Se avete già visto tutti i film dello Studio Ghibli, potreste guardare quelli di Mamoru Hosoda
È uno degli animatori giapponesi più influenti degli ultimi vent'anni, che ha presentato il suo ultimo lavoro a Venezia

Tra i film presentati fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia c’è anche Scarlet di Mamoru Hosoda. Insieme a colleghi come Makoto Shinkai, Isao Takahata e Hideaki Anno è uno dei pochi animatori giapponesi che possono essere accostati a Hayao Miyazaki per influenza, statura autoriale e notorietà internazionale. Il film d’animazione racconta la storia di Scarlet, una principessa che, dopo aver fallito il tentativo di vendicare l’assassinio del padre, finisce in una dimensione alternativa chiamata “terra dei morti”, sconvolta da conflitti e distruzione.
Hosoda ha detto di essersi lasciato ispirare in parte da vicende reali e in parte da storie di finzione, come la biografia di Giovanna d’Arco, la Principessa Mononoke di Miyazaki, Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry e l’Amleto di Shakespeare. Il riferimento principale però è Il re leone, uno dei film Disney più apprezzati degli anni Novanta, di cui Scarlet dovrebbe rappresentare una sorta di riscrittura in chiave contemporanea. Una delle consuetudini più note del cinema di Hosoda è infatti quella di riprendere i motivi, la poetica e gli stilemi di classici dell’animazione per adattarli al contesto sociale, tecnologico ed emotivo di oggi: lo aveva già fatto con Belle (2021), che omaggiava fin dal titolo La bella e la bestia.
Nonostante la concorrenza particolarmente agguerrita, negli ultimi vent’anni Hosoda ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel gigantesco mercato dell’animazione giapponese.

Mamoru Hosoda alla Mostra del cinema di Venezia, 4 settembre 2025 (Ernesto Ruscio/Getty Images)
I legami familiari, la transizione dall’adolescenza all’età adulta, i viaggi nel tempo e l’impatto delle innovazioni tecnologiche nelle relazioni di tutti i giorni sono spesso al centro dei suoi racconti, ambientati tra città brulicanti e orizzonti futuristici, ma anche in campagne silenziose e spoglie che all’improvviso entrano in contatto con mondi fantastici e universi paralleli.
Hosoda ha sviluppato un approccio molto personale all’animazione, partendo da influenze eterogenee. I classici Disney sono un riferimento evidente nei suoi lavori, così come la filmografia dei più importanti maestri dell’animazione giapponese. Da Hayao Miyazaki ha ereditato la sensibilità verso la natura e le saghe familiari, da Satoshi Kon (quello di Perfect Blue) ha ripreso l’uso innovativo del montaggio e la tendenza a far comunicare mondi reali e fantastici, mentre da Isao Takahata (Una tomba per le lucciole, I miei vicini Yamada) ha tratto l’attenzione per le piccole vicende della quotidianità e, soprattutto, l’idea di raccontarle dal punto di vista ingenuo e senza malizia dei bambini.
Un tratto ricorrente nel cinema di Hosoda è la rappresentazione di figure adulte deboli o assenti, che costringe i giovanissimi protagonisti a doversi ingegnare per trovare da soli la propria strada, o a legarsi a qualche mentore estraneo alla famiglia.
Un altro merito riconosciuto a Hosoda è quello di avere creato personaggi femminili tridimensionali, ben caratterizzati e capaci di attraversare conflitti e trasformazioni personali. Nei suoi film compaiono spesso madri coraggiose che affrontano prove impegnative, un po’ come Hana in Wolf Children – Ame e Yuki i bambini lupo, e giovani protagoniste alle prese con decisioni complesse e momenti di incertezza, come Makoto in La ragazza che saltava nel tempo o Suzu in Belle.
Hosoda è diventato un punto di riferimento nell’animazione giapponese anche per la sua audacia imprenditoriale. In poco più di un decennio lo Studio Chizu, fondato nel 2011 insieme al produttore Yuichiro Saito, è arrivato a essere considerato, pur con una fama minore, tra le poche realtà paragonabili allo Studio Ghibli per la qualità e il successo internazionale dei suoi lungometraggi. È diventato insomma il simbolo di una produzione artistica unica nel settore, fondata su aspirazioni, valori e approcci al lavoro rari e incompatibili con gran parte della moderna industria dell’animazione.
Le due realtà si differenziano però per alcuni elementi: mentre le produzioni di Ghibli sono note per la loro attenzione alla tradizione e per l’artigianalità dei loro disegni, Chizu si distingue per un approccio più moderno e aperto alle tecnologie digitali. Inoltre, mentre lo Studio Ghibli è stato concepito fin da subito come un progetto collettivo pensato per esaltare le possibilità espressive e le doti narrative di più animatori (Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Yoshiyuki Momose, Kitarō Kōsaka, Makiko Futaki, Kazuo Oga, Toshio Suzuki), lo Studio Chizu è totalmente incentrato sul lavoro di Hosoda.
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Nei primi anni Duemila, dopo aver lavorato per più di un decennio come animatore della Toei Animation, la principale azienda dell’industria dell’animazione giapponese, Hosoda decise di abbandonare la serialità per dedicarsi a progetti indipendenti e con una componente autoriale più marcata.
Riuscì a entrare in contatto con lo Studio Ghibli, la casa di produzione fondata da Miyazaki, che era rimasta colpita da Digimon Adventure (1999) e Digimon Adventure: Bokura no War Game!, due cortometraggi che Hosoda aveva realizzato durante la sua esperienza in Toei.
Nel 2001 lo studio lo scelse per dirigere Il castello errante di Howl, ma la collaborazione fu interrotta a causa di alcune divergenze creative, e alla fine il film fu affidato a Miyazaki.
Dopo quell’esperienza, Hosoda ha spesso criticato il modello produttivo dello Studio Ghibli, pur essendone notoriamente un grande estimatore. Ha raccontato di essersi sentito offuscato dalla figura ingombrante di Miyazaki, di aver percepito la struttura fortemente gerarchica dello studio come un grosso limite e di aver avuto poche possibilità per sperimentare nuove idee e linguaggi.
Quelle frustrazioni lo indussero a cercare altrove un modello più aperto e flessibile, che gli permettesse di sviluppare un proprio stile senza doversi conformare a criteri troppo rigidi. Dopo un breve ritorno in Toei, durante il quale diresse un apprezzato film legato alla serie animata One Piece, Hosoda fu assunto da Madhouse, studio conosciuto per la sua apertura verso linguaggi sperimentali e per la varietà dei generi affrontati.
In Madhouse diresse due film che segnarono la sua consacrazione come autore. Il primo fu La ragazza che saltava nel tempo (2006), liberamente ispirato a un romanzo di Tsutsui Yasutaka del 1967. Racconta la storia di Makoto, una studentessa delle superiori che acquisisce per caso la capacità di tornare indietro nel tempo. All’inizio usa questo potere per correggere piccoli inconvenienti della vita quotidiana, ma presto scopre che ogni salto ha conseguenze imprevedibili sulle persone attorno a lei. Vinse premi in Giappone e all’estero.
Tre anni dopo arrivò Summer Wars (2009), che consolidò la fama internazionale di Hosoda. Ambientato tra una grande casa di campagna e un universo virtuale chiamato OZ, racconta di un adolescente alle prese con un virus informatico che rischia di provocare il caos nel mondo reale.
Dal 2011, anno della sua fondazione, tutti i film di Hosoda sono stati prodotti dallo Studio Chizu.
Il primo fu Wolf Children – Ame e Yuki i bambini lupo (2012), la storia di due fratelli nati dall’unione tra una giovane donna, Hana, e un licantropo. Dopo la morte del compagno, Hana cresce i figli da sola, affrontando le difficoltà quotidiane e il peso di una scelta che i ragazzi dovranno compiere: vivere da esseri umani o seguire la loro natura animale.
Tre anni dopo uscì The Boy and the Beast (2015). Al centro della storia c’è il rapporto di amicizia tra Ren, un bambino di 9 anni orfano di madre, e Kumatetsu, un orso. Il film fu un grande successo in Giappone, dove nel 2016 ottenne il Japan Academy Award come miglior film d’animazione.
Con Mirai (2018) Hosoda approfondisce ulteriormente il tema della famiglia, legandolo per molti aspetti alle sue vicende biografiche. Al centro della storia c’è Kun, un bambino che fatica ad accettare l’arrivo della sorellina appena nata e che, in una serie di viaggi nel tempo, incontra versioni diverse dei suoi familiari e di sé stesso. Il film fu presentato in concorso al festival di Cannes e ottenne una candidatura all’Oscar come miglior film d’animazione, la prima per un’opera di Hosoda.
Nel 2021 uscì Belle, una storia di formazione incentrata sulle identità parallele che si costruiscono online. La protagonista è Suzu, una liceale introversa segnata da un lutto, che entra nel social network U e acquisisce l’identità di Belle, una popstar seguita da milioni di utenti. Presentato in anteprima a Cannes, il film fu selezionato come candidato giapponese agli Oscar e vinse numerosi premi internazionali, tra cui quello della giuria al Festival di Annecy, uno dei più importanti tra quelli dedicati all’animazione.
– Ascolta anche: La puntata del podcast di Gabriele Niola da Venezia in cui parla di Scarlet



