Chi fa il pieno agli aerei in Italia
È un'operazione diventata più complessa con i voli in costante aumento, per questo si sono specializzate tre aziende che si spartiscono il mercato
di Francesco Gaeta

Ogni giorno dai 45 aeroporti italiani decollano in media poco più di 2.300 aerei. Per far sì che ogni decollo vada liscio servono molti passaggi, e uno dei più importanti è quello in cui gli aerei vengono riforniti di carburante: un operatore collega l’autobotte alla presa sotto l’ala, esegue alcuni controlli di qualità e sicurezza, e poi immette a bordo i litri richiesti. È un’operazione delicata, soprattutto nei mesi estivi in cui i voli sono di più.
Fino a qualche tempo fa erano le compagnie petrolifere a provvedere direttamente a rifornire gli aerei, mentre oggi preferiscono affidarsi ad aziende private specializzate, perché l’aumento del traffico aereo ha comportato un aumento dei mezzi necessari e del personale specializzato, e quindi dei costi. È nato così un nuovo mercato che in gergo viene definito into-plane fueling, che in Italia è dominato da tre operatori: si chiamano Carboil, Levorato Marcevaggi e Nautilus, hanno sede rispettivamente a Reggio Calabria, Venezia e Palermo e, pur essendo nate come piccole imprese familiari, sono poi cresciute nel tempo su una scala nazionale e internazionale. Ogni anno si contendono quell’intervallo di tempo, variabile da meno di mezz’ora a poco più di un’ora a seconda delle tratte, in cui fare il pieno a un aereo.
Il rifornimento segue fasi rigide e standardizzate a livello internazionale. L’autobotte si posiziona in prossimità dell’ala e, attraverso una presa, collega a terra se stessa e l’aereo per scaricare l’elettricità statica, ed evitare il rischio di scintille e corto circuiti. Prima di iniziare, l’operatore preleva un piccolo campione di carburante per verificare che sia limpido e senza particelle, e che abbia il giusto grado di densità e temperatura. Poi imposta la quantità e avvia il flusso tenendo premuto un pulsante che chiude tutto se viene rilasciato. Significa che per garantire il flusso il pulsante deve rimanere premuto, così se l’operatore dovesse sentirsi male e rilasciarlo il flusso si interrompe (per questo i dispositivi di questo tipo vengono definiti “a uomo morto”).
Tutto questo perché un’autobotte può erogare da 800 a 2.800 litri al minuto, a una velocità fino a 14 volte superiore a quella di un distributore stradale: anche perdere il controllo per pochi secondi sarebbe pericoloso. Un’altra cosa da tenere sotto controllo sono i filtri per evitare che passi anche una sola goccia d’acqua, cosa che farebbe spegnere i motori.
Le autobotti arrivano a pesare fino a 50 tonnellate. In aeroporto possono viaggiare a una velocità massima di 25 chilometri all’ora per ridurre il rischio di incidenti. A Fiumicino e a Malpensa, comunque, non vengono usate autobotti perché c’è una rete sotterranea che collega i depositi di stoccaggio del carburante alle piazzole di sosta degli aerei. Le tre società utilizzano quindi mezzi più piccoli (si chiamano hydrant dispenser) che fanno a meno del serbatoio, con i quali si allacciano direttamente sottoterra per prelevare il carburante.
La quantità di carburante e il tempo del rifornimento dipendono innanzitutto dal tragitto. Un volo nazionale richiede tra 2.000 e 10.000 litri di cherosene, uno intercontinentale può avere bisogno di 120.000 litri (i SUV compatti generalmente hanno una capacità del serbatoio di 40-50 litri, giusto per avere un’idea delle dimensioni).
Il cherosene è un derivato del petrolio con caratteristiche diverse da benzina e gasolio, per esempio ghiaccia a temperature molto più basse. La quantità imbarcata tiene conto delle previsioni meteo e in particolare della forza e direzione dei venti. Considerando tutti questi fattori, fare un pieno può richiedere da 25 a 70 minuti a seconda dell’aereo. Nel caso di compagnie low cost, che tendono a ottimizzare i tempi in cui gli aerei restano a terra, il rifornimento viene fatto in parallelo all’imbarco dei passeggeri per risparmiare tempo, con procedure di sicurezza rafforzate.
Fino ai primi anni Duemila i depositi di cherosene (e i rifornimenti) erano gestiti quasi ovunque dalle compagnie petrolifere, in associazione di impresa con gli aeroporti. Gli effetti erano un mercato poco concorrenziale, un costo del carburante più alto per le compagnie aeree e dunque biglietti più cari per i passeggeri. L’apertura alla concorrenza avvenne con una direttiva europea che liberalizzava il cosiddetto handling aeroportuale, cioè le operazioni accessorie ai voli di uno scalo, e che fu recepita in Italia nel 1999. Tra i servizi liberalizzati c’era anche “carburante e olio”, inclusi magazzinaggio, controllo qualità ed esecuzione del rifornimento. In Italia il mercato si aprì così a più operatori, e le compagnie petrolifere iniziarono a esternalizzare il servizio: nel 2009 Esso, Eni e Kuwait Petroleum, che operavano in grandi scali come Malpensa, Fiumicino, Linate, Napoli e Palermo, cedettero ai privati depositi e servizio di rifornimento.
Oggi tra le compagnie petrolifere solo la britannica British Petroleum e la statunitense World Fuel Services gestiscono direttamente depositi e operazioni di rifornimento in alcuni scali italiani.
Tra gli operatori specializzati che sono nati per effetto dell’apertura del settore, il maggiore è Carboil, che è presente in 23 aeroporti italiani: lo scorso anno l’azienda ha fatto 374.000 rifornimenti, quindi una media di più di 1.000 al giorno, arrivando a impiegare durante i picchi estivi fino a 350 operatori. Ci sono poi Nautilus, che è in 13 aeroporti, e Levorato Marcevaggi (9 aeroporti). Nel 2024 Carboil ha avuto un fatturato di 51,3 milioni, cresciuto tra l’8 e il 10 per cento all’anno negli ultimi 8 anni. È una crescita consequenziale a quella delle compagnie low cost, e quindi delle tratte e del numero di voli che, salvo che durante la pandemia, non hanno avuto cali.
In Italia la concorrenza degli operatori viene regolata da un sistema di gare a incrocio. Per ogni scalo in cui è presente, la compagnia aerea determina quanto carburante le servirà per l’anno successivo e bandisce una gara a cui partecipano le compagnie petrolifere. A sua volta la compagnia petrolifera svolge gare periodiche per assegnare il servizio di stoccaggio e rifornimento tra gli operatori del settore e lo include nel prezzo da praticare alla compagnia aerea. I depositi di stoccaggio da cui il cherosene viene prelevato sono quasi sempre di proprietà degli enti gestori degli scali, e vengono dati in gestione attraverso una gara alla società che effettua il servizio di deposito e rifornimento.
La qualifica di “operatore di rifornimento” delle società non è lasciata al solo datore di lavoro di queste aziende: per effetto di un decreto del ministero dell’Interno del 2011, gli addetti devono essere qualificati e certificati dai vigili del fuoco dopo un corso e un esame finale. La presenza di almeno un operatore certificato è obbligatoria durante il rifornimento, e la certificazione va mantenuta con un aggiornamento biennale (con un corso di almeno 4 ore). Il programma del corso prevede: normativa nazionale e internazionale, chimica e fisica dell’incendio, gestione dei liquidi infiammabili, uso degli estinguenti, procedure operative con e senza passeggeri a bordo, gestione delle emergenze (sversamenti, incendio, evacuazione) ed esercitazioni pratiche al fuoco, con verifica teorico-pratica finale. La formazione e l’aggiornamento biennale gestiti da un ente esterno sono una specificità italiana rispetto ad altri paesi, dove l’addestramento è in genere fornito dalla stessa società che eroga il servizio di rifornimento.
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