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  • Mercoledì 1 ottobre 2025

Anche i detenuti senza casa potranno scontare la pena fuori dal carcere

Il ministero della Giustizia ha istituito per la prima volta un elenco di strutture e ha messo dei soldi, ma non è detto che funzionerà

Una persona senza dimora a Torino nel 2020 (ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
Una persona senza dimora a Torino nel 2020 (ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
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Martedì 30 settembre è entrato in vigore un decreto del ministero della Giustizia che per la prima volta stabilisce le modalità con cui i detenuti senza dimora potranno scontare la pena fuori dal carcere.

Il decreto riguarda una questione importante. Le misure alternative al carcere – come la detenzione domiciliare – sono considerate fondamentali e molto efficaci nel percorso di reinserimento delle persone detenute, ma per chi non ha un domicilio di riferimento in cui scontarle accedervi è quasi impossibile. Spesso, tra l’altro, i detenuti senza dimora vengono condannati per reati minori, anche legati alle condizioni di povertà in cui si trovano: così finiscono per scontare in carcere pene lievi, che in condizioni sociali ed economiche migliori sconterebbero all’esterno.

Il decreto appena entrato in vigore non prevede la costruzione di nuove strutture, ma istituisce un elenco a cui possono iscriversi le strutture residenziali già esistenti che sono disponibili a ospitare persone detenute. Al programma verranno destinati sette milioni di euro l’anno.

Sulla sua praticabilità ci sono varie incognite: dipenderà dal numero di strutture che si iscriveranno all’elenco e da quanto i fondi riusciranno a coprire le spese. La permanenza dei detenuti nelle strutture sarà infatti a carico del ministero, ma per un massimo di otto mesi, dopo i quali il detenuto dovrà trovare un domicilio autonomo: è un tempo molto limitato, tenendo conto delle condizioni di partenza di molte di queste persone, che rischiano quindi di tornare in carcere.

Il decreto appena entrato in vigore era stato approvato lo scorso luglio ed era stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, la fonte di tutte le leggi italiane, a metà settembre. Stabilisce criteri uniformi sui requisiti necessari per le strutture che vogliono iscriversi all’elenco, su quelli che devono avere i detenuti che facciano richiesta di scontarci la pena, sui tempi, sulle modalità e sulla gestione economica della misura.

Possono fare richiesta di iscrizione all’elenco tutte le strutture residenziali o semiresidenziali (cioè attrezzate con camere per il pernottamento e con zone o locali in cui sia possibile svolgere attività diurne) che svolgano già attività in ambito sociale, sanitario, culturale, formativo o lavorativo. Possono essere strutture pubbliche, private, gestite da enti pubblici o da associazioni: i criteri sono piuttosto ampi.

In Italia al momento la cosa più simile alle strutture per la detenzione domiciliare che non siano abitazioni private sono le case famiglia protette: sono strutture di accoglienza in cui possono scontare la propria pena fuori dal carcere le detenute madri (che spesso sono di etnia rom, prive di quello che il giudice ritiene un domicilio stabile per valutare praticabile la detenzione domiciliare). Furono istituite nel 2011 ma in Italia ne esistono solo due (a Milano e a Roma) perché non fu prevista nessuna copertura finanziaria da parte dello Stato, e la loro gestione è quindi interamente affidata al cosiddetto terzo settore, cioè organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale.

– Leggi anche: Com’è la vita delle madri detenute in Italia

Una volta accolta la persona detenuta, la struttura deve impegnarsi a realizzare programmi di reinserimento sociale e lavorativo non solo all’interno ma anche all’esterno della struttura. Durante la permanenza della persona detenuta verranno inviati agenti di polizia penitenziaria per tutti i controlli e le visite periodiche del caso normalmente previste dalla detenzione domiciliare.

Per accedere al programma le persone detenute, oltre ovviamente a dover avere i requisiti per poter accedere alle misure alternative, non devono disporre di un domicilio ritenuto idoneo a stare in detenzione domiciliare, devono essere in condizioni di bisogno economico e non devono essere sottoposti a provvedimenti di espulsione dal territorio nazionale, come nel caso di migranti irregolari a cui sia stata rifiutata la richiesta di asilo.

Per poter accedere alla misura la persona deve avere anche alcuni requisiti comportamentali: in carcere non deve aver ricevuto sanzioni disciplinari superiori all’ammonizione (le sanzioni sono di cinque tipi, in ordine di gravità: l’ammonizione è la seconda), non deve aver fatto aggressioni ad altre persone, deve essere in grado di svolgere attività lavorative e in generale aver dimostrato di partecipare attivamente alle attività previste in carcere.

La richiesta deve essere fatta dalla persona detenuta al carcere e dev’essere poi esaminata da un ufficio del ministero della Giustizia (lo stesso che gestisce i fondi per questo progetto). Lo stesso ufficio dovrà indicare in quale struttura dovrà andare la persona detenuta e poi il carcere avrà due mesi per mandarcela. Se il numero di richieste accettate sarà superiore ai posti disponibili e alla copertura finanziaria prevista dal decreto, la possibilità di presentare domande verrà temporaneamente interrotta.

Per capire se i fondi saranno sufficienti bisognerà vedere quante strutture si renderanno disponibili e quanti detenuti faranno domanda: secondo i dati del Garante nazionale dei detenuti, aggiornati a ottobre del 2024, circa il 30 per cento delle persone detenute in carcere in Italia (quindi quasi 20mila persone) avrebbero diritto a scontare la pena fuori dal carcere (tra questi ci sono anche, ma non solo, detenuti senza casa, su cui non ci sono però dati specifici).