Studiare o imparare un mestiere in carcere sarà più complicato
Per organizzare le attività culturali adesso ci sono regole più restrittive, che rischiano di ostacolare i pochi esempi positivi

Una recente circolare del DAP (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che dipende dal ministero della Giustizia) ha reso più complicate le procedure per organizzare attività culturali, educative e ricreative all’interno di alcuni tipi di carceri. Da ora in poi l’autorizzazione non andrà più chiesta alla direzione del singolo carcere, ma al DAP. È una cosa che potrebbe allungare i tempi per organizzare queste attività, e più in generale ostacolarle e rendere tutto più farraginoso.
Le attività culturali ed educative sono fondamentali per un corretto reinserimento delle persone detenute. Ci rientrano cose molto diverse tra loro, dai corsi universitari alla formazione professionale, dal teatro ai corsi di fumetto o di cucina.
La circolare dice tra le altre cose che le richieste per organizzare attività culturali ed educative in carcere vanno presentate con «congruo anticipo» (non è specificato di quanto tempo) indicando data e durata dell’iniziativa, spazi utilizzati, numero e nomi dei detenuti che parteciperanno, parere della direzione ed elenco dei nomi di altri partecipanti che non siano detenuti.
Passaggi burocratici in più significano tempo in più, ma al di là di questo i requisiti contenuti nella circolare «sono facili da scrivere ma difficili da realizzare», dice Alessio Scandurra dell’associazione Antigone, che si occupa da anni di diritti delle persone detenute. Non sempre quando si avvia un’attività culturale in carcere si sanno in anticipo tutti questi dettagli: l’attività può cominciare con un certo numero di detenuti e può continuare con un numero più ampio, anche a seconda di quanto attira l’interesse di altri detenuti. Più in generale le singole direzioni hanno una conoscenza più approfondita della loro struttura, delle sue esigenze e possibilità, e dei percorsi rieducativi dei detenuti all’interno.
Per alcune attività in particolare i requisiti contenuti nella circolare potrebbero complicare ancora di più le cose. Prendiamo il carcere Marassi, a Genova, al cui interno c’è un teatro (il Teatro dell’Arca) dove le persone detenute mettono in scena spettacoli accessibili a tutti, anche a persone esterne al carcere, al termine di corsi di formazione teatrale. Già ora per poter assistere ci sono procedure più complicate di quelle previste in un teatro ordinario (bisogna arrivare mezz’ora prima e fare la fila per mostrare i propri documenti, visto che si entra in un carcere).
Visto che la circolare del DAP chiede di fornire «con congruo anticipo» anche i nomi di tutte le persone non detenute che partecipano alle attività, non è chiaro se in un caso come quello del teatro la lista debba includere anche i nomi del pubblico. E nel caso, non è chiaro come dovrebbe fare il carcere a sapere molto tempo prima (quanto?) la lista del pubblico, prima ancora di sapere se lo spettacolo si può fare.
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Secondo Scandurra la circolare «è un altro passo nella direzione di una chiusura, o comunque di un irrigidimento, rispetto a quel poco che in carcere funziona».
Sul Manifesto il presidente di Antigone Patrizio Gonnella ha ricordato il caso di Cesare deve morire, un film dei fratelli Taviani che vinse l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2012. In quel film recitarono Cosimo Rega e Salvatore Striano, all’epoca entrambi detenuti a Rebibbia, a Roma. Rega è morto nel 2022, mentre Striano continua a fare l’attore. «Il film fu girato a Rebibbia quando il direttore di allora, Carmelo Cantone, accolse in carcere un uomo di teatro come Fabio Cavalli», scrive Gonnella. «Quelle storie straordinarie e riuscite di emancipazione sociale, culturale, ma anche professionale oggi non sarebbero più possibili. Se ai tempi di Cesare deve morire quella circolare fosse stata in vigore, avremmo avuto due criminali in più e due bravi attori in meno».
Le carceri interessate dalla circolare sono quelle con dentro sezioni dell’Alta Sicurezza (il reparto in cui sono recluse persone arrestate per reati associativi, come mafia e traffico di sostanze) e quelle in cui sono reclusi collaboratori di giustizia e detenuti al 41-bis. Il 41-bis è il cosiddetto “carcere duro”, il regime detentivo previsto per particolari tipi di reati associativi e basato sull’isolamento della persona detenuta.
In questi tipi di carcere era già prevista una gestione più centralizzata del DAP sull’organizzazione complessiva: la circolare ribadisce ed esplicita questo punto anche per le attività culturali, su cui finora le singole direzioni avevano mantenuto un buon margine di discrezionalità.
Le attività culturali hanno un documentato effetto positivo sulle persone detenute e sul loro percorso di reinserimento in società, che teoricamente dovrebbe essere l’unico fine della pena detentiva (che non è punire, appunto, ma rieducare e reinserire: lo dice la Costituzione). Negli anni sono stati fatti studi che dimostrano come queste attività riducano il rischio di recidiva, cioè di reiterazione del reato, e favoriscano una serie di effetti virtuosi e benefici sulla salute mentale delle persone detenute, sulla loro autostima e capacità di imparare a fare cose nuove (diverse dai reati per cui sono state arrestate e condannate).
Nelle carceri italiane ci sono un’emergenza umanitaria e una situazione insostenibile: la gran parte è sovraffollata e in condizioni igieniche insostenibili, cosa che causa a chi è costretto a starci problemi di salute mentale che portano a frequenti atti di autolesionismo e suicidi. Nel 2024 si sono suicidate 91 persone detenute, il dato più alto mai registrato. In carcere le condizioni sono difficili anche per chi ci lavora, per via di carenze di personale ed episodi di violenza e aggressioni anche nei confronti degli agenti: condizioni che a loro volta alimentano suicidi tra gli stessi agenti.
Per tutti questi motivi le carceri italiane sono anche un luogo criminogeno: cioè anziché mettere le persone detenute nella condizione di tornare libere e non compiere più reati fanno il contrario.
Le carceri che invece si sono distinte per attività che hanno creato condizioni migliori per le persone al loro interno sono poche, e hanno potuto farlo proprio grazie alla sensibilità di singole direzioni che ne hanno permesso la realizzazione.
Nell’ultimo anno il DAP ha limitato in vari modi il margine di discrezionalità delle direzioni delle carceri. Lo scorso maggio aveva vietato ai detenuti dell’Alta Sicurezza di partecipare alle attività di Ristretti Orizzonti, storica rivista del carcere di Padova scritta da persone detenute; in maniera simile, in altre carceri era stato vietato ai detenuti dell’Alta Sicurezza di frequentare i corsi universitari organizzati per chi sta in carcere. La circolare sulle attività culturali va nella stessa direzione.
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