Cos’è questa storia degli smalti vietati
Il divieto nell'Unione Europea del TPO, una sostanza per fare indurire quelli semipermanenti e in gel, ha generato incomprensioni e molta confusione

Dal primo settembre nell’Unione Europea è vietato l’utilizzo del TPO (ossido di trimetilbenzoil difenilfosfina) negli smalti semipermanenti e in gel, un ingrediente molto diffuso e che serve per farli indurire. Il divieto, che deriva da una revisione sugli effetti sulla salute di questa sostanza, è stato accolto da grandi polemiche e proteste soprattutto da parte dei centri estetici che avevano ancora scorte, che ora non possono più usare.
Sui social non sono mancati messaggi e commenti preoccupati da parte di chi utilizza abitualmente gli smalti semipermanenti, amplificati da alcuni titoli allarmistici sui giornali. Il risultato è che una normale revisione europea sulla sicurezza di una sostanza — una pratica di routine — è stata percepita quasi come un allarme sanitario, con molta confusione intorno.
Il Regolamento europeo 1223/2009, cioè quello che stabilisce quali ingredienti possono o non possono essere usati nei cosmetici, viene aggiornato di frequente con l’inserimento, l’esclusione o la revisione delle condizioni di impiego di determinate sostanze. Gli aggiornamenti vengono decisi quando ci sono nuove scoperte dalla ricerca scientifica, che porta a rivedere la pericolosità delle sostanze e il rischio nel loro utilizzo (la pericolosità è intrinseca nella sostanza, il rischio dipende da come la si utilizza). Questo regolamento è tra i più rigidi al mondo e parte dal presupposto che nessuna sostanza, sia una crema cosmetica o uno smalto, debba penetrare nell’organismo e interferire con le sue attività.
Capire quali sostanze si possono o non si possono usare, e in che modo, non è semplice e per questo esistono vari sistemi di classificazione. Il regolamento sui cosmetici si basa sul CLP (Classification, Labelling and Packaging), un altro regolamento che è il riferimento principale per la classificazione delle sostanze nell’Unione Europea. Al suo interno sono previste tre categorie per le sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione (CMR), cioè per quelle sostanze che secondo le conoscenze scientifiche possono essere legate all’insorgenza di tumori, di mutazioni a livello genetico o di problemi nella riproduzione sessuale.
La prima categoria (CMR 1A) comprende le sostanze per cui sono certi gli effetti che abbiamo appena visto, mentre nella seconda (CMR 1B) ci sono le sostanze per cui quegli effetti sono presunti. L’ultima categoria (CMR 2) contiene invece le sostanze di cui si sospetta un effetto cancerogeno, mutageno o tossico, ma per le quali non ci sono ancora prove scientifiche sufficienti.
Il regolamento sui cosmetici dice che tutte le sostanze CMR di categoria 1A e 1B non possono essere usate, salvo rarissime eccezioni. Per la categoria 2 non è invece previsto un divieto automatico e ci sono meccanismi di decisione caso per caso, sulla base di pareri scientifici che la Commissione Europea prende in considerazione prima di decidere.
– Ascolta anche: Il divieto ai TPO raccontato in “Ci vuole una scienza”
Nel 2012 il regolamento CLP era stato aggiornato e aveva inserito l’ossido di trimetilbenzoil difenilfosfina (TPO) nella categoria 2. L’anno seguente la Commissione Europea aveva deciso di proibirne l’impiego nei cosmetici, ma la decisione non era piaciuta ai produttori di smalti semipermanenti e in gel, che avevano chiesto una revisione della sicurezza di questa sostanza proprio in quel tipo di cosmetici. Lo avevano fatto proprio perché una stessa sostanza può costituire un rischio molto basso in certi contesti e utilizzi, e uno più alto in altri.
Gli smalti classici, quelli che si lasciano asciugare all’aria, sono liquidi grazie alla presenza dei solventi: dopo che vengono applicati sull’unghia, i solventi evaporano e le altre sostanze “seccano” aderendo all’unghia. Il problema è che lo strato di smalto è sottile e la sua tenuta è bassa, di conseguenza dopo qualche giorno inizia a scheggiarsi e a staccarsi. Per ovviare a questo problema nel tempo sono stati ideati degli smalti semipermanenti che hanno al loro interno sostanze simili a quelle delle colle istantanee. Dopo averne applicato uno strato, devono essere esposti a una lampada a raggi ultravioletti (quello che informalmente viene chiamato “fornetto”, perché ci assomiglia, anche se non scalda) che fa attivare un “fotoiniziatore”, che a sua volta innesca il meccanismo di solidificazione dello smalto.
Il TPO è una delle sostanze che fanno proprio questo, rendendo possibile l’adesione all’unghia di uno smalto che si deteriora più lentamente e che può durare settimane. La sostanza scompare (o per meglio dire si stabilizza diventando qualcos’altro) durante l’indurimento dello smalto, quindi è presente pressoché solo quando lo si applica e lo si fa indurire.
I produttori di smalti erano interessati a mantenere il TPO più che altro per motivi economici, visto che avrebbero dovuto cambiare tutte le formulazioni e le catene produttive dei loro prodotti. Per questo avevano chiesto alla Commissione Europea una revisione della sua decisione di proibirlo nei cosmetici. La Commissione si rivolse all’SCCS, il comitato scientifico indipendente che analizza dati e studi sugli ingredienti cosmetici, e questo nel 2014 concluse che l’uso del TPO negli smalti era sicuro, a patto che la sua concentrazione non superasse il 5 per cento. In sostanza: il TPO era sospettato di essere pericoloso, ma a quelle condizioni di utilizzo era valutato come sicuro.
Vista la valutazione dell’SCCS, la Commissione Europea autorizzò nuovamente il TPO negli smalti semipermanenti, ma solo in ambito professionale, ritenendo che nei centri estetici il personale in genere sia meglio formato per gestire queste sostanze. Non potevano quindi esserci smalti con TPO per i kit fai-da-te, anche se poi nella realtà dei fatti negli anni seguenti si sarebbero potuti trovare prodotti (talvolta di dubbia provenienza) per uso domestico che lo contenevano. La questione sembrava essere risolta, ma come abbiamo visto col tempo si scopre sempre qualcosa di nuovo con le sostanze.
Fu così anche per il TPO. Tra il 2020 e il 2021 subì una riclassificazione in seguito ad alcuni test di laboratorio condotti su roditori per il settore medico (in quello cosmetico sono vietati i test sugli animali) e passò dalla seconda categoria a quella 1B, dove sono comprese le sostanze che si presume abbiamo effetti cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione. Era un cambio di categoria che valeva in generale per il TPO, tra l’altro su test per ingestione, e che quindi avrebbe avuto ripercussioni diverse a seconda dei regolamenti per le varie categorie di prodotti (una sostanza può essere vietata in un ambito come quello cosmetico e consentita in un altro come quello medico, per esempio in base a una valutazione dei costi-benefici).
Il TPO continuava a essere sicuro negli smalti a una concentrazione del 5 per cento, come da parere dell’SCCS, ma il cambio di categoria aveva comportato che il regolamento dei cosmetici dovesse essere aggiornato per rispecchiare la novità. Visto che tutti i prodotti 1A e 1B sono automaticamente non consentiti nei cosmetici, il TPO era diventato vietato e non poteva più essere impiegato negli smalti. Si sapeva quindi non da questa estate, ma dal 2021, anche se non era stato ancora deciso da quando sarebbe scattato il divieto, visto che i produttori avrebbero impiegato un po’ di tempo a studiare nuove formulazioni e a cambiare alcuni processi produttivi.
Trascorsi tre anni, a gennaio del 2024 la Commissione Europea aveva fissato il termine ultimo per la vendita e l’impiego degli smalti semipermanenti con TPO al primo settembre 2025. Oltre ai tre anni precedenti, le aziende hanno quindi avuto più di un anno e mezzo per mettersi in regola, cosa che hanno fatto sostituendo il TPO con altre sostanze.
A inizio 2024 la notizia non aveva avuto particolare evidenza e di conseguenza numerosi centri estetici hanno appreso del divieto nel corso di questa estate, scoprendo magari di avere scorte di smalti che non avrebbero potuto smaltire per tempo. Alcuni hanno anche segnalato di avere ricevuto nell’ultimo periodo offerte dai fornitori su interi stock di smalti, che derivavano dalla necessità di vendere le scorte nei magazzini prima che entrasse in vigore il divieto. Parte delle proteste dei centri estetici sono derivate da queste circostanze, con accuse alle organizzazioni di categoria di non avere tutelato i loro interessi. Il divieto è però ormai scattato e chi offre smalti col TPO rischia di essere sanzionato.
Per verificare se sia presente il TPO nello smalto che si sta utilizzando si può consultare la lista degli ingredienti cercando: Trimethylbenzoyl diphenylphosphine oxide. Nei kit fai-da-te domestici non dovrebbe essere mai presente, perché come abbiamo visto l’uso dal 2014 di smalti con questa sostanza era consentito solo a livello professionale.



