Sulle misure per le imprese il governo ha fatto un disastro

Aveva tolto metà dei fondi alla principale misura, Transizione 5.0, ma ora che i fondi sono esauriti deve trovare un modo di rimetterceli

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni (Roberto Monaldo/LaPresse)
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni (Roberto Monaldo/LaPresse)
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Transizione 5.0 è un piano di incentivi alle imprese che il governo aveva molto promosso e su cui aveva puntato molto. Prevede sgravi fiscali alle aziende che fanno investimenti per digitalizzare e per risparmiare energia. In teoria per fare domanda le aziende avrebbero tempo fino al 31 dicembre, ma i fondi sono esauriti: è l’ultimo di una serie di problemi che questo governo sta avendo con le misure per le imprese, tra comunicazioni tardive, risorse calcolate male e regole talmente intricate da scoraggiare la partecipazione.

Detta in sintesi: visto che la partecipazione era bassa, il governo aveva dimezzato i fondi per Transizione 5.0. Ma poi, dopo un po’ di tempo e alcune modifiche alle regole, le imprese avevano cominciato a capire come entrare nel meccanismo, e allora le domande erano aumentate. Solo che i fondi ormai ridotti non bastavano più. Non è comunque l’unico pasticcio fatto dal governo su questo, c’è anche altro.

Transizione 5.0 era stata pensata dal governo come il provvedimento più rilevante da inserire nella revisione del PNRR, il grande piano di investimenti finanziato con fondi europei che il governo di Giorgia Meloni ha voluto rivedere più volte per metterci misure proprie. La prima riassegnazione dei fondi è stata decisa nel 2023: su 22 miliardi di fondi riassegnati, la sola Transizione 5.0 ne valeva 6,3.

Il tutto fu concordato con la Commissione Europea allo scopo di promuovere una misura che riconoscesse importanti agevolazioni fiscali alle imprese nel 2024 e nel 2025. Se un’azienda voleva rinnovare i suoi macchinari, e lo faceva certificando che coi nuovi strumenti avrebbe ridotto i consumi energetici da fonti fossili o le emissioni dannose per l’ambiente, avrebbe ottenuto un credito d’imposta, cioè una sorta di sconto che lo Stato riconosce sul pagamento delle tasse.

La richiesta di revisione del PNRR venne inviata alla Commissione Europea a luglio del 2023 e fu approvata a novembre. Per le lentezze del governo, e soprattutto del ministero delle Imprese e del Made in Italy, Transizione 5.0 diventò operativa solo ad agosto del 2024. E ciononostante ne risultò una misura incomprensibile e cervellotica, il cui meccanismo è stato rivisto più volte per fare in modo che le imprese riuscissero effettivamente a fare domanda.

Il grosso delle lamentele degli imprenditori riguardava infatti la complessità delle certificazioni richieste, che dovevano mostrare il genere di investimenti fatti e il loro impatto nel ridurre i consumi e le emissioni. Nella prima fase, per aggirare alcune di queste procedure, alcune imprese fornirono documentazioni poco accurate: l’Agenzia delle Entrate allora fece indagini che accertarono degli illeciti, e questo contribuì a scoraggiare ulteriormente le aziende. Per aggiustare il tiro il governo ha cambiato più volte le procedure, ma nel farlo ha anche prodotto ulteriore incertezza.

Qui il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso spiegò in un punto stampa alcune ragioni delle lungaggini e dei ritardi, un anno fa

Il risultato è che fino a settembre, cioè a quattro mesi dalla scadenza per le richieste, c’era stato un numero molto scarso di domande: circa un miliardo rispetto ai 6,3 stanziati. Il governo ha quindi pensato di definanziare la misura, visto che non stava avendo successo. All’improvviso la settimana scorsa ha più che dimezzato la dotazione del fondo, facendola scendere a 2,5 miliardi di euro, dirottando su altri progetti i rimanenti 3,8 miliardi. Ma lo ha fatto mentre dall’altra parte si era già adoperato per semplificare le procedure, e quindi far aderire sempre più imprese. I consulenti stavano iniziando a capire come fare, e le imprese avevano iniziato a fare investimenti sapendo non solo di poter far domanda entro la fine dell’anno, ma anche di avere molto margine, visti i pochi fondi utilizzati.

Il fatto che il governo avesse dimezzato le risorse non è stato comunicato in modo chiaro. A un certo punto si è creata persino una specie di corsa alla registrazione sul portale, col risultato che il 7 novembre il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha comunicato che i fondi erano esauriti e che si stavano accumulando domande oltre quelli a disposizione.

Nel frattempo, quindi, le imprese si sono dirette verso un altro incentivo ancora in essere, e che viaggiava in parallelo con Transizione 5.0, cioè Transizione 4.0: anche questo era finanziato coi fondi del PNRR, e prevedeva incentivi agli investimenti per l’innovazione digitale; Transizione 5.0 aggiungeva anche obiettivi di risparmio energetico da conseguire con i progetti di innovazione. Le richieste sono state talmente tante che martedì hanno esaurito anche i fondi di Transizione 4.0.

In tutto questo il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha più volte rivendicato i “successi” della misura. Al question time alla Camera, mercoledì, ha risposto così ai deputati che gli chiedevano conto della fine dei fondi: «Come riconosciuto in questi giorni ormai praticamente da tutti o quasi, il piano Transizione 5.0 è adesso considerato una misura popolare, molto gradita dalle imprese, di cui non poter fare a meno».

Come dicevamo, comunque, i pasticci del governo non sono finiti: ha detto infatti alle imprese di continuare a inserire le domande sia per Transizione 4.0 che per 5.0, e che saranno soddisfatte qualora dovessero sbloccarsi nuovi fondi. Mercoledì le richieste avevano già sforato di 900 milioni di euro la dotazione del fondo, in aumento di 250 milioni solo in un giorno. Urso ha detto alla Camera che troveranno i soldi, ma non è chiaro come, visto che le risorse inserite nella legge di bilancio sono piuttosto modeste. I tecnici del ministero delle Imprese stanno lavorando a due soluzioni.

La prima è trovare i fondi per rifinanziare Transizione 5.0 e soddisfare così le domande che finiranno in lista di attesa entro il 31 dicembre, alla scadenza della misura. Sarebbe la situazione più semplice, ma anche un po’ paradossale: se riuscisse a trovare i fondi, il governo metterebbe soldi in una misura dopo avergliene tolti la metà.

La seconda ipotesi ha a che vedere con la legge di bilancio, che per il prossimo anno prevede proprio un rifinanziamento di 4 miliardi di euro per Transizione 5.0. Il governo potrebbe dunque decidere di assorbire le domande in eccesso con questi fondi, ma c’è un problema: il prossimo anno la misura cambierà natura e non sarà più uno sconto sulle imposte, perciò è possibile che le imprese che hanno fatto domanda per la versione di quest’anno non avranno i requisiti anche per il 2026.