La cronaca nera, in parole e disegni

«Io sono in mezzo alla “tonnara”, quell’assembramento di telecamere, microfoni e taccuini attorno a chi forse ha una dichiarazione. Io sono lì in mezzo. Non giudico col dito puntato. Non sbircio, sono dentro un club in cui c’è un solo avversario: la consegna»

Particolare del palazzo di Giustizia di Milano (disegno di Salvatore Garzillo)
Particolare del palazzo di Giustizia di Milano (disegno di Salvatore Garzillo)
Salvatore Garzillo
Salvatore Garzillo

Napoletano a Milano, cronista da vent'anni. Specializzato in inchieste undercover e graphic journalism, ha seguito i principali casi di questi anni e realizzato reportage (anche illustrati) in zone di guerra per media italiani e stranieri. È autore di La mala (Sky) e Il giro di nera – una stand up tragedy.

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(disegno di Salvatore Garzillo)

«In un mondo buio bisogna imparare a distinguere una luce da un fumogeno».

È la prima regola per sopravvivere nel fight club della notizia, in cui anche il più forte è schiacciato da un unico, ineludibile avversario: la consegna. Ma siccome questa parola in italiano non rende il senso di struggimento che trascina con sé ogni giornalista, useremo l’inglese: la deadline, la linea della morte. Ah, spoiler, non è mai morto nessuno per una mancata consegna alla redazione. Però, a volte, bisognerebbe nascondersi per la vergogna di aver pubblicato una notizia falsa o chiaramente inutile, che va solo ad alimentare la bulimia di news di cui siamo tutti vittime. Anche noi giornalisti, sebbene complici di questo meccanismo. Butta giù questa pillola d’informazione, non perdere tempo a sentirne il sapore, così sarà più difficile renderti conto che era cibo senza nutrienti, che ti gonfia la pancia, ti dà la nausea e ti costringe a vomitare.

Ad ogni modo questo è il Deadline Club, e questo episodio si chiama “Garlasco”.

(Disegno di Salvatore Garzillo)

L’11 marzo 2025 è una giornata di cronaca più o meno come tante. Il punto più alto di giornata è l’interrogatorio di garanzia di Davide Lacerenza e Stefania Nobile, rispettivamente il proprietario della Gintoneria e la figlia della più nota Wanna Marchi, entrambi arrestati in un’indagine su un presunto giro di prostituzione all’interno del locale in centro a Milano.

L’appuntamento per cronisti, videomaker e fotografi è alle 13 in tribunale, lato via Freguglia, da cui arriveranno a favore di camere e cellulari.

(disegno di Salvatore Garzillo)

È il caso degli ultimi giorni. Una storia tutto sommato “leggera” perché non ci sono cadaveri da raccontare, solo l’ennesimo presunto “king di Milano” che si è fatto prendere la mano. Eppure, c’è attenzione mediatica. Lacerenza è una figurina da social, ha creato un personaggio vincente e strafottente, ha un grande seguito. Ora che l’hanno arrestato ne ha ancora di più perché le storie di chi sale in alto e poi si schianta al suolo sono una calamita anche per chi si finge (o crede) intellettuale. I fotografi sono già annoiati prima di iniziare, figuriamoci dopo due ore di attesa. I cronisti sono impegnati a lamentarsi di qualcosa e a combattere con le assurde richieste delle redazioni.

(disegno di Salvatore Garzillo)

Ed è in questo clima di countdown pigro che succede: l’edizione delle 13 del Tg1 annuncia la riapertura del giallo di Garlasco e l’ipotesi di un assassino diverso da quello stabilito dalla sentenza di Cassazione. Non più Alberto Stasi ma Andrea Sempio, un nome noto solo a chi ha seguito con molta attenzione questi anni di indagini. Lo stesso Sempio che era stato indagato e poi archiviato. Lo stesso Sempio che ora diventa la novità della stagione, la svolta, il finale alternativo di una storia che tutti conosciamo e che nessuno davvero conosce. Io ne approfitto per disegnare.

(disegno di Salvatore Garzillo)

Quel giorno, l’11 marzo, è cambiata la vita di molte persone. Innanzitutto dei protagonisti, presunti colpevoli e presunti innocenti.
È cambiata anche quella di cronisti e fotografi, alcuni costretti a modellare la propria routine sugli aggiornamenti d’indagine (l’esito di un test, la convocazione per un interrogatorio, la presentazione di nuove prove) e sulle necessità delle redazioni (ci serve la famiglia, ci serve l’avvocato, ci serve il genetista, ci serve il presunto testimone, ci serve il passante che non sa nulla). Ecco, il nulla è un genere giornalistico in cui tutti ci cimentiamo e in cui alcuni eccellono.

(disegno di Salvatore Garzillo)

I giornalisti non sono tutti uguali. C’è una precisa gerarchia legata a un’unica e incorruttibile regola: chi trova le notizie e chi gli va dietro. I cronisti sono in cima alla piramide sociale perché sono quelli più vicini alle fonti (investigatori, Scientifica, avvocati, consulenti, pm) e pertanto più vicini – in teoria – alla verità. È un ordine puramente di efficacia, non c’è distinzione per genere o testata.

(disegno di Salvatore Garzillo)

Questo li espone a una malattia pericolosissima che si contrae dopo qualche anno di attività: la “fidati di me, ci siamo quasi”. La convinzione di avere la soluzione a un caso, l’idea più giusta, la risposta all’enigma. Il caso di Garlasco ha contagiato quasi tutti, quelli che c’erano ai tempi della prima inchiesta e che quindi si sentono come reduci di una grande guerra, e quelli che hanno iniziato a lavorarci oggi, convinti di essere meglio informati e meno schierati. Entrambi, se va bene, sanno un decimo delle informazioni in mano agli investigatori.

(disegno di Salvatore Garzillo)

A questa spaccatura si aggiunge la tifoseria, quando ti convinci di una tesi e vai avanti puntando quell’unica strada, col rischio della profezia autoavverante. Tante volte, negli ultimi mesi, ho ascoltato e partecipato a questo ping pong umano su Garlasco. «È innocente», «no, è colpevole», «è stato lui», «ma sei pazzo? È stato chiaramente l’altro», e avanti così. Per le diverse visioni sull’omicidio di Chiara Poggi sono finite amicizie durate anni. Anche per questo dico che la tifoseria è il peggior nemico di un cronista.
Più di 15 anni fa, quando entrai all’Ansa, un bravissimo capo mi spiegò con una sola frase l’importanza dell’autonomia di pensiero e la necessità professionale di restare equilibrati. «Guarda – mi disse – qui non ci interessa tu per quale partito voti, ma non farcelo capire da quello che scrivi».
Sempre sia lodato.

(foto e disegno di Salvatore Garzillo)

I giornalisti “da riporto” sono quelli che non hanno una notizia esclusiva, in mancanza di una fonte valida, e che quindi seguono il collega che ha la dritta, che ha “la carta” (l’ordinanza, per esempio), che è amico di quel generale o di quel pm.
Sono come gli stormi di storni nei cieli di Roma: sono spettacolari per i loro movimenti repentini e compatti, tuttavia sai che produrranno molta cacca, quindi meglio stargli lontano o trovare un riparo per non sporcarsi.

Spesso non c’è dolo in questa incapacità, è il frutto della frenesia della fabbrica delle notizie che impedisce a tanti di formarsi su un tema, studiare una vicenda, specializzarsi in un settore. Oggi segui l’omicidio di un boss del narcotraffico e domani la signora salvata dal suo gatto mentre la casa andava a fuoco, il giorno dopo la scritta antisemita sul muro dell’università e quello successivo i trend della fashion week.

(foto e disegno di Salvatore Garzillo)

Comprensione umana per questi colleghi, perfino per quelli che continuano a ripetere che volevano fare altro nella vita e che sembrano sempre annoiati, qualunque evento coprano. Dall’alluvione alla strage, passando per la rapina del secolo fino al ritrovamento di un bambino scomparso. Guagliù (che è unisex), non continuate a soffrire così, si può fare altro nella vita.

Comprensione per loro perché ancora non hanno capito il privilegio di vivere la realtà e contribuire al suo racconto.

Non introduco il tema dei compensi – che sono ridicoli e spesso mortificanti della professionalità – perché siamo tutti pagati male, in questo c’è una democratica distribuzione della miseria. Tuttavia, c’è chi lavora bene e con passione, e chi si comporta come un passante della vita.

E dire che il giornalismo di provincia, che rispetto molto e che a volte resta un baluardo di autenticità, è pieno di campioni che hanno solo la sfortuna di giocare nella squadra sbagliata.

Piena solidarietà, invece, ai colleghi di tv, web e agenzie, costretti ad avere sempre tutto, qualunque dichiarazione o frame perché – come mi ha detto un videomaker durante l’ultimo appostamento davanti al tribunale di Pavia – “anche se non so chi sia o cosa dica, va registrato perché passa qui davanti, tanto poi ascoltano e capiscono in redazione”. È la pesca a strascico, prendi tutto e poi in porto capisci cos’hai da vendere nella rete.

(disegno di Salvatore Garzillo)

Del resto la si chiama “tonnara”, come la tecnica di pesca, quell’assembramento di telecamere e microfoni attorno a una persona che speri abbia una dichiarazione valida. Gli avvocati di Stasi e di Sempio sono diventati i principali “tonni” (nel senso di prede pregiate) di questi mesi. Circondati da obiettivi di ogni dimensione e abbattuti dalle domande che dopo un po’ sono diventate semplicemente «quali sono le novità?». La tonnara dall’esterno sembra una rissa con un sacco di oggetti che non trovi durante una rissa, tipo una telecamera da 10 chili e registratore di 25 centimetri. Ma la foga è quella.

(disegno di Salvatore Garzillo)

Il 16 maggio 2025, il primo giorno di incidente probatorio, all’ingresso del tribunale di Pavia ci sono giornalisti e operatori di qualunque testata, forse una quarantina di persone.

All’arrivo di ogni parte in causa, un gruppo di quaranta persone si muove disordinato per raggiungere la posizione migliore e rapidamente si ricompatta a testuggine finché ognuno ha un suo spazio minimo di registrazione. Spuntano mani con microfoni da ogni angolo. Nello strato più esterno ci sono gli operatori con le aste che coprono anche la via di fuga dall’alto. Sembrano lance.

(disegno di Salvatore Garzillo)

Sembra l’inizio di un pestaggio. Ma nessuno si fa male, anzi capita di essere tutti messi ko dall’intervistato. Come quando appaiono i personaggi bonus, tipo Corona. Ed è in quei momenti che bisogna ricordare la prima regola di questo fight club: in un mondo buio bisogna imparare a distinguere una luce da un fumogeno. Una notizia vera da una presunta, un diversivo da un’informazione. Solo che ci vuole tempo e competenza, due cose che la fabbrica delle notizie fatica a capire. Il problema è del lettore/spettatore/ascoltatore, che sempre più di frequente riceve un racconto parziale e dettagli inutili che annacquano una storia.

(disegno di Salvatore Garzillo)

Ah, ma chiariamoci, io sono lì in mezzo alla tonnara. Non è che stia giudicando dall’esterno col dito puntato. No no, sono lì in mezzo a sgomitare per una dichiarazione importantissima, fondamentale, imperdibile. Almeno per i prossimi nove minuti. Non sbircio dallo spioncino, sono dentro il Deadline Club. E in questo club c’è un solo avversario, la consegna.

STORIE/IDEE

Da leggere con calma, e da pensarci su