• Scienza
  • Mercoledì 10 settembre 2025

La vita su Marte resta un mistero

Il rover della NASA Perseverance ha trovato nuove tracce compatibili con antiche forme di vita sul pianeta, ma potrebbero essersi formate in altro modo

L'area di Jezero dove Perseverance ha raccolto i campioni contenenti i nuovi indizi (NASA)
L'area di Jezero dove Perseverance ha raccolto i campioni contenenti i nuovi indizi (NASA)
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Nel 2024 una roccia analizzata da Perseverance, il rover della NASA che da quattro anni esplora Marte, suscitò particolare interesse perché sembrava essere una buona candidata per trovare le tracce di qualche microbo anticamente vissuto sul pianeta. A distanza di un anno, uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature ha aggiunto nuovi elementi, ma non ha portato a prove certe sul fatto che almeno miliardi di anni fa ci fosse qualche forma di vita su Marte. Le tracce ci sono, ma potrebbero essere state prodotte da reazioni chimiche che non c’entrano direttamente con la vita, almeno per come la intendiamo qui sulla Terra.

Perseverance fu inviato su Marte all’inizio del 2021 per esplorare un cratere largo quasi 50 chilometri chiamato Jezero, cioè lago in diverse lingue slave, che si trova sul lato occidentale della grande pianura Isidis Planitia. Era stata scelta quella zona perché si ritiene che un tempo Jezero ospitasse un fiume che sfociava in un lago. Il corso d’acqua avrebbe portato con sé i sedimenti e i minerali, che nel lago avrebbero costituito la giusta ricetta per alimentare microbi e forse altre forme di vita. Perseverance ha con sé diversi strumenti, compresi alcuni per prelevare campioni di rocce e farne un’analisi, per quanto non approfondita come si potrebbe fare in un laboratorio terrestre.

Sul fondo del cratere Jezero, alcuni anni fa Perseverance scoprì alcune rocce formate da magma solidificato e contenenti particolari minerali (olivina e pirosseni), portando ulteriori elementi alle ipotesi sul fatto che quell’area in passato fosse soggetta ad attività vulcanica. L’anno scorso tramite il rover fu identificata una roccia con una forma che ricorda quella di una freccia, dal quale aveva prelevato un po’ di materiale con i propri strumenti.

Il campione analizzato da Perseverance (NASA)

L’analisi portò a rilevare piccoli puntini verdi, costituiti da fosfati e solfuri di ferro, che di solito sono il risultato di particolari reazioni chimiche (ossidoriduzione). Sulla Terra si trovano spesso nei depositi dei laghi di acqua dolce, nelle paludi e negli estuari dei fiumi, ambienti che forse un tempo era possibile trovare anche a Jezero. I microbi che si nutrono di materia organica possono produrre quei minerali come sottoprodotti delle loro attività per sopravvivere.

Il nuovo studio su Nature descrive in profondità il fenomeno, ma è molto cauto nel concludere che quelle su Marte siano antichissime tracce di vita. Quei composti possono infatti avere origine anche in reazioni chimiche di altro tipo, senza che sia coinvolta la vita. Lo si può fare anche sulla Terra in laboratorio portando le rocce a temperature intorno ai 120 °C, ma quelle su Marte non sembrano mostrare segni di temperature così alte risalenti al passato. Nelle stesse rocce sono stati inoltre trovati indizi su alcuni composti organici, cioè molecole a base di carbonio e idrogeno, che sono tra i principali costituenti per la vita. Anche in questo caso, comunque, potrebbero essersi formati in processi non biologici.

Gli astrobiologi della NASA hanno proposto da tempo una scala di fiducia in sette fasi per confermare eventuali segni di vita extraterrestre e gli indizi trovati su Marte corrispondo per ora al primo gradino: è necessario escludere tutte le possibili spiegazioni non biologiche e trovare più segnali che indichino la stessa cosa. Perseverance del resto non è stato progettato per dimostrare in modo definitivo la presenza di queste tracce. I campioni dovrebbero essere quindi portati sulla Terra per analisi più approfondite, ma trasferire qualcosa da Marte non è semplice.

Un selfie di Perseverance su Marte (NASA)

Lo dovrebbe fare la missione Mars Sample Return, che si sta però rivelando molto complessa da organizzare e che ha accumulato numerosi ritardi. Il piano originario non dovrebbe consentire di portare i campioni marziani sulla Terra prima del 2030, ma la NASA sta esplorando la possibilità di missioni alternative meno costose, e gestite da aziende private. In un laboratorio terrestre potrebbe essere comunque difficile stabilire l’effettiva origine di quelle tracce, raccolte da un robot, l’unico certo abitante di quel lontano cratere.