La Bielorussia ha liberato 52 prigionieri, di cui 14 stranieri, in cambio di alcune concessioni da parte degli Stati Uniti

Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, a destra, stringe la mano al capo delegazione degli Stati Uniti John Coale durante l'incontro a Minsk, Bielorussia, 11 settembre 2025 (Belarusian Presidential Press Service via AP)
Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, a destra, stringe la mano al capo delegazione degli Stati Uniti John Coale durante l'incontro a Minsk, Bielorussia, 11 settembre 2025 (Belarusian Presidential Press Service via AP)

La Bielorussia ha liberato 52 prigionieri di diverse nazionalità che erano detenuti nelle carceri del paese. Lo ha comunicato il presidente lituano Gitanas Nauseda, spiegando che le persone coinvolte sono dirette verso la Lituania assieme alla delegazione degli Stati Uniti che ha negoziato la loro liberazione. È il numero più alto di persone liberate in tempi recenti dal paese del presidente Alexander Lukashenko, uno stretto alleato del presidente russo Vladimir Putin, che governa la Bielorussia in maniera autoritaria dal 1994.

Il mese scorso il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva fatto pressioni su Lukashenko affinché liberasse quelli che Trump aveva definito «ostaggi». L’agenzia di stampa di stato bielorussa Belta ha detto che tra di loro ci sono 14 persone provenienti da Lituania, Lettonia, Polonia, Francia, Germania e Regno Unito. Al contempo ha annunciato che in cambio gli Stati Uniti hanno revocato alcune sanzioni che avevano imposto a Belavia, la compagnia aerea nazionale.

Secondo Viasna, un’ong che si occupa di diritti umani con sede a Minsk, nelle carceri bielorusse sono detenuti oltre 1.200 prigionieri politici, molti dei quali accusati in maniera pretestuosa. A fine giugno la Bielorussia aveva già liberato Sergei Tikhanovsky, il leader dell’opposizione a Lukashenko, che nel 2021 era stato condannato a 18 anni di carcere con l’accusa di aver organizzato rivolte di massa, incitato alla violenza e ostacolato lo svolgimento delle elezioni del 2020, che come le precedenti non erano state democratiche.

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