A Prato continuano le aggressioni contro i lavoratori in sciopero
Una quindicina di persone di origine cinese ha assaltato un gazebo del sindacato, e ferito due agenti della Digos

Lunedì un gruppo formato da una quindicina di persone di origine cinese ha aggredito i lavoratori in presidio di fronte a un capannone di Prato. È stata l’ennesima spedizione punitiva organizzata negli ultimi due anni contro gli scioperi indetti per protestare contro le pessime condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori. Nell’aggressione sono rimasti feriti anche due agenti della Digos, presi a calci e pugni.
Il presidio era stato organizzato di fronte alla Euroingro, un consorzio che riunisce più aziende nel settore della produzione di accessori per l’abbigliamento. I lavoratori, in prevalenza pakistani, protestavano perché costretti a lavorare 12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana e quasi sempre con contratti irregolari, completamente in nero. Dopo aver coinvolto i sindacati di base per ottenere condizioni di lavoro migliori, alcuni dipendenti sono stati licenziati.
L’aggressione è stata ripresa da alcuni video girati dai lavoratori in sciopero. Nei filmati si vede un gruppo formato da una quindicina di persone uscire insieme da un capannone per minacciare i manifestanti. Dopo alcuni momenti molto tesi, un’agente della Digos intervenuta per cercare di riportare la calma è stata spinta a terra. A quel punto la violenza è aumentata: gli aggressori hanno iniziato a sferrare calci e pugni ai lavoratori, ai poliziotti e ai sindacalisti. Il gazebo è stato distrutto.
Tre persone di 27, 30 e 60 anni sono state denunciate per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. La questura e la procura di Prato stanno analizzando i filmati girati dai manifestanti e quelli del sistema di videosorveglianza della zona: probabilmente verranno denunciate altre persone non identificate lunedì.
Negli ultimi anni nel distretto del tessile di Prato è stato avviato un graduale processo di sindacalizzazione dei lavoratori, per la maggior parte stranieri. Secondo le ricorrenti denunce fatte dal sindacato Sudd Cobas, il sindacato di base che rappresenta molti lavoratori sfruttati, nella maggior parte delle aziende gestite da cittadini cinesi si lavora più di 80 ore alla settimana, 12 ore al giorno da lunedì a domenica, in nero e senza tutele o a fronte di contratti part time non rispettati. Ad alcuni viene chiesto di restituire la tredicesima, altri non hanno mai visto una busta paga regolare.
I controlli hanno effetti limitati perché le aziende chiudono e riaprono cambiando nome oppure servendosi di prestanome: in questo modo riescono a evitare denunce e sanzioni.
Negli ultimi anni ci sono state diverse aggressioni simili, organizzate per reprimere la sindacalizzazione dei lavoratori intimidendoli. Nel 2021 una di queste aggressioni fu ripresa in un video che circolò molto: una decina di persone di origine cinese si presentò a un presidio con bastoni per picchiare i lavoratori e i sindacalisti. Da allora ci sono stati molti altri episodi di violenza. Uno dei più recenti risale a settembre, quando una donna e un uomo hanno rincorso, insultato e preso a calci e pugni alcuni lavoratori dell’azienda Alba, che si occupa di cucire e stirare capi di abbigliamento per conto di diversi marchi di moda.
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