Verso la scomparsa degli hobby
La pazienza e la dedizione che richiedono sembrano cose d’altri tempi, ma non è solo questo

Già nel 1997 un articolo del New York Times sosteneva che gli hobby stessero sparendo a causa della diminuzione del tempo libero e della popolarità di altre forme di intrattenimento, come la televisione, e di altre attività, come la palestra. Oggi, ancora di più, la sensazione è che qualsiasi attività fine a se stessa e che richieda una certa dedizione sia diventata per molti incompatibile con una soglia di attenzione ridotta e una vita più frenetica.
Ma non solo. Un fatto che in tempi più recenti potrebbe avere accelerato la scomparsa degli hobby, ha scritto l’Atlantic, è che praticarli è diventato più dispendioso che in passato, specialmente dopo la pandemia, a causa dell’aumento dei costi delle materie prime. Vale per le esche nella pesca sportiva, per le munizioni nel tiro al bersaglio, e in generale per tutti gli strumenti, le attrezzature, i manuali e i materiali di consumo spesso necessari per coltivare un hobby: dal modellismo al golf, dall’uncinetto alla fotografia, dai giochi da tavolo al giardinaggio.
Gli hobby sono insomma diventati, se non un lusso, un’attività meno accessibile che in passato. È un’implicazione rilevante, perché per lungo tempo uno degli effetti positivi indiretti degli hobby era stato proprio la capacità di favorire incontri tra persone diverse, anche per estrazione sociale e per reddito, attraverso una passione condivisa.
Anche solo interagire su un forum online tra appassionati di trenini elettrici, per esempio, è un modo volontario e spontaneo di creare e mantenere una comunità in cui la condivisione di esperienze e informazioni riguardo a quell’hobby è prioritaria, e in cui quindi le differenze socioeconomiche e culturali tra i partecipanti contano poco.

Un motociclista a un raduno di appassionati di motociclette personalizzate a Pattaya, in Thailandia, il 16 febbraio 2019 (Brent Lewin/Getty Images)
Riferendosi alla solidarietà e alla tolleranza che si sviluppano all’interno dei gruppi di questo tipo, il sociologo statunitense Gary Alan Fine parlò nel 2015 di «comunità morbide». Sono contraddistinte da «un’infrastruttura condivisa», culturale ma anche fisica (il campo da golf, la pista da bowling o altro), che aiuta a far sentire le persone parte di qualcosa. E questo succede indipendentemente dal loro livello di competenza, permettendo rapporti che nella vita di tutti i giorni di quelle persone probabilmente sarebbero diversi.
Un’altra ipotesi suggerita per spiegare il declino degli hobby è che il desiderio di primeggiare e la competizione, attitudini peraltro incentivate in anni recenti anche dai social, abbiano reso impopolari attività fatte soltanto per il piacere di farle, senza l’obiettivo di trasformarle in un lavoro né di essere tra i migliori a farle. In teoria è proprio una caratteristica degli hobby, anzi, essere un contrappeso al lavoro.
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«In un’epoca definita dal massimalismo e dalla monetizzazione, è più difficile essere dilettanti. Se siamo bravi in qualcosa, vogliamo impegnarci al massimo e persino guadagnarci», ha scritto Joshua Rothman sul New Yorker. In un certo senso anche gli hobby sono stati cannibalizzati da un orientamento consumistico generale, ha aggiunto. La pubblicità dice alle persone che quelle creative e di successo hanno degli hobby, ma il «menu» da cui scegliere è comunque limitato a hobby socialmente accettati e da cui sia possibile, per chi li promuove, ottenere guadagni.

Un kit di montaggio di un modellino in scala dell’aereo da caccia britannico Hawker Hunter, dell’azienda di aeromodellismo Airfix, fallita nel 2006 e acquisita dall’azienda di trenini elettrici Hornby Railways (Peter Macdiarmid/Getty Images)
Un problema di fondo è che gli hobby richiedono all’hobbista condizioni oggi non sempre garantite: una certa disponibilità di soldi e di tempo libero, che invece sono spesso assorbiti da altre attività, perlopiù di intrattenimento, che tendono a consumarne in abbondanza (dai social alle serie tv). Tra l’altro i soldi servono a permettersi l’acquisto di prodotti – esche, munizioni, colori, obiettivi fotografici o altro – necessari per gli hobby, ma acquistati e utilizzati anche per scopi professionali. E questo fa aumentare i costi, ma induce anche le persone a valutare di trasformare il proprio hobby in un lavoro, dato che le spese per coltivarlo continuano ad aumentare.
Ma il punto, secondo Rothman, è che chi ha un hobby dovrebbe resistere a questa tentazione, «sforzarsi di essere competente ma non professionale, creativo ma non produttivo, ambizioso senza essere ansioso». E gli spazi per esercitare il dilettantismo si sono progressivamente ridotti nel tempo, probabilmente anche per effetto della sovrabbondanza di informazioni e consigli online, che hanno reso superflui i manuali, per lungo tempo il punto di partenza di qualsiasi hobbista.
In una certa misura, conclude Rothman, ciò che rende un’attività un hobby è «come si fa ciò che si fa», più che cosa si fa. È possibile che per alcune persone anche la palestra sia una passione pura, priva di obiettivi: un hobby, insomma. Per tante altre è solo un modo di fare esercizio fisico per essere in buona salute e vivere più a lungo in condizioni fisiche migliori. Tra l’altro le due cose, hobby e salute, non si escludono: diversi studi recenti mostrano anzi che svolgere compiti lenti e manuali, come per esempio lavorare a maglia, produce benefici a lungo termine sulla memoria, sull’attenzione e sulle funzioni motorie.
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