Il femminicidio di Pamela Genini si poteva prevenire?
La procura di Bergamo ha aperto un'inchiesta per capire se fosse il caso di attivare il “Codice rosso” antiviolenza

Sul femminicidio di Pamela Genini, la donna di 29 anni uccisa il 14 ottobre nel suo appartamento dall’ex fidanzato Gianluca Soncin, è stata aperta una seconda inchiesta. Oltre a quella avviata a Milano per omicidio volontario aggravato, che ha portato alla custodia cautelare in carcere per Soncin, la procura di Bergamo ne ha aperta una per verificare se già nel 2024 si sarebbe potuta proteggere Genini tramite l’attivazione del “Codice rosso”, legge del 2019 per la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
L’inchiesta di Bergamo è un cosiddetto modello 45, un fascicolo per le indagini preliminari senza indagati né ipotesi di reato che riguarda fatti non ancora qualificati come notizie di reato, ma che potrebbero diventarlo. Il modello 45 permette proprio al pubblico ministero di svolgere delle indagini e di acquisire documenti per accertare l’eventuale sussistenza di un reato.
I fatti al centro della seconda inchiesta si svolsero nel settembre del 2024. Il 3 settembre Genini subì un’aggressione da Soncin nella casa di Cervia, in provincia di Ravenna, dove lui viveva. Su richiesta di Genini quella sera arrivarono i carabinieri. Descrivendo il loro intervento il procuratore di Ravenna Daniele Barberini ha detto: «I carabinieri hanno seguito la procedura: la casa era in ordine, hanno sentito informalmente e separatamente entrambi. La signora si è limitata a riferire di una lite, è stata invitata ad andare in ospedale e non è andata, le hanno detto se volesse formalizzare una denuncia e non l’ha fatto. Apparentemente, lesioni non ce n’erano».
Barberini ha dunque escluso sottovalutazioni ed errori da parte dei carabinieri intervenuti a Cervia, che avrebbero seguito in modo corretto le linee guida stabilite nel “Prontuario Operativo per i reati di violenza di genere e per l’approccio alle vittime particolarmente vulnerabili”: stabiliscono le procedure d’intervento da seguire nella gestione dei casi di violenza di genere e domestica, distinte a seconda delle fasi in cui il carabiniere entra in contatto con una vittima. Queste procedure prevedono comportamenti molto precisi sia durante la ricezione di una chiamata per un caso di violenza in atto sia durante l’intervento della pattuglia. Si chiede ad esempio, tra le altre cose, di osservare la presenza di lesioni, lo stato degli indumenti, lo stato emotivo della vittima dedotto anche da manifestazioni quali tremore, balbuzie, tendenza a defilarsi, segnali di paura nei confronti dell’aggressore.
Il 4 settembre, e dunque il giorno dopo l’aggressione di Cervia, Genini tornò a Bergamo decidendo di andare al pronto soccorso dell’ospedale di Seriate per farsi curare il dito che Soncin le aveva fratturato la sera prima. E sembra che anche qui siano state rispettate le procedure previste per questi casi.
Nel referto del pronto soccorso si riporta la testimonianza di Genini su quanto subito la sera prima. Genini aveva riferito di essere stata «buttata a terra e colpita alla testa con pugni, trascinata poi per i capelli per diversi metri». E che Soncin le aveva lanciato vari oggetti addosso provocandole un trauma a un dito della mano destra. Nel referto si dice poi che sul corpo di lei sono stati rilevati «plurimi graffi agli arti inferiori», che «le è stata strappata una ciocca di capelli». Si dice, ancora, che Genini aveva negato di aver subito una violenza sessuale, violenza che aveva però detto di aver subito in passato, che quello non era il primo episodio, che aveva ricevuto anche numerose minacce verbali e per messaggio, e che negli ultimi mesi gli episodi di violenza si erano fatti frequenti.
A quel punto al pronto soccorso era iniziato l’iter previsto per questi casi e stabilito dalle “Linee guida nazionali per le aziende sanitarie e le aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle vittime di violenza”, adottate con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel gennaio del 2018.
Tra le varie raccomandazioni, le Linee guida mettono a disposizione degli operatori e delle operatrici del pronto soccorso una serie di strumenti pratici per valutare la situazione in cui si è manifestata la violenza e la sua pericolosità. Tra questi ci sono la Brief Risk Assessment for the Emergency Department, uno strumento standardizzato e validato che, concretamente, consiste in un questionario composto da cinque domande a cui rispondere “sì” o “no” e che servono a misurare il rischio di ricomparsa o di escalation della violenza. Le Linee guida individuano in tre risposte positive su cinque un elevato rischio di maltrattamento grave.
Al pronto soccorso di Seriate a Genini venne dunque sottoposto il questionario e i suoi “sì” furono quattro su cinque: “Crede che lui sia capace di ammazzarla?”, “La violenza fisica è aumentata di frequenza e gravità negli ultimi 6 mesi?”, “Ha mai usato un’arma o l’ha mai minacciata con un’arma?”, “Lui è fortemente e costantemente geloso di lei?”: a queste quattro domande Genini rispose di «sì». Rispose di «no» alla domanda che riguardava il fatto di essere mai stata picchiata in gravidanza.
Viste le risposte date da Genini vennero correttamente allertate le forze dell’ordine, ma le informazioni acquisite dai carabinieri di Seriate in pronto soccorso non arrivarono mai in procura. Il referto con cui Genini venne dimessa dal pronto soccorso parlava infatti di lesioni, ma la prognosi corrispondente era di 20 giorni, prognosi che secondo il “Codice rosso” non prevede la procedura d’ufficio della trasmissione della notizia di reato in automatico alla procura.
Il cosiddetto “Codice rosso” è una legge contro la violenza maschile sulle donne approvata nel 2019 per introdurre nuove fattispecie di reato, per velocizzare i tempi dell’azione penale in presenza di segnali di allarme e per rendere più efficaci e tempestive le eventuali azioni di prevenzione o protezione delle vittime. Tra le altre cose il “Codice rosso” prevede una serie di reati che sono perseguibili d’ufficio e per i quali l’azione penale può essere avviata dalle autorità giudiziarie senza la necessità di una querela della persona offesa.
Tra i reati perseguibili d’ufficio ci sono ad esempio le lesioni personali con prognosi fino a 40 giorni, ma se vengono commesse in circostanze aggravanti, con l’utilizzo di armi, ad esempio. Nessuno di questi due casi riguardava Genini, che poco dopo le 15 e dopo cinque ore di pronto soccorso venne dimessa: nel referto finale si legge del suo avvenuto «colloquio con le forze dell’ordine» dopo il quale «non vi è indicazione ad attivazione del Codice rosso».
Una volta acquisito il referto, i carabinieri di Seriate lo inviarono ai colleghi di Cervia per competenza, i quali trasmisero a loro volta a Seriate l’annotazione dell’intervento in casa del 3 settembre. Poiché ai carabinieri di Seriate Genini aveva riferito che Soncin aveva delle armi e dei coltelli, a Cervia venne effettuato un controllo sulle armi, «per l’articolo 38 del testo unico di pubblica sicurezza», ha spiegato il procuratore di Ravenna Daniele Barberini. Da Cervia venne inoltre chiesto ai colleghi bergamaschi di sentire la donna e di raccoglierne la denuncia, che Genini non presentò.
Nella banca dati SDI, utilizzata dalle forze di polizia italiane per scambiare informazioni utili alle indagini e alle attività di pubblica sicurezza, relativamente all’aggressione di Genini venne infine inserito un generico intervento per «presunta violenza di genere», mentre non venne segnalato niente nel sistema cosiddetto Scudo, lo strumento usato per monitorare anche in assenza di denuncia episodi a rischio, non sempre caratterizzati da particolari gravità o aggressività, ma che, attraverso una condotta abituale, potrebbero in futuro assumere rilievo penale. Non furono infine informate né la procura di Bergamo né quella di Ravenna, e non venne valutata l’attivazione del “Codice rosso”.
Il procuratore capo di Bergamo, Maurizio Romanelli, ha spiegato che la seconda inchiesta è stata aperta «con il compito di verificare se siano state adeguatamente rispettate le procedure dirette alla tutela della persona offesa. Non in prospettiva necessariamente sanzionatoria ma per la verifica del sistema, nel quale è necessario da parte di tutti che prevalga un’attenzione sostanziale senza limitarsi al rispetto burocratico degli adempimenti».
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Se hai bisogno di aiuto o sostegno qui c’è l’elenco di tutti i numeri telefonici dei centri antiviolenza della rete Di.Re. È anche possibile chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522, gratuito, attivo 24 ore su 24 con un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. In entrambi i casi si riceveranno indicazioni da persone che hanno l’esperienza e la formazione più completa per occuparsi di questa questione. È anche possibile, di fronte a una situazione di emergenza, chiamare i carabinieri o la polizia al 112



