Bere una birra senza alcol è sempre meno strano
Nei pub e nei supermercati se ne trovano sempre di più, e non sono più associate soltanto a donne incinte e persone astemie

Durante il recente Gran Premio di Formula 1 di Monza è stato trasmesso uno spot di Heineken sulla sua birra analcolica, con il pilota Max Verstappen come testimonial. Fino a un po’ di tempo fa sarebbe stato insolito visto che la birra e il suo contenuto alcolico sono strettamente associati all’idea tradizionale di maschilità, quella richiamata dalla maggior parte delle pubblicità trasmesse durante le gare motoristiche. Ma bere una birra analcolica è sempre meno strano, e lo dicono anche i dati. Il settore in Italia è in forte crescita: nel 2024 rappresentava il 2,11 per cento del totale dei consumi di birra, con un aumento annuale del 13,4 per cento, rispetto all’1,86 del 2023.
È una cosa di cui ci si può accorgere in molti pub e locali, specie nelle grandi città, ma soprattutto sugli scaffali dei supermercati dove ora è facile trovare versioni alcol free delle birre più popolari. Le birre analcoliche sono sempre meno associate a categorie specifiche come donne incinte o persone che non possono bere per motivi di salute o religiosi. L’idea che la scelta di non bere sia consapevole e legata a uno stile di vita più sano è stata in parte sdoganata, anche grazie alle maggiori sensibilità sui rischi legati al consumo di alcol. La generazione Z, quella dei ventenni, è poi meno affezionata all’idea di bere alcol in grandi quantità.
In molti casi, le birre analcoliche oggi hanno un gusto che ricorda molto quello delle birre alcoliche: il sapore cambia di marchio in marchio, e per alcune l’impressione può essere effettivamente quella di bere un’altra bevanda, ma la maggior parte è paragonabile alla versione tradizionale sia nel sapore sia nella capacità di dissetare, anche se molte persone percepiscono l’assenza di alcol.
Se la pubblicità di Verstappen faceva esplicito riferimento alla guida sicura e non a uno stile di vita più sano, l’attore britannico Tom Holland, noto per aver interpretato Spider-Man in vari film dell’universo Marvel a partire dal 2016, ha fondato un marchio di birre analcoliche anche perché lui da due anni è astemio. In occasione del lancio ha detto che voleva creare qualcosa che potesse riflettere il suo stile di vita e i suoi valori.
Oltre ad aumentare il rischio di insorgenza di tumori, l’alcol contiene molte calorie, che sono assenti o molto inferiori nelle birre analcoliche: contengono quindi solo quelle legate alla presenza di zuccheri. Secondo l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, in una birra analcolica ci sono circa 10 chilocalorie ogni 100 millilitri, mentre una birra chiara leggera ne contiene 20. Molte persone si sono abituate da tempo a bere la birra analcolica perché fa ingrassare meno.
La produzione di birre tradizionali da un paio d’anni sta crescendo molto meno rispetto a quella di birre analcoliche, soprattutto nei paesi dell’Unione europea, dove si beve molta birra. Tra il 2023 e il 2024 la produzione di quelle analcoliche è aumentata dell’11,1 per cento, mentre quella delle birre tradizionali solo dello 0,6 per cento. In termini assoluti la differenza resta molto ampia: ogni anno in Europa si producono oltre 32 miliardi di litri di birra normale, contro i 2 miliardi di litri di birra analcolica o a basso contenuto alcolico.
La definizione stessa di birra “analcolica” è piuttosto ambigua. Nella maggior parte dei casi queste birre contengono comunque piccole quantità di alcol, perché sono i singoli stati a stabilire i limiti legali. In Italia, per esempio, si possono chiamare analcoliche le birre con un titolo alcolometrico volumico – il modo tecnico di riferirsi alla gradazione alcolica – fino all’1,2 per cento, sensibilmente superiore alla raccomandazione della Commissione europea dello 0,5 per cento.
Anche i grandi marchi di birre, come Heineken, Peroni Nastro Azzurro e Guinness hanno introdotto la loro versione 0.0%, che è più cara di quella normale perché i costi di produzione sono più alti. In Italia molte di queste birre hanno cominciato a essere prodotte all’inizio degli anni 2000: la prima è stata quella del birrificio Moretti, rimanendo però in una nicchia. Negli ultimi anni, complice la maggiore richiesta, le aziende hanno deciso di investire in nuovi formati, in molti casi associando alle birre senza alcol il colore azzurro.
Tra le birre 0.0% più vendute al mondo c’è quella Heineken; in Italia le altre più popolari sono la Moretti, la Peroni Nastro Azzurro e la Corona. Le ultime due in particolare sono ritenute abbastanza simili come gusto a quelle originali.
I posti in cui il consumo sta aumentando di più sono Paesi Bassi, Germania e Belgio, dove tradizionalmente si beve molta birra. Nel 2021 nei Paesi Bassi, uno dei principali esportatori mondiali di birra, è addirittura stata prodotta la prima birra analcolica trappista, ovvero prodotta dai monaci affiliati al monastero cistercense di La Trappe. Nel Regno Unito, dove il consumo smodato di alcol è da sempre al centro di grandi dibattiti, è il governo stesso che incoraggia la diffusione di bevande analcoliche o a basso contenuto alcolico. Nel 2020 a Londra ha aperto addirittura uno tra i primi pub al mondo in cui vengono servite solo birre analcoliche (ha poi chiuso nel luglio del 2025).
Anche negli Stati Uniti questo settore è in espansione da diversi anni: uno dei marchi più celebri è Athletic Brewing Company, che produce anche altre bevande analcoliche, ma l’offerta statunitense fatica a penetrare in Europa dove il mercato è già piuttosto saturo.
Per Andrea Turco, responsabile del sito specializzato Cronache di Birra, si capisce quanto le birre analcoliche siano sempre più richieste dal fatto che anche i birrifici artigianali le stanno considerando con sempre maggiore interesse, nonostante produrle sia significativamente più complesso.
La birra analcolica può essere prodotta in due modi. Si può fare una birra normale a cui poi si rimuove l’alcol a posteriori, che è il metodo utilizzato nelle grandi industrie perché richiede investimenti significativi dal punto di vista dell’impiantistica. Si può eliminare la componente alcolica o attraverso una distillazione o attraverso un procedimento particolare di filtraggio.
Oppure le birre analcoliche si possono produrre evitando la formazione dell’etanolo, limitando il più possibile la presenza di zuccheri e utilizzando lieviti particolari. Il problema di queste birre è che sono instabili dal punto di vista microbiologico: contengono zuccheri che possono fermentare aumentando la pressione, con il rischio che le bottiglie esplodano. Devono quindi essere trattate per essere rese stabili.
Pietro Di Pilato, titolare del birrificio artigianale Brewfist e consigliere dell’associazione di categoria Unionbirrai, dice che uno dei problemi legati a questo tipo di produzione in Italia è che per stabilizzare bisogna pastorizzare, ovvero riscaldare le birre per neutralizzare i microorganismi al loro interno. Questo impedisce di classificarle come birre artigianali, che per legge in Italia non possono essere pastorizzate.
Di Pilato ha cominciato a produrre birra analcolica nel 2023, su suggerimento di un suo distributore, utilizzando stabilizzatori di origine naturale estratti da funghi con proprietà antibatteriche. Da allora Di Pilato ha continuato a produrre birra analcolica, ma solo in lotti molto piccoli e distribuendola localmente: commercializzandola su larga scala infatti aumenta il rischio che, una volta aperta la bottiglia o la lattina, il liquido strabordi a causa della rifermentazione.
Se la produzione diventa su ampia scala serve il pastorizzatore, «che è un macchinario costoso, e finché il mercato delle birre analcoliche non si espanderà ulteriormente molti produttori aspetteranno prima di investire», dice Di Pilato. Anche Unionbirrai si è recentemente occupata della questione e lo scorso aprile ha rimosso il vincolo associativo che impediva l’adesione ai birrifici che pastorizzavano. La pastorizzazione, però, deve essere limitata alle birre analcoliche e non deve essere l’attività principale del birrificio. Non tutti erano d’accordo, ma l’assemblea ha deciso a maggioranza che il precedente vincolo associativo era un ulteriore ostacolo allo sviluppo di un mercato che sta crescendo di più rispetto a quello delle birre tradizionali.



