisogna riflettere. Che però, sia chiaro, nulla toglie alle sue eventuali responsabilità».
Nel frattempo Sadjide Muslija aveva rimesso la querela nei confronti del marito e aveva rinunciato alla causa di separazione che nei mesi precedenti aveva avviato. Non è una cosa inusuale per le donne che subiscono violenza e che hanno avviato un percorso giudiziario.
Chi si occupa di violenza maschile sa che le donne che l’hanno subita molto spesso decidono di ritrattare, di ridimensionare le proprie dichiarazioni iniziali o di rinunciare alla denuncia contro l’autore del reato. Succede talmente di frequente che in ambito giuridico i casi di ritrattazione sono materia di dibattito e questioni di cui si occupano diverse sentenze, emesse da tribunali nazionali e sovranazionali.
– Leggi anche: Il problema della ritrattazione nei casi di violenza di genere
In Italia i dati istituzionali sugli omicidi vengono raccolti dal ministero dell’Interno ogni tre mesi in modo che possano essere scorporati in base al rapporto tra autore e vittima, dando un’idea del fenomeno del femminicidio.
Il rapporto più recente, relativo al periodo che va dal primo gennaio al 30 settembre, dice che sono stati registrati 73 omicidi di donne, che di queste 60 sono state uccise in ambito familiare o affettivo e che 44 sono state uccise dal partner o ex partner. Per le altre, la relazione con la vittima era figlio, padre, amico dei figli, amico, conoscente o altro parente. I numeri dell’Osservatorio nazionale del movimento femminista “Non Una Di Meno”, che registra gli eventi riportati dai media dal 2020, che viene aggiornato l’8 di ogni mese e che sempre più spesso viene citato anche a livello istituzionale, dicono che dall’inizio dell’anno e fino al 22 novembre i femminicidi sono stati 77 e che ci sono stati almeno altri 68 tentati femminicidi riportati nelle cronache locali.
***
Se hai bisogno di aiuto o sostegno qui c’è l’elenco di tutti i numeri telefonici dei centri antiviolenza della rete Di.Re. È anche possibile chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522, gratuito, attivo 24 ore su 24 con un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. In entrambi i casi si riceveranno indicazioni da persone che hanno l’esperienza e la formazione più completa per occuparsi di questa questione. È anche possibile, di fronte a una situazione di emergenza, chiamare i carabinieri o la polizia al 112



