I trattori nei vigneti si sono evoluti

E in Italia siamo bravi a farli, con aziende che investono moltissimo in ricerca e sviluppo

di Francesco Gaeta

Un trattore con un attrezzo a lame rotanti che apre le zolle di terra (Francesco Gaeta/Il Post)
Un trattore con un attrezzo a lame rotanti che apre le zolle di terra (Francesco Gaeta/Il Post)
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Per lavorare in una vigna un trattore deve avere due qualità non banali, dal punto di vista tecnologico: pesare poco, per non danneggiare le radici delle viti, e essere largo il meno possibile, per muoversi nei corridoi tra i filari spesso ampi poco più di un metro, specialmente in collina. Per chi i trattori li costruisce questo significa ridurre le dimensioni dei motori senza perdere in potenza e alleggerire strutture e ingranaggi senza diminuirne la resistenza. Sono cose che le aziende italiane sanno fare piuttosto bene.

Negli ultimi anni le vigne sono diventate una specie di laboratorio di innovazione, e hanno generato un comparto industriale sempre più avanzato e rilevante. Alla meccanica si è aggiunta l’elettronica: i modelli più recenti di trattori sono in grado di ricevere dati sulla condizione dei campi ed elaborarli, migliorando così l’efficienza nella coltivazione. Succede anche con le macchine più grandi, ma le aziende italiane sono riuscite a mantenere alto il livello tecnologico su una scala molto minore, sicuramente inferiore rispetto a quella abitualmente associata alle macchine agricole.

La produzione italiana di macchine agricole valeva nel 2023 oltre 16 miliardi di euro, con oltre 42mila trattori venduti all’estero. Almeno un terzo sono trattori da vigneto. Dietro grandi aziende come John Deere, CNH, Fendt, che hanno fatturati miliardari costruiti sulle macchine di grandi dimensioni e alta potenza, a dominare la nicchia dei trattori da vigneto è una serie di aziende italiane di media dimensione, collocate tra Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna.

Sono marchi storici come Same-Sdf, che ha sede a Treviglio (Bergamo), Landini e Valpadana a Reggio Emilia, Ferrari e Pasquali ad Abbiategrasso (Milano), Goldoni-Keestrack a Carpi (Modena). La quota di esportazione supera in molti casi la metà della produzione. Queste aziende costruiscono le macchine che lavorano in Franciacorta o a Montalcino, ma anche nella Napa Valley, in California, o nella Rioja, in Spagna. Sono anche costruttori e in certi casi fornitori di componenti per gruppi più grandi: la veneta Carraro Group, per fare un esempio, fornisce a John Deere e CNH trasmissioni e assali, cioè le strutture d’acciaio che collegano e sostengono le ruote, assorbono gli urti e trasmettono la trazione al terreno.

L’industria italiana dei trattori va così bene per almeno due ragioni. La prima è che la struttura dei nostri vigneti è molto irregolare e varia rispetto ad altri paesi come Francia o Stati Uniti, e questo ha spinto i produttori a trovare soluzioni tecnologiche più adatte al contesto. La seconda ragione è che l’Italia ha da sempre forti competenze nel settore meccanico, in particolare quello automobilistico, e alcune sono state sfruttate per la produzione di trattori.

Per capire cosa oggi renda i trattori diversi rispetto al passato si può partire dalle colline bresciane della Franciacorta, l’area che dà il nome a uno degli spumanti italiani più noti. Quello tra ottobre e novembre è il periodo dell’anno in cui si lavora ad «allungare la vita della vigna», come dicono alla cantina Bellavista: significa liberare il terreno da erbe infestanti, aprire le zolle e consentire alle radici di respirare. A farlo è un piccolo trattore largo poco più di un metro, che ha dietro di sé un attrezzo a lame rotanti che entrano nel terreno senza toccare il fusto delle piante.

Fino alla prossima vendemmia, il trattore è in Franciacorta un elemento essenziale per una viticoltura di precisione. Tra i filari sono collocati sensori che misurano l’umidità e la presenza di minerali del terreno, e quindi la sua fertilità. Attraverso telecamere a infrarossi montate su dei droni – e collegate ai trattori – viene rilevata la temperatura delle foglie e la loro traspirazione, per capire se la pianta sta soffrendo per il caldo. Da questi dati si producono mappe che, in base all’intensità di verde, fanno capire le differenze tra un filare e l’altro dal punto di vista della salute e del vigore. Usando questi dati il trattore può dosare la quantità di trattamenti fitosanitari necessari nelle varie zone per fare rendere al meglio le piante.

Il costo di un trattore da vigneto può variare tra i 60 e i 90mila euro, ma sui modelli più avanzati gli optional possono far crescere il prezzo fino a 120mila euro. Rispetto a un trattore da campo aperto, più grande, deve avere il baricentro basso per muoversi in pendenza e avere un raggio di curva stretto: spesso lo spazio al termine del filare (si chiama capezzagna) non è più largo di un paio di metri. Soprattutto deve pesare il meno possibile per evitare di compattare il terreno, cosa che danneggerebbe le radici delle viti. È un rischio molto concreto: per aprire il terreno dopo la vendemmia, pulirlo e riposizionarlo, e poi concimare radici e fogliame, tagliare le cime della vite e potarla, un trattore passa anche venti volte all’anno tra un filare e l’altro.

Per le imprese produttrici fare ogni cosa in formato piccolo e leggero significa investire molto in ricerca e sviluppo. Il posto migliore per capire cosa questo voglia dire è lo stabilimento bergamasco della Same-SDF, l’azienda che con i marchi Same, Deutz-Fahr e Hürlimann è la maggiore tra le italiane. Nel 2024 ha avuto ricavi per 1,6 miliardi di euro. Su 4.000 dipendenti – oltre che in Italia produce anche in Cina e Turchia – ne ha 300 che lavorano nel reparto ricerca e sviluppo. Nel 1952 nacque qui la trazione a 4 ruote motrici per lavorare in pendenza, e qualche anno fa è stata concepita “l’andatura a granchio”, cioè il fatto che le 4 ruote possono tutte sterzare per ridurre lo spazio necessario a farlo.

Lo stabilimento bergamasco della Same-SDF (Francesco Gaeta/Il Post)

Nella fabbrica di Treviglio la cosa che colpisce di più è l’ordine maniacale della linea di montaggio. È indispensabile, visto che ogni trattore è composto da 36mila parti numerate, da assemblare in allestimenti diversi a seconda dei paesi di destinazione o dei desideri dei concessionari. In una zona antistante al piazzale c’è l’area collaudi, dove i trattori usciti dalla linea vengono provati sui rulli.

Il collaudo di un trattore sui rulli (Francesco Gaeta/Il Post)

Nel 2024 Same-SDF ha investito in ricerca quasi il 5 per cento del fatturato. È una percentuale piuttosto elevata per un’azienda meccanica, e si spiega con il fatto che la componente elettronica, che è la più costosa, è sempre più rilevante. L’elettronica sta infatti cambiando la manutenzione dei trattori. Le aziende più importanti forniscono ai clienti piattaforme di diagnostica a distanza che rilevano il rischio e i potenziali guasti in anticipo, li trasmettono al concessionario e accorciano i tempi di intervento.

L’ultima frontiera tecnologica nei vigneti è quella dei robot a guida autonoma, comandati a distanza. Lavorano con maggiore precisione e pesano molto meno. Quello usato nelle vigne Bellavista si chiama Bakus, è costato circa 250mila euro e non passa tra i filari ma sopra. È una specie di armadio a quattro ruote, a cui si agganciano una serie di attrezzature complementari per le operazioni che vanno fatte.

Il Bakus di VitiBot che passa tra i vigneti (Francesco Gaeta/Il Post)

È stato progettato in Francia, nello Champagne, dove la distanza tra i filari è più ridotta che in Franciacorta e usare i trattori sarebbe impossibile. A produrlo è la VitiBot, azienda che da poco è stata acquisita dalla stessa Same-SDF. Bakus può fare le stesse operazioni di un trattore, con la differenza che qui il trattorista è fuori dal campo e ha in mano solo un tablet. Via satellite fa una mappa del terreno, imposta la lavorazione, e da quel momento l’attrezzo procede da sé: entra nel filare scavalcando le cime e alla fine gira sulle quattro ruote sterzanti, ricominciando dal filare accanto. Fa ogni cosa in silenzio, perché è elettrico. Oltre a molto tempo, fa risparmiare anche i 60 litri al giorno di carburante che servono al trattore che sta lavorando nel campo a fianco.