L’India vende capelli a tutto il mondo
È un'industria grande e importante, e c'entrano una lunga tradizione di raccoglitori, la povertà diffusa e le rasature nei templi

Esiste un mercato mondiale dei capelli umani che vale oltre 5 miliardi di euro l’anno e secondo tutte le previsioni è destinato a crescere. La gran parte della materia prima, cioè i capelli, arriva dall’India. L’India esporta oltre l’80 per cento dei capelli venduti sul mercato mondiale, destinati a diventare parrucche o extension, e viene dall’India anche la qualità più ricercata, i “temple remy hair”, i capelli provenienti dai templi.
Vari motivi rendono l’India quasi monopolista nella vendita di capelli umani: ci sono molte persone disposte a venderli; ci sono molte persone disposte a raccoglierli; c’è una tradizione di offerta di capelli ai templi indù; c’è abbondanza di capelli considerati di qualità, belli e resistenti. Intorno a queste produzione e tradizione si è sviluppato un mercato in cui l’India resta esportatrice di materia grezza. Quindi incassa poco, mentre il prodotto finito viene confezionato in Cina, ma anche in Italia.

La raccolta di capelli al Thiruthani Murugan Temple (Allison Joyce/Getty Images)
La domanda mondiale di capelli umani è in continua crescita: i capelli servono per fare parrucche per chi li perde per motivi “naturali” o per trattamenti medici contro il cancro; e servono per le extension, ciocche utilizzate per infoltire o allungare la capigliatura o per creare nuovi look, con fini quasi sempre estetici. Per crearle si usano perlopiù capelli umani, e solo in porzione minore artificiali.

Un’azienda che tratta capelli umani a Chennai, in India (Photo by Allison Joyce/Getty Images)
I capelli sul mercato si dividono principalmente in due categorie: remy e non-remy. I primi sono quelli più pregiati, perché hanno le cuticole intatte e tutte orientate nella stessa direzione, dalla radice alla punta. Le cuticole sono le scaglie sovrapposte che rivestono la superficie di ogni capello e lo proteggono da danni esterni e da perdita di umidità. Semplificando molto, questi capelli vengono tagliati tutti insieme, e poi pettinati, conservati e venduti.
I non-remy, invece, possono essere frutto di un assemblaggio di capelli di provenienza diversa: passano anche questi da vari trattamenti, ma restano di qualità minore. Nella grande maggioranza dei casi, sono capelli ripescati fra gli scarti: nei saloni da parrucchiere, casa per casa, fra i rifiuti e negli scarichi delle docce. Per districarli, pettinarli e renderli utilizzabili perdono strati e cuticole, mentre la direzione radice-punta non è individuabile.
In India esiste una lunga tradizione di raccoglitori di capelli. Da decenni è uno dei molti lavori informali con cui cerca di sostenersi una parte della popolazione, spesso appartenente alle caste più umili. Le caste sono frutto di una rigida divisione sociale sviluppatasi con l’induismo in quasi 3.000 anni. Per secoli hanno condizionato ogni aspetto della vita religiosa e sociale indù; oggi sono formalmente abolite, ma sopravvivono e restano rilevanti in parte della società indiana.

Il taglio di una treccia fra fedeli indù a Allahabad, India (AP Photo/Rajesh Kumar Singh)
Soprattutto nell’India rurale questi raccoglitori mettono insieme i capelli di scarto o pagano donne disposte a tagliarsi ciclicamente quelli che hanno fatto crescere (anche uomini, ma la lunghezza è piuttosto determinante). Quelli esperti riescono a mettere insieme 1-5 chili di capelli in una sola giornata, lavorando anche 12 ore al giorno, ma vengono pagati non più di un dollaro al chilo per il materiale grezzo di bassa qualità. Il più delle volte non basta per sopravvivere ed è solo una delle attività svolte.
Lavori simili occupano tuttora porzioni importanti della popolazione indiana, poco coinvolte nella crescita macroeconomica del paese, che ha creato una piccola porzione di nuovi ricchi ma che non ha migliorato le condizioni economiche della maggioranza. Anche la crescita della classe media è stata numericamente inferiore alle attese.
Il materiale raccolto poi passa di mano in mano molte volte. Ci sono intermediari, grossisti, piccole fabbriche e infine esportatori, che vendono a grandi fabbriche. In alcuni di questi passaggi i capelli vengono divisi per lunghezza e soprattutto districati. È un’operazione che alcune aziende svolgono con macchinari appositi, ma che perlopiù viene affidata manualmente a donne che lavorano in piccole aziende o più spesso da casa, pagate a cottimo (cioè in base alla produzione). Poi vengono ripuliti e “sanificati” con prodotti chimici prima di essere impacchettati per essere venduti all’estero.

Una parte del processo di selezione e lavorazione a Chennai (Photo by Allison Joyce/Getty Images)
I capelli di alta qualità fanno percorsi differenti, e vengono spesso venduti direttamente alle aziende che producono parrucche o extension di alto livello, che effettuano i trattamenti necessari in autonomia. Fra i capelli remy, la qualità più alta è di quelli provenienti dai templi.

Il Venkateshwara Temple a Tirupati (Seshadri Sukumar/ZUMA Press Wire)
Il più grande e conosciuto è il Venkateshwara Temple a Tirupati, nello stato sudorientale dell’Andhra Pradesh, dedicato a una delle forme di Visnù, una delle divinità principali dell’induismo. Qui per tradizione almeno dal 1580 i fedeli si fanno rasare, come segno di devozione, rinuncia o ringraziamento per un desiderio esaudito (la tonsura).
I fedeli che ogni giorno frequentano il tempio sono fra i 50 e i 100mila. I responsabili del tempio dicono che ogni anno 12 milioni di persone vengono rasate e che vengono raccolte tonnellate di capelli. Un tempo finivano all’interno di materassi. Da decenni invece vengono raccolti, lavati, trattati e venduti all’asta. Le aste online del Venkateshwara Temple negli ultimi anni hanno reso una media di 17 milioni di dollari l’anno. I capelli provenienti dai templi possono essere venduti anche a più di 400 dollari al chilo, se lunghi più di 60 centimetri.

Tonsure per uomini indù (AP Photo/ Rajesh Kumar Singh)
I proventi della vendita dei capelli sostengono il tempio, ma anche scuole, ospedali, orfanotrofi e mense gratuite per i fedeli. Ci sono altri templi che procedono allo stesso modo, seppur con numeri minori. I principali sono quasi tutti nel sud dell’India, tanto che i più importanti grossisti di capelli si concentrano a Chennai, una grande città dello stato del Tamil Nadu piuttosto vicina al tempio di Venkateshwara.
La quota maggiore dei capelli indiani finisce fra Cina e Hong Kong, dove ci sono le maggiori industrie di produzioni di parrucche: quelle cinesi coprono il 70 per cento della richiesta mondiale. La produzione è concentrata soprattutto nella città di Xuchang, nello Henan, a est del paese. A Xuchang si produce la metà delle parrucche del mondo e 300mila persone sono impegnate nel settore, che lì ha una tradizione che risale al Sedicesimo secolo.

Un negozio di parrucche e extension a New Delhi (Valerio Clari/Il Post)
I capelli remy finiscono invece in un mercato delle extension di lusso, con varie aziende distribuite anche in tutto il mondo occidentale. Fra le più importanti e dalle maggiori quote di mercato ce n’è anche una italiana, la Great Lengths, fondata a Roma 30 anni fa e oggi con stabilimenti in Toscana e in Austria. Great Lengths dice di usare «capelli etici», provenienti dai templi indiani, «donati volontariamente». I capelli vengono importati in Italia e qui trattati, decolorati e poi ritinti in 90 diverse gradazioni di colore. Vengono quindi venduti a parrucchieri e clienti di fascia molto alta, in vari paesi del mondo.



