I pazienti che suonano durante le operazioni al cervello
A volte è il modo più immediato per valutare l’efficacia di vari interventi su musicisti limitati da particolari malattie

Lo scorso luglio Denise Bacon, logopedista in pensione e clarinettista inglese malata di Parkinson, si è sottoposta a un trattamento sperimentale al King’s College Hospital di Londra. Da sveglia, durante un’operazione al cervello durata quattro ore, doveva provare a suonare il suo clarinetto. In questo modo i neurochirurghi hanno potuto verificare mentre la operavano gli effetti degli impulsi elettrici da loro indotti sulla sua capacità di suonare, da tempo ostacolata dal Parkinson.
L’intervento, reso noto dall’ospedale nei giorni scorsi, è stato un successo. Dopo l’applicazione degli elettrodi, Bacon è riuscita a controllare i movimenti delle mani e la pressione esercitata dalle dita sui tasti dello strumento. La rigidità muscolare e il rallentamento dei movimenti (bradicinesia) sono alcuni dei problemi di salute provocati dal Parkinson, una malattia neurodegenerativa di cui soffrono oltre 11 milioni di persone nel mondo.
Anche se non sono molto frequenti, le operazioni al cervello su pazienti svegli che sanno suonare uno strumento musicale e cercano di farlo durante l’operazione non sono una novità. È il modo più immediato per permettere ai medici di valutare gli effetti di varie procedure chirurgiche o stimolazioni cerebrali su determinate abilità pratiche e motorie dei pazienti, che vengono rallentate o impedite da particolari malattie.
Nel 2020 la stessa équipe medica del King’s College Hospital, guidata dal neurochirurgo Keyoumars Ashkan, aveva rimosso un tumore dal cervello di una violinista di 53 anni, che aveva ricevuto la diagnosi dopo una crisi epilettica avuta durante un concerto. Il tumore le aveva fatto perdere capacità motorie fondamentali per suonare. Era un’operazione molto difficile, e chiedere alla paziente di suonare aveva permesso di effettuarla con maggiore precisione, controllando l’evoluzione dei sintomi e limitando il rischio di danni.
In generale, durante particolari operazioni al cervello, i pazienti ricevono solo un’anestesia locale e restano svegli mentre i chirurghi lavorano vicino ad aree che controllano i movimenti o funzioni importanti del linguaggio. Per verificare queste funzioni, spesso ai pazienti viene chiesto di rispondere ad alcune domande.
A Musa Manzini, un chitarrista jazz sudafricano, fu chiesto di suonare la sua chitarra acustica durante un’operazione per rimuovergli un tumore dal lobo frontale destro, nel 2018, all’ospedale Albert Luthuli a Durban. «Può essere molto difficile distinguere il tumore dal tessuto cerebrale normale», disse Basil Enicker, il neurochirurgo a capo dell’équipe medica.
Nel 2018, al Memorial Hermann-Texas Medical Center in Texas, una donna di 63 anni suonò il flauto durante un’operazione di stimolazione cerebrale profonda (DBS) per limitare i movimenti involontari causati dal tremore essenziale, un disturbo neurologico che provoca tremori involontari, nella maggior parte dei casi alle mani.
“Stimolazione cerebrale profonda” è la definizione con cui è nota l’operazione a cui si è sottoposta la clarinettista inglese Denise Bacon a luglio. Fu scoperta alla fine degli anni Ottanta dal neurochirurgo francese Alim-Louis Benabid ed è utilizzata da diversi anni, in via sperimentale, su pazienti affetti da disturbi del movimento per cui altre cure e trattamenti non siano disponibili o siano già risultati inefficaci. Prevede di impiantare in punti specifici del cervello alcuni elettrodi che inviano impulsi elettrici da una specie di pacemaker, un dispositivo permanente solitamente posizionato nel torace.
A causa del Parkinson, che le era stato diagnosticato nel 2014, Bacon, che ha 65 anni, aveva dovuto lasciare nel 2020 la banda in cui suonava. Ashkan, anche lui musicista (ha un diploma in pianoforte), ha raccontato al Washington Post che lei gli aveva detto: «Se potessi tornare a suonare il clarinetto, la qualità della mia vita cambierebbe enormemente». Il successo dell’operazione è stato evidente fin da subito: il movimento delle dita della mano sinistra migliorava immediatamente, dopo aver posizionato gli elettrodi nel lato destro del cervello (l’emisfero destro controlla il lato sinistro del corpo, e viceversa).
Ashkan ha precisato che la stimolazione cerebrale profonda non è una cura per il Parkinson, e che il primo trattamento sono i farmaci che aiutano a gestire e limitare i sintomi della malattia. La chirurgia, ha aggiunto, può essere però efficace nei pazienti che non rispondono più alle terapie farmacologiche o che mostrano effetti collaterali.
Parlando al Washington Post il neurologo statunitense Michael S. Okun, consulente medico della Parkinson’s Foundation, che finanzia la ricerca sulla malattia e altre iniziative, ha detto che le operazioni come quella a Bacon sono molto incoraggianti anche per altri messaggi che veicolano. Non sono soltanto «imprese mediche», ha detto, ma «finestre sulla resilienza del cervello e dello spirito umano».



