Un po’ di dati e grafici per capire meglio il risultato nelle Marche

Tante liste andate male nel centrosinistra, un partito di destra che ha perso 100mila voti e altre cose notevoli

Francesco Acquaroli commenta la vittoria elettorale nelle Marche insieme ad Arianna Meloni, segretaria di Fratelli d'Italia e sorella della presidente del Consiglio (Davide Gennari/LaPresse)
Francesco Acquaroli commenta la vittoria elettorale nelle Marche insieme ad Arianna Meloni, segretaria di Fratelli d'Italia e sorella della presidente del Consiglio (Davide Gennari/LaPresse)
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La vittoria della destra nelle Marche è stata netta: ci sono stati 8 punti percentuali di differenza (52,4 contro 44,4 per cento), ovvero più di 51mila voti, tra il presidente uscente riconfermato Francesco Acquaroli, di Fratelli d’Italia, e lo sfidante Matteo Ricci, del PD. Sono un distacco notevole, ben maggiore rispetto a quello che si attendevano nel centrosinistra, malgrado il pessimismo che pure circolava nelle ultime settimane.

È un risultato abbastanza deludente per tutti i partiti del fronte progressista, se lo si paragona con gli ultimi precedenti. Rispetto alle regionali del 2020, quando PD e M5S si presentarono divisi, ciascuno con un proprio candidato, il partito di Elly Schlein ha perso 2,5 punti percentuali (dal 25 al 22,5 per cento) e, complice la minore affluenza di questo turno, poco meno di 30mila voti. La lista del M5S è passata dal 7,1 del 2020 al 5 per cento: 16mila voti persi.

Anche le liste riconducibili a Matteo Renzi sono scese dal 3,1 per cento del 2020, quando Italia Viva era stata da poco fondata, all’1,9 per cento di quest’anno: cosa che consente a Italia Viva di eleggere comunque un consigliere regionale, ma con un evidente calo dei consensi. Quanto ad Alleanza Verdi e Sinistra, ogni confronto col 2020 è praticamente impossibile, visto che allora si presentarono divisi, sotto liste civiche diverse e tra loro concorrenti.

Nella destra, al contrario, Fratelli d’Italia e Forza Italia sono cresciuti sia in termini assoluti (malgrado il maggior astensionismo) sia in termini percentuali, rispetto a 5 anni fa. Il partito di Meloni, che nel 2020 ottenne un comunque lusinghiero (per l’epoca) 18,6 per cento, ora è salito al 27,4 per cento, guadagnando poco meno di 40mila voti. Forza Italia è passato dal 5,9 all’8,6 per cento, ovvero 12mila voti in più. Chi ha perso voti, a destra, è la Lega di Matteo Salvini: dal 22,3 per cento del 2020 è passata al 7,4 per cento; da quasi 140mila voti a poco più di 40mila (ben 100mila voti in meno).

Gli andamenti sono coerenti se si prendono come termine di paragone le ultime elezioni di rilievo, e cioè le europee di giugno del 2024. Nella destra, la Lega ha fatto un po’ peggio di un anno fa, Forza Italia un po’ meglio, FdI ha perso 5,5 punti percentuali, ma si è confermato comunque primo partito assoluto. Nel complesso, gli equilibri nella coalizione sono rimasti grosso modo gli stessi: lo scenario di un cedimento della Lega, che avrebbe potuto compromettere la stabilità della coalizione, non si è verificato.

Per le opposizioni rispetto alle europee è significativo soprattutto il calo del M5S (quasi 5 punti in meno). AVS ha perso solo 1,5 punti ma si è interrotta una tendenza di progressiva crescita che c’era stata negli ultimi tempi.

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Guardando questi dati da un punto di vista meno locale salta all’occhio un fattore, tra gli altri: i consensi ottenuti da Ricci a questo turno sono minori della somma di quelli che ottennero PD e M5S correndo separatamente nel 2020. Alle scorse regionali il candidato del PD Maurizio Mangialardi prese il 37,3 per cento, quello del M5S Gian Mario Mercorelli l’8,6: sommati avrebbero fatto 45,9 per cento, un punto e mezzo in più di quanto ottenuto da Ricci. Il suo risultato è invece in linea con la somma dei consensi ottenuti dalle varie liste di centrosinistra alle europee del 2024 nelle Marche (43,7 per cento).

Sono tutti calcoli che vanno presi con una certa cautela, perché le circostanze e i sistemi di voti non sono gli stessi, e dunque ogni paragone diretto sarebbe scorretto. Ma c’è comunque un dato politico che emerge, al di là delle minime variazioni percentuali: cioè che il fatto di aver consolidato una coalizione unitaria di centrosinistra non basta, di per sé, a dare un valore aggiunto ai candidati sostenuti dai partiti progressisti.

Per analizzare il voto regionale è invece più utile un’analisi su com’è andato il voto nei territori. C’è un dato interessante: il distacco tra la somma dei voti delle liste delle due coalizioni è ancora più ampio di quello tra Acquaroli e Ricci ed equivale a oltre 10 punti percentuali (53,7 per cento per la destra contro il 43,4 per cento per il centrosinistra), ovvero 58mila voti. Significa, per farla facile, che Ricci ha convinto più della coalizione che lo sosteneva: questo nonostante l’inchiesta giudiziaria che lo ha coinvolto, e che senza dubbio gli ha tolto un po’ di slancio e di credibilità personale. Non è stato sostenuto da liste altrettanto forti. Per Acquaroli, invece, è un po’ vero il contrario.

Da questo punto di vista, è rivelatore il dato sulle preferenze personali, quelle ottenute cioè dai singoli candidati nelle varie province. Dei 10 candidati più votati, 5 sono del PD, 4 di Fratelli d’Italia e uno, il più votato di tutti con 9.300 preferenze, è il sindaco di Fermo Paolo Calcinaro, a capo della lista civica di centrodestra I Marchigiani. Ciò dimostra senza dubbio come i partiti di Schlein e Meloni abbiano un peso decisamente preponderante nelle rispettive coalizioni. Tuttavia, c’è un altro dato significativo e che spiega bene la sconfitta del centrosinistra.

Il PD nel complesso non ha fatto male. Rispetto al 2020 gli è mancato un risultato eccezionale di un singolo candidato o di una singola candidata, come fu quello di Andrea Biancani a Pesaro nel 2020, con 10.200 preferenze. La più votata nel PD è stata Valeria Mancinelli, ex sindaca di Ancona, che ha ottenuto 8mila preferenze. Altri tre candidati ne hanno prese più di 6mila, che è comunque un ottimo risultato; e nei voti complessivi bisogna considerare che una parte dei consensi comunque riconducibili al PD sono finiti probabilmente nella lista civica del candidato, “Matteo Ricci Presidente”.

Oltre al PD che ha tenuto botta, nel centrosinistra c’è stato ben poco. In queste regionali i candidati di Lega e Forza Italia che hanno ottenuto più di 2.500 preferenze sono stati 7; tra M5S, AVS e la lista legata a Italia Viva ce n’è stata una sola, Marta Carmela Raimonda Ruggeri del M5S, con 2.600 voti. È un po’ un’eccezione. A parte lei, nel M5S i più votati nelle varie province hanno preso tra le 630 e le 900 preferenze; solo tre candidati di AVS in tutta la regione hanno preso più di mille preferenze. E ancora peggio hanno fatto quelli di Italia Viva. È la dimostrazione evidente della debolezza delle liste dei partiti alleati al PD, che è vera nelle Marche ma anche altrove.