Una band di hardcore punk che è diventata mainstream

I Turnstile macinano milioni e milioni di ascolti, passano in tv e ai Grammy, e fanno alcuni dei concerti più apprezzati ai grandi festival

Pat McCrory, Brendan Yates e Franz Lyons dei Turnstile durante il concerto della band all'Alcatraz di Milano, lo scorso 12 novembre (Sergione Infuso/Corbis via Getty Images)
Pat McCrory, Brendan Yates e Franz Lyons dei Turnstile durante il concerto della band all'Alcatraz di Milano, lo scorso 12 novembre (Sergione Infuso/Corbis via Getty Images)
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L’hardcore è un genere musicale che si è sviluppato tra gli anni Settanta e Ottanta come evoluzione più aggressiva e veloce del punk: non una musica per tutti, motivo per cui è sempre stato piuttosto raro che le band del giro riuscissero a uscire dalla nicchia di appassionati. C’è però un gruppo che negli ultimi anni ha portato la sua interpretazione dell’hardcore punk a un pubblico di massa, con canzoni da decine di milioni di ascolti su Spotify, molti sold out ai concerti (la settimana scorsa all’Alcatraz di Milano), e perfino cinque nomination ai prossimi Grammy Awards, che sono un po’ il Sanremo dell’industria musicale americana.

Che i Turnstile siano una vera band di hardcore punk non è peraltro una definizione che mette tutti d’accordo, visto che è un genere che ha sempre vissuto con orgoglio e intransigenza le proprie unicità, in forte opposizione a tutto il resto della musica. E i Turnstile, oltre ad avere un successo di dimensioni poco compatibili con l’hardcore vecchia scuola, hanno incorporato nelle proprie canzoni generi che tradizionalmente non hanno avuto molto a che fare col punk, come il funk, il pop e perfino l’R&B. All’impetuosità tipica dell’hardcore associano passaggi molto più placidi e melodici: per questo sono stati paragonati a gruppi degli anni Novanta come Snapcase e Rage Against the Machine, ma anche Blur o Police.

Glow On, il loro disco del 2021, ottenne apprezzamenti trasversali proprio perché conservava alcuni elementi essenziali dell’hardcore mediati attraverso suoni accessibili a un pubblico più ampio. Con Never Enough, uscito a giugno, i Turnstile si sono ulteriormente confermati come il gruppo al centro della rinascita del genere, animata da altre band come Scowl, Drug Church, High Vis e Speed. Per il sito di cultura pop The Ringer sono la band simbolo del decennio in corso. Per Pitchfork «la band hardcore più importante al mondo».

I Turnstile si sono formati nel 2010 a Baltimora, una città dove tradizionalmente la scena hardcore era considerata più inclusiva e aperta alla sperimentazione di altre, come quella di New York. Prima si sono fatti un nome per i loro concerti intensi e coinvolgenti, e poi per come hanno ibridato man mano il genere, convincendo sia buona parte di chi seguiva già la nicchia, sia chi non ne sapeva niente, comprese moltissime persone della Gen Z.

Già nel secondo disco, Time & Space (2018), c’erano canzoni più pop e collaborazioni con il produttore di musica elettronica Diplo, ma fu con Glow On che la band introdusse ancora più elementi ritenuti improbabili per l’hardcore, come synth, sassofoni o suoni vicini alla rumba. Dopo l’uscita di Glow On i Turnstile riuscirono ad ampliare il proprio pubblico grazie ai tour a supporto di My Chemical Romance e Blink-182, e poi a grossi festival come Primavera Sound e Glastonbury (secondo NME con la loro esibizione del 2022 al festival inglese diventarono la band da vedere dal vivo quell’estate).

Per dare l’idea Demi Lovato li definì la sua band preferita, Billie Eilish condivise sul suo profilo Instagram un video del pubblico durante un loro concerto, e su Reddit girò parecchio quello in cui James Hetfield dei Metallica cantava una loro canzone dal lato del palco di un festival.

Lo scorso aprile, invece, durante il Coachella la popstar Charli XCX aveva previsto che quella appena passata sarebbe stata l’estate dei Turnstile. Con Never Enough, il suo quarto disco e il terzo con l’etichetta Roadrunner, parte della major Warner, la band ha proseguito nell’addomesticamento dei suoi suoni, pur continuando a distinguersi per concerti molto intensi. Metal Hammer ha descritto il disco come «la risposta dell’hardcore a Nevermind dei Nirvana», e i Turnstile la band più importante e audace a essere spuntata fuori dalla scena hardcore negli ultimi decenni.

Un paio d’anni fa, parlando con GQ Australia, il batterista Daniel Fang aveva ipotizzato che tra i motivi dietro al successo dei Turnstile ci sia stata la pandemia da coronavirus, che da un lato è stata un’occasione per molta gente per aprirsi a nuova musica su Internet, e dall’altro ha fatto sì che i concerti diventassero una grande valvola di sfogo dopo i lockdown. A ogni modo ha contribuito anche la grande attenzione mediatica ricevuta dalla band: oltre alla stampa di settore, infatti, se ne sono occupati alcuni tra i giornali più importanti al mondo, come il Wall Street Journal, Le Monde e il New York Times, che in un articolo dello scorso maggio l’ha definita «inarrestabile».

– Leggi anche: La musica hardcore piace sempre, soprattutto ai ragazzi

Il fatto che escano per una major, che suonino in enormi festival commerciali e che siano stati in tv ai principali talk show americani non sono aspetti che piacciono ai fan dell’hardcore più intransigenti. Nel subreddit dedicato alla musica hardcore, per dire, sono diventati un meme, e una sorta di emblema di come il genere si sarebbe svenduto; secondo un post su X diventato virale sono una band hardcore «nello stesso modo in cui Yu-Gi-Oh! [un manga giapponese diventato soprattutto un gioco di carte] è un anime».

Molti vecchi fan del punk li apprezzano comunque perché sono contenti che ci sia una band nuova così grossa in giro, e perché ci ritrovano molte cose dei gruppi che ascoltavano da giovani. Per un’altra parte del loro pubblico, invece, i Turnstile fanno un genere come un altro: specialmente la Gen Z tende a badare meno alle definizioni, e ha meno interesse per la natura politica che storicamente ha definito il punk.