È morto Giorgio Armani
Aveva 91 anni, era noto e apprezzato in tutto il mondo e fondatore di un’azienda che ha cambiato la moda

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Giorgio Armani, stilista italiano noto e apprezzato in tutto il mondo e fondatore di un’azienda che ha fatto la storia della moda maschile, è morto a 91 anni. La notizia è stata comunicata dal gruppo Armani. Una camera ardente sarà allestita da sabato 6 a domenica 7 settembre all’Armani/Teatro di Milano. I funerali si svolgeranno lunedì 8 in forma privata; a Milano sarà lutto cittadino, ha detto il sindaco Beppe Sala.
La scorsa settimana Armani aveva dato un’intervista a How To Spend It, l’inserto settimanale del Financial Times, in cui diceva tra le altre cose che la sua debolezza più grande era «voler tenere sempre tutto sotto controllo» e che «tutto quello che vedete è stato fatto seguendo le mie direttive e ha la mia approvazione». Armani diceva di supervisionare ancora ogni aspetto delle sue sfilate, che chiudeva sempre presentandosi a salutare il pubblico. La prima volta che non l’ha fatto è stato lo scorso giugno, quando è stato sostituito da Leo Dell’Orco, il responsabile dello stile delle sfilate maschili e da decenni tra le persone a lui più vicine nella gestione dell’azienda. A settembre, durante la settimana della moda di Milano, erano programmati anche i festeggiamenti per i 50 anni dell’azienda, fondata il 24 luglio del 1975, con una mostra alla Pinacoteca di Brera. Nel 2024 i ricavi del Gruppo Armani furono di 2,3 miliardi di euro.
Armani era uno degli italiani più conosciuti al mondo, anche tra le persone non interessate alla moda, ed era un personaggio pop: sempre in forma, abbronzato, sorridente, vestito con maglietta, pantaloni blu e sneaker bianche o scarpe stringate scure. Di lui si ricorderanno anche i giganteschi yacht, le feste della Milano ricca nel suo locale Armani Privé, le polemiche sulle divise per gli Europei di calcio o per le Olimpiadi che dagli anni Novanta ha disegnato per la delegazione italiana. In Italia nelle occasioni più formali calciatori, presentatrici di Sanremo, capi di stato e di governo vestono quasi sempre Armani, che in tutto il mondo è sinonimo di eleganza.
Negli anni Ottanta Armani fece tornare di moda il completo maschile rendendolo fluido e rilassato grazie alla giacca destrutturata e sfoderata: anziché un’uniforme rigida che opprimeva e nascondeva il corpo era «una seconda pelle» che lo metteva in mostra, come ha raccontato più volte. Lo fece in un modo altrettanto innovativo: attraverso un film. Il suo stile divenne famoso negli Stati Uniti, e da lì in tutto il mondo, grazie ad American Gigolò del 1980, in cui Richard Gere indossa quasi solo completi Armani, compreso quello della locandina. Gere vestito in Armani diventò un nuovo modello di uomo ideale: rilassato, sicuro e anzi compiaciuto della propria bellezza e del proprio fascino.

Richard Gere vestito in Armani nel film American Gigolò, 1980. (©Paramount Pictures/Courtesy: Everett Collection )
Armani ha avuto un ruolo importante anche nell’abbigliamento femminile, con completi giacca-pantalone dal taglio rigoroso e maschile. Ribaltava, insomma, gli stereotipi di genere: per gli uomini abiti fluidi e morbidi, per le donne uno stile strutturato e androgino. Era famosa anche la preferenza per i colori neutri, come il grigio, il beige, il greige (un suo tipico colore a metà tra grigio e beige) e l’ampio utilizzo del blu notte.
Eppure Armani ci mise un po’ prima di lavorare nel mondo della moda. Era nato a Piacenza l’11 luglio del 1934 e nel 1949 si trasferì a Milano con la famiglia. Si iscrisse alla facoltà di Medicina all’Università Statale e nel 1953 la abbandonò per fare il servizio di leva in un ospedale militare di Verona. Una volta finito iniziò a lavorare come vetrinista alla Rinascente di Milano, un grande magazzino di lusso. Continuò come assistente fotografo e poi buyer (cioè sceglieva cosa comprare per rivenderlo in negozio) e infine nel reparto vendite finché, a inizio anni Sessanta, ottenne un lavoro come designer dallo stilista Nino Cerruti.
Alla fine degli anni Sessanta conobbe Sergio Galeotti, che divenne il suo compagno nella vita e nel lavoro: Galeotti lo convinse a mettersi in proprio e a lavorare come consulente di marchi di moda, e poi ad aprire un suo studio a Milano nel 1973. Nel 1974 Armani presentò, a 40 anni, la sua prima collezione nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze (all’epoca le sfilate si tenevano a Firenze e non a Milano), che piacque molto, soprattutto per il bomber di pelle portato su completi lussuosi. Nel 1975 Armani e Galeotti fondarono insieme la Giorgio Armani Spa e in quell’anno venne presentata la prima collezione maschile, quella per la primavera/estate 1976, che ottenne subito l’attenzione degli addetti ai lavori (come i critici di moda e i buyer). Nel 1976 le sue giacche destrutturate vennero acquistate dal famoso negozio Barneys di New York, anche se il successo arrivò, come detto, nel 1980 con American Gigolò.
La famosa scena di American Gigolò in cui Gere sceglie come vestirsi, finendo per indossare un completo Armani. Lui stesso commentò: «Chi è che recita in questa scena, io o la giacca?»
Armani – che nel 1982 fu scelto per apparire sulla copertina della rivista Time – sfruttò la popolarità nel mondo di Hollywood: aprì un negozio a Los Angeles, divenne tra gli stilisti di fiducia di celebrità come Diane Keaton, Michelle Pfeiffer, Julia Roberts, Dennis Hopper, Tom Cruise e alla cerimonia degli Oscar del 1990 gli attori e le attrici che vestivano Armani erano così tanti che si parlò di Armani Awards, anziché Academy Awards (l’Academy è l’associazione che assegna i premi Oscar). Da lì in poi disegnò gli abiti per oltre 200 film, tra cui Gli intoccabili di Brian De Palma, The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, e tutti quelli indossati da Christian Bale nella trilogia su Batman del regista Christopher Nolan.

Giorgio Armani sulla copertina di Time, nel 1982
Armani seppe capitalizzare questo successo di immagine realizzando molti prodotti accessibili alle masse: profumi, occhiali, biancheria intima, linee di abbigliamento più giovani ed economiche (come Emporio Armani e Armani Jeans) e vestiti o accessori prodotti in licenza, cioè fatti da altre aziende che pagavano Armani per poterci mettere sopra il suo logo. Nel 1989 aprì anche una linea dedicata alla casa e nel 2004 firmò un accordo con l’azienda edile di Dubai Emaar Properties per costruire hotel e resort in tutto il mondo. Nel 2015 inaugurò a Milano l’Armani Silos, uno spazio espositivo che raccoglie alcuni dei suoi lavori e mostre d’arte, moda e fotografia.
Armani è legato a Milano anche dai suoi investimenti nella più importante squadra di pallacanestro della città, l’Olimpia Milano, nella cui proprietà entrò all’inizio del secolo durante un momento di grande difficoltà della società, e che rilevò completamente nel 2008. Sotto la sua gestione, nel 2014 l’Olimpia Milano tornò a vincere il campionato dopo 18 anni, per confermarsi poi come la squadra più forte e vincente d’Italia e la più importante a livello europeo: sei scudetti, quattro coppe Italia, cinque supercoppe. Durante le partite di campionato e di Eurolega giocate in casa dall’Olimpia, anche le meno importanti, era molto frequente vedere Armani in prima fila insieme a Leo Dell’Orco, che dell’Olimpia è presidente.
Dal 1985, dopo la morte di Galeotti per complicazioni legate all’AIDS, Armani era l’unico proprietario dell’azienda, tra le poche in Italia gestite dal fondatore o dai suoi eredi: «la mia azienda è il mio impero, nessuno può prendere il mio posto», disse al Times dieci anni fa. Nello stesso anno però creò la Fondazione Armani per gestire la sua successione e finora il Consiglio d’amministrazione comprendeva lui stesso, Dell’Orco e Irving Bellotti della banca Rothschild. Negli ultimi anni Armani ha sempre liquidato le domande sulla sua successione e anche nella sua ultima intervista a How To Spend It ha parlato di «una graduale transizione di responsabilità che ho sempre affidato a chi mi è vicino», citando nuovamente Dell’Orco, la sua famiglia e le persone che lavorano con lui.
«Ho iniziato a fare moda quando era il principale motore della modernità», aveva detto nel 2021 al sito di moda Highsnobiety. «Oggi il testimone è passato ai social media e alla tecnologia, forse, mentre la moda si è trasformata in una forma di intrattenimento. Questo è il cambiamento principale che ho visto. Quanto a me, continuo a credere che la moda abbia un impatto profondo sulla vita quotidiana delle persone, che cambi le percezioni e le attitudini, e che dia davvero inizio al progresso. Non credo che lo stile sia un esercizio a se stante: lo stile fa parte della vita».
























