La grande storia della patata
Coltivata da migliaia di anni nelle Americhe ci mise dei secoli prima di convincere gli europei, ma poi svolse un ruolo essenziale nello sviluppo globale

Era finora noto che la patata e il pomodoro, entrambi appartenenti alla famiglia delle Solanacee, fossero imparentati tra loro. Ma un recente studio condotto dall’Istituto di genomica agraria di Shenzhen, in Cina, ha chiarito il tipo di parentela: attraverso l’analisi di 128 genomi l’Istituto ha stabilito che il Solanum tuberosum che mangiamo oggi, cioè la patata, è il risultato di un’ibridazione antica avvenuta tra il Solanum lycopersicum (pomodoro) e il Solanum etuberosum, una pianta originaria del Sud America.
Nessuna delle due piante ha le strutture di accumulo di sostanze di riserva a cui ci riferiamo come tuberi, che si sono invece formati con l’ibridazione dando alle patate un enorme vantaggio di crescita in ambienti difficili, permettendo «l’esplosiva diversificazione delle specie» che vediamo e mangiamo oggi, ha spiegato il ricercatore Sanwen Huang. A partire da questa scoperta il giornalista francese Octave Larmagnac-Matheron ha ricostruito la lunga storia «politica, religiosa e filosofica della patata»: un ortaggio, spiega, che ha incontrato notevoli resistenze prima di diffondersi tra tutte le classi sociali e in tutto il mondo.

Immagine dallo studio dell’Istituto di genomica agraria di Shenzhen pubblicato sulla rivista di biologia Cell
La storia della patata inizia in America. I nativi americani probabilmente la consumavano già migliaia di anni fa, dato che i resti di un esemplare di patata selvatica risalente a 13mila anni fa sono stati trovati nel sud del Cile. Furono le civiltà indigene della regione delle Ande intorno al lago Titicaca le prime a piantarla, a coltivarla e a conservarla, anche ad altitudini molto elevate (dai 3 ai 4mila metri). Da lì in poi le patate cominciarono a svolgere un ruolo molto importante nella dieta delle popolazioni andine, insieme al mais. Che comunque prevalse sulla patata, per diversi motivi.
Come ha spiegato in uno dei suoi libri l’antropologo dell’università di Yale James C. Scott, furono sui cereali che vennero costruite le prime civiltà governate da un’autorità centrale: non sulla manioca, sulle patate, sulle arachidi o sulle banane, piante che spesso fornivano più calorie rispetto a grano e orzo e che richiedevano meno sforzi, ma che non potevano essere tassate facilmente come i cereali. Il grano prevalse per ragioni «di visibilità, divisibilità, calcolabilità, conservabilità e trasportabilità», spiega Scott.
I cereali erano facili da immagazzinare e poiché i campi erano ben visibili e il raccolto maturava tutto in un breve periodo di tempo era impossibile per i coltivatori sfuggire all’esattore delle tasse. Tuberi o radici potevano essere lasciate nel terreno più a lungo, potevano essere raccolte sul lungo periodo e non è un caso, per Scott, che le comunità di varie parti del mondo che dipendevano da tuberi o radici raramente si svilupparono in stati centralizzati.

Una donna raccoglie patate vicino a una parte prosciugata del lago Titicaca, Puno, Perù, 30 novembre 2023 (AP Photo/Martin Mejia)
Nelle culture indigene del continente americano, come quella degli Inca, la patata era comunque insieme al mais un alimento vitale e divenne anche oggetto di culto. Nella regione di Cuzco, sulle Ande peruviane, sono state rinvenute ceramiche a forma di patata che aveva tra l’altro una propria dea protettrice, chiamata Axomama.
Fu con l’arrivo dei conquistadores e della loro sanguinosa colonizzazione che la patata abbandonò il continente americano. Probabilmente arrivò nei porti spagnoli intorno al 1534 e da lì si diffuse gradualmente in tutt’Europa cominciando a comparire nelle opere botaniche dell’epoca.
Questo ortaggio, tuttavia, non entrò subito nelle diete, se non in periodi di grande carestia. Inizialmente fu addirittura considerato inadatto al consumo e apprezzato più per le sue virtù terapeutiche o ornamentali della pianta da cui cresceva, che per quelle culinarie. Lo si trovava più facilmente negli ospedali che nelle cucine, ospedali dove veniva utilizzato per curare eczemi, ustioni e calcoli renali. Re Filippo II di Spagna arrivò persino a inviare delle piante di patata a papa Pio IV per aiutarlo a combattere la sua malattia di cui comunque, nel 1595, morì.
L’appartenenza della patata alla famiglia delle Solanacee, una delle più ricche di specie pericolose e tossiche, era già stata individuata alla fine del Cinquecento dal botanico svizzero Gaspard Bauhin. Per questo la patata era vista con sospetto come rilevò lo scrittore Alexandre Dumas, autore di Il conte di Montecristo, ma anche di Il grande dizionario di cucina, che nel 1873 parlò degli «assurdi pregiudizi» che impedirono a lungo di apprezzarla «per il suo giusto valore».
Con i suoi tuberi la patata venne insomma classificata alla pari della mandragola o della belladonna, piante della famiglia delle Solanacee storicamente legate alla stregoneria, e in parte tossiche. Venne poi associata al tartufo, considerato un fungo terrificante, definito il “fungo del diavolo”, che cresceva sottoterra ed era sensibile ai cicli lunari. La patata venne infine accusata di diffondere la peste o la lebbra (il parlamento di Parigi nel 1748 ne vietò addirittura la coltivazione per non trasmettere le infezioni), e poiché era così mal considerata veniva data in pasto, come riportò Victor Hugo nel suo romanzo L’uomo che ride del 1869, «a maiali e detenuti», quasi fosse «spazzatura».

Un mercato di patate a Cusco, Perù, 27 gennaio 2023 (AP Photo/Rodrigo Abd)
Fu solo dalla metà del XVIII secolo che la patata cominciò a essere consumata in Europa, ma prima di essere accettata come un alimento vero e proprio il suo scopo principale fu quello di arginare le carestie: quelle francesi che si svilupparono tra il 1769 e il 1770, ad esempio, quando la patata tornò al centro dell’interesse soprattutto grazie ad Antoine Parmentier (1737-1813).
Parmentier fu agronomo, nutrizionista e farmacista nell’esercito durante la Guerra dei sette anni quando venne fatto prigioniero in un carcere prussiano e venne costretto a mangiare patate, scoprendone le qualità nutritive. Una volta tornato, Parmentier partecipò a un concorso indetto dal comune di Besançon che chiedeva di indicare i vegetali che in tempi di carestia avrebbero potuto sostituire quelli comunemente usati. Lui rispose con una memoria intitolata Examen critique de la pomme de terre (Esame critico della patata) in cui scrisse:
«I nostri soldati hanno mangiato una quantità considerevole di patate durante l’ultima guerra; hanno persino esagerato senza esserne disturbati; sono state la mia unica risorsa per più di due settimane, e non ne sono stato fiaccato».
Parmentier continuò a pubblicare scritti sulle patate dedicandosi alla loro promozione. Si racconta che convinse la regina Maria Antonietta ad adornarsi i capelli con fiori di patata e che organizzò cene d’alta società a base di questo tubero.
Le classi lavoratrici rimasero più sospettose verso le patate e per incoraggiarne il consumo Parmentier escogitò un trucco: le fece piantare in campi sorvegliati da soldati armati facendo intendere che si trattasse di un cibo prezioso. Quando una notte decise di abbassare la guardia, le patate vennero rubate e cominciarono così a essere consumate. Luigi XVI ringraziò Parmentier per aver «inventato il pane dei poveri», cioè un pane fatto con la farina di patate.

Lavoratori e lavoratrici in un campo di patate a Guines, Cuba, 26 marzo 2021 (AP Photo/Ramon Espinosa)
Nella Francia rivoluzionaria, come scrisse Dumas, «le patate erano considerate così indispensabili che un decreto della Comune ordinò il 21 ventoso (il sesto mese del calendario rivoluzionario) di censire i giardini di lusso per destinarli alla coltivazione di questo ortaggio; di conseguenza, il grande viale del giardino delle Tuileries e le aiuole fiorite furono coltivate a patate». Per Napoleone, invece, «un esercito di mangiatori di patate non avrebbe mai potuto sconfiggere un esercito di mangiatori di grano».
Diversi eventi accelerarono la diffusione della coltivazione della patata. Nel 1816, conosciuto come l’anno senza estate o come l’anno della povertà, delle anomalie climatiche distrussero gran parte dei raccolti europei. La patata non fu completamente risparmiata, ma si dimostrò più resistente alle forti variazioni climatiche, al freddo e all’umidità rispetto ai cereali diventando gradualmente un elemento essenziale della dieta.
Questo entusiasmo fu smorzato dalla grande carestia irlandese tra il 1845 e il 1852, quando alla politica economica britannica, alle condizioni dell’agricoltura e al brusco incremento demografico si aggiunse la diffusione della peronospora, malattia fungina che distrusse le coltivazioni di patate. Tuttavia, furono presto sviluppate delle varietà resistenti e la produzione, infine, riprese continuando a diffondersi per tutto il XIX secolo, e in particolare nell’Europa settentrionale, dove la coltivazione dei cereali era più difficile. I mangiatori di patate, quadro di Vincent van Gogh del 1885, testimonia la penetrazione del tubero nelle classi lavoratrici. La patata divenne insomma, racconta sempre Dumas, «un ortaggio eccellente», «un alimento vero, sano, facile ed economico».
Per diversi storici fu dopo l’ampio consumo di patate che gli europei vissero l’espansione demografica e quella industriale. Il filosofo marxista Friedrich Engels paragonò l’importanza della patata a quella del ferro sostenendo che in sua assenza la Rivoluzione industriale non sarebbe mai avvenuta, poiché i lavoratori non avrebbero avuto le calorie e l’energia necessarie a sostenere i duri ritmi del nuovo lavoro. In L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884) scrisse: «Il ferro è l’ultima e la più importante di tutte le materie prime che hanno svolto un ruolo rivoluzionario nella storia. L’ultima (…) fino alla patata».

Donne al lavoro in un campo di Narsinghpur Kachhua, India, 7 marzo 2020 (AP Photo/Rajesh Kumar Singh)
Altri studiosi sottolineano il ruolo della patata nell’approvvigionamento degli eserciti, ma anche nella riduzione delle rivolte, spesso legate al prezzo del pane, sostenendo che la sicurezza alimentare a cui la patata diede un contributo fondamentale fu, in una certa misura, anche un fattore di pacificazione.
Alla fine, la patata è diventata una sorta di simbolo nazionale, per molti paesi. È un elemento fondamentale del patrimonio culinario e gastronomico francese: costituisce l’altro ingrediente della steak frites francese, che per l’intellettuale Roland Barthes è il piatto per eccellenza dell’identità del suo paese, un «grande mito nazionale». Le patatine fritte non a caso sono chiamate “french fries” dagli anglofoni.
La Francia non è certo un’eccezione. Per diversi paesi, come la Norvegia, la patata è infatti uno dei simboli dell’identità nazionale, il risultato ben riuscito di un’appropriazione identitaria.
Le patate sono oggi coltivate in tutto il mondo a quasi tutte le latitudini, su una superficie di circa 170mila chilometri quadrati. La produzione globale, secondo il database della FAO, è di circa 383 milioni di tonnellate annue, con Cina e India al primo posto. Qu Dongyu, direttore della FAO, ha detto che la produzione di questa coltura, che esige poco in termini di terra e acqua e il cui 85 per cento viene consumato, dovrebbe «raddoppiare nei prossimi 10 anni»: per affrontare i gravi futuri problemi di carestia e malnutrizione.



