Perché la destra si è presa a cuore la “famiglia nel bosco”
Perché c’è davvero chi rimpiange “quando si stava peggio”, e soprattutto perché così può continuare a prendersela con la magistratura

Nei giorni in cui le trattative sul piano per l’Ucraina erano frenetiche e coinvolgevano tutti i principali leader mondiali, prima di un’importante riunione del G20 in Sudafrica e nel bel mezzo della discussione sulla legge di bilancio, il governo ha individuato un fatto a suo giudizio molto grave su cui spendersi: la decisione del tribunale per i minorenni dell’Aquila di sospendere la responsabilità genitoriale a una coppia che vive nei boschi di Palmoli, nella provincia abruzzese di Chieti, coi loro tre figli. Lo ha fatto per diverse ragioni, una delle quali è legata a tratti anticonsumisti e antimodernisti tipici di certe ideologie conservatrici.
Il primo a intervenire è stato il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, leader della Lega. A lui la vicenda era stata segnalata da alcuni dirigenti locali del partito, tra cui Vincenzo D’Incecco, già all’inizio della scorsa settimana, subito dopo l’ordinanza del tribunale aquilano. Salvini ha preso poi apertamente le difese dei due genitori, criticando con durezza la decisione del giudice, e dicendosi pronto a incontrare la famiglia e a visitare la loro casa.
La presa di posizione della Lega ha trasformato un caso controverso e delicatissimo in un argomento da polemica politica. Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è sentita a quel punto in dovere di dire la sua, accodandosi a Salvini e annunciando di aver chiesto al ministro della Giustizia Carlo Nordio di inviare degli ispettori, una procedura a cui il ministro ricorre quando sospetta che in una procura o un tribunale ci siano cose che non vanno bene, o siano state prese decisioni molto discutibili.
Tra l’altro tutto è avvenuto nei giorni conclusivi di una combattuta campagna elettorale per le regionali in Veneto, in Puglia e in Campania: e questo ha contribuito a esasperare il dibattito e strumentalizzare la vicenda. Fino a mercoledì mattina, i funzionari dell’ispettorato del ministero della Giustizia, secondo quanto riferito dallo staff di Nordio, stavano esaminando i documenti inviati dal tribunale per i minorenni dell’Aquila. Mercoledì Nordio ha detto invece che gli atti da esaminare non sono ancora arrivati. Salvini continua a non escludere di andare a Palmoli, ma finora il viaggio non è in programma. Ci ha però tenuto a rivendicare che l’idea di inviare gli ispettori dimostra che «l’appello della Lega è stato accolto».
Sempre mercoledì, alla Camera, la Lega ha interrogato Nordio sul punto durante il question time. Il ministro ha detto che non ha ancora deciso cosa fare, anche perché un suo intervento diretto, secondo la legge, sarebbe consentito solo in presenza di illeciti o di gravi errori da parte del tribunale per i minorenni. Ha tuttavia lamentato che «dopo anni e anni di bombardamento anche mediatico contro la civiltà dei consumi, contro la modernizzazione della vita, l’industrializzazione, l’eccessivo uso delle fonti di produzione elettriche o addirittura nucleari, poi quando una famiglia decide di vivere pacificamente secondo i criteri di Rousseau a contatto con la natura si debba arrivare a dei provvedimenti così estremi».
Questo posizionamento della destra di governo si spiega un po’ con la tradizionale retorica libertaria di una parte, un po’ con l’antimodernismo di un’altra, e infine con ragioni più legate alla contingenza politica, che in questo caso sono forse quelle più rilevanti.
Il ripudio della società moderna e dell’industrializzazione, l’esaltazione della vita agreste e il rifiuto degli agi e delle comodità offerti dal consumismo sono da sempre componenti strutturali della destra e del pensiero conservatore o reazionario: ed è un pensiero che nella destra italiana, neofascista e non, si è radicalizzato a partire dagli anni Settanta come rifiuto della globalizzazione, venato anche da spinte antiamericane e antioccidentali. Non è un caso che tanti autori cari ai critici del capitalismo, come Henry David Thoreau (autore di Walden ovvero Vita nei boschi), o Jean-Jacques Rousseau (uno dei teorici del mito del buon selvaggio), e in tempi più recenti anche Pier Paolo Pasolini, sono stati apprezzati anche a destra, proprio per questa loro visione estremamente ostile della società industriale e dell’omologazione di massa.
Anche il rifiuto della scuola pubblica statale, che nella vicenda abruzzese ha un suo peso perché i due genitori educavano in proprio i loro figli, è un pensiero che, semplificando molto, si può dire che sia nato a sinistra, spesso come provocazione di intellettuali progressisti (Paul Goodman, Ivan Illich e ancora Pasolini), ma che in un secondo momento sia stato poi riscoperto e adottato, talvolta travisato e mistificato, a destra. Al fondo c’è l’idea che l’educazione scolastica “di Stato” sia una forma di indottrinamento di massa.
Tutte queste teorie sono state un po’ esasperate negli ultimi anni, quando buona parte della propaganda sovranista si è fondata sul ripudio del moderno e sulla rievocazione nostalgica di un ipotetico passato glorioso dell’Italia: prima dell’euro, prima della globalizzazione, prima della concorrenza spietata da parte della Cina. Se volessimo trovare un’immagine emblematica di questo passatismo per cui «si stava meglio quando si stava peggio», si potrebbe forse scegliere quella del telefono a gettoni rievocata con nostalgia da Salvini nel 2019.
Inoltre, c’è il pensiero libertario caro a una certa cultura di destra: l’idea, cioè, che lo Stato non debba intromettersi nelle vicende familiari. Un principio invocato in questo caso un po’ strumentalmente, visto che su altri aspetti della vita sociale (i diritti civili, la liberalizzazione delle droghe illegali) la destra italiana è invece il contrario del libertarismo, e anzi è piuttosto repressiva e proibizionista.
Ma al di là di tutti questi aspetti culturali e ideologici, ci sono le ragioni politiche. E questa vicenda si presta agevolmente alla propaganda della destra per almeno due motivi. Il primo ha a che vedere con l’ormai strutturale conflitto mediatico e politico tra il governo e la magistratura, in vista della campagna per il referendum costituzionale sulla riforma della giustizia.
Qualsiasi caso di inefficienza vera o presunta della magistratura, qualsiasi decisione discutibile di un giudice o di un pubblico ministero, che si tratti dell’omicidio di Garlasco o della “famiglia nel bosco” di Palmoli poco importa, in questi mesi sono stati sfruttati da esponenti di destra per sostenere la necessità di riformare la giustizia, anche ben al di là delle effettive modifiche contenute nella riforma, e dunque di votare “sì” al referendum che ci sarà la prossima primavera. Non a caso, i ripetuti interventi di Salvini sulla faccenda hanno indotto l’Associazione nazionale dei magistrati, l’ANM, a pubblicare un comunicato per stigmatizzare le «strumentalizzazioni di certa politica su ciò che sta succedendo». Nel frattempo, la presidente del tribunale per i minorenni dell’Aquila, Cecilia Angrisano, ha ricevuto insulti e minacce sui social.
Il secondo motivo è che la vicenda di Palmoli permette alla destra di proseguire la sua battaglia contro certi gruppi di persone. Un po’ tutti gli esponenti della Lega e di Fratelli d’Italia che sono intervenuti sulla vicenda hanno insistito sul fatto che se si considera opportuna l’ordinanza del tribunale per la coppia di Palmoli – formata da un uomo inglese e una donna australiana, entrambi bianchi – allora bisognerebbe procedere nello stesso senso con i campi rom. Lo aveva detto già Salvini e l’ha ripetuto il deputato leghista Rossano Sasso mercoledì alla Camera, adottando diversi stereotipi razzisti. Sasso ha opposto i bambini di Palmoli che crescerebbero «all’aperto con la natura» a quelli nei campi rom che crescerebbero invece «nel fango, tra i topi, nella sporcizia» venendo «picchiati dai genitori se non portano denaro attraverso l’elemosina o attraverso piccoli furti».



