In Svezia le pause sono un’istituzione

Le chiamano "fika" e sono un piccolo pasto che si fa in gruppo nel mezzo della giornata, ormai da secoli

Persone in un bar a Stoccolma (Dagmar Schwelle/laif/contrasto)
Persone in un bar a Stoccolma (Dagmar Schwelle/laif/contrasto)
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«Non saprei proprio come descriverla», ammette Stefano Pintus, gestore di un bar nel centro di Stoccolma, mentre cerca di trovare una definizione il più possibile precisa e condivisibile della fika, un rito sociale che fa parte delle abitudini quotidiane di ogni svedese ma che non è così immediata da spiegare a chi ne sa poco o nulla.

Fondamentalmente si tratta di un momento di pausa in cui si chiacchiera in compagnia, spesso sorseggiando tazze di caffè – tazze decisamente grosse – e mangiando dolci tipici svedesi, come le kanelbullar (girelle alla cannella) o le chokladbollar (palline al cioccolato). O almeno, questa è l’immagine in superficie.

Le chokladbollar (il Post)

Alla fine però, racconta Pintus, la verità è che durante una fika ognuno mangia o beve un po’ ciò che vuole. Anche perché in Svezia, come in molti paesi del Nord Europa, l’offerta di caffetterie di ogni genere è vastissima per via di una notevole tradizione di paste e lievitati. C’è chi preferisce mangiare cornetto e cappuccino, o muffin e caffè filtrato, oppure tè e biscotti. Altri prediligono opzioni salate come panini, pizzette, torte salate e knäckebröd, il pane croccante svedese.

Nei luoghi di lavoro e nelle scuole è stata ormai istituzionalizzata. Ce ne sono almeno due al giorno per spezzare i periodi più lunghi di studio o lavoro: una a metà mattina, tra le 10 e le 11, e una nel primo pomeriggio, verso le 15. Anche in questo caso, però, i criteri sono piuttosto laschi.

Nonostante non sia così immediata da inquadrare e definire, le istituzioni svedesi tengono molto alla tradizione della fika. Negli ultimi anni l’hanno trattata come uno strumento identitario di soft power, un po’ come la musica degli Abba o il design minimalista di Ikea, utile a promuovere l’immagine della Svezia nel mondo e diffondere un’idea di benessere, socialità e qualità della vita. Nei negozi di souvenir di Stoccolma si trovano magliette con scritto «Fika: che altro?» (non è una battuta infantile sul potenziale doppio senso che avrebbe in italiano).

(il Post)

Thomas Blom, docente di Geografia antropica all’Università di Karlstad e autore di studi sulla valenza simbolica e culturale della fika, dice che questo rito «non consiste solo nel bere un caffè o mangiare qualcosa, ma nel ritrovarsi, chiacchierare e fare una pausa insieme». Anche la puntualità è importante: «se ci si dà appuntamento per una fika, arrivare in ritardo è considerato piuttosto scortese».

Nei suoi studi Blom ha anche delineato alcune caratteristiche che distinguono la fika dalle tradizioni simili presenti in altri posti e dalle generiche pause dal lavoro o dallo studio. In altri paesi europei, spiega, «le pause caffè sono spesso più individuali e brevi, quindi più funzionali che sociali». In Svezia invece, nella stragrande maggioranza dei casi, la fika è «una parte pianificata e regolare della giornata, sia nella sfera privata che in quella lavorativa».

La fika è inoltre una consuetudine che «prescinde dal ruolo sociale», aggiunge Blom. «Sul posto di lavoro si fa insieme: indipendentemente dal rango o dalla posizione all’interno di un’azienda, è comune che tutti si ritrovino attorno al tavolo del caffè».

La tradizione della fika risale al Diciannovesimo secolo. A metà Ottocento, soprattutto negli ambienti borghesi, le donne iniziarono a invitarsi a casa a vicenda per bere una tazza di caffè insieme in un contesto più rilassato rispetto agli incontri formali. In parallelo cominciò a diffondersi l’abitudine di servire piccoli dolci (torte di zucchero, pane di frumento) e di prestare particolare attenzione alla scelta della tovaglia e delle stoviglie, per non fare brutta figura. Col tempo «questa consuetudine si diffuse anche negli altri strati sociali».

Nel corso del Novecento, e in particolare dopo la Seconda guerra mondiale, la geografia della fika cambiò: «da momento essenzialmente domestico si trasformò sempre più in un rituale urbano», dice Blom. Caffè e pasticcerie divennero luoghi centrali d’incontro e di svago, e mantenendo un’atmosfera informale resero la fika un’esperienza conviviale. Per Blom questo passaggio ha contribuito a farne non solo un’abitudine quotidiana, ma anche «un simbolo di socialità democratica, capace di abbattere barriere tra persone di età, formazione e ruoli diversi».

Sono elementi che la rendono sovrapponibile all’immagine di sé che la Svezia e i paesi del Nord Europa vogliono promuovere, più trasversale ed egalitaria rispetto agli altri paesi occidentali.

(il Post)

Blom aggiunge che la fika è stata storicamente sottostimata come risorsa turistica e culturale, ma negli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato. Le istituzioni svedesi hanno cominciato a utilizzarla per raccontare all’estero i gusti e il ritmo di vita svedesi. Oggi, passeggiando per il centro di Stoccolma, è praticamente impossibile non imbattersi in magliette, tazze, poster e altri souvenir dedicati alla fika, e in città vengono organizzati appositi fika tour guidati in cui i turisti vengono accompagnati nei bar più famosi della città per assaggiare kanelbullar, kardemummabullar e altre specialità.

Blom è anche il fondatore della FikaAkademin, un’organizzazione nata per documentare e preservare la fika come parte del patrimonio culturale immateriale svedese. Si occupa di raccogliere conoscenze, studiare sia il rituale sociale sia le pietanze e le bevande che lo accompagnano, e collaborare con realtà pubbliche e private, in Svezia e all’estero.