Cosa vuol dire “sumud”
Il termine arabo che dà il nome alla Global Flotilla indica un approccio esistenziale ma anche un tratto identitario dei palestinesi, difficile da tradurre

La parola araba sumud significa più o meno “resistenza”: gli organizzatori della Global Sumud Flotilla, la più grande iniziativa indipendente per fare arrivare decine di barche cariche di cibo nella Striscia di Gaza, hanno spiegato di averla usata proprio per riferirsi al concetto di resistenza nei confronti di Israele, che controlla tutti i confini della Striscia e limita enormemente gli ingressi di cibo e altri beni essenziali destinati alla popolazione palestinese, anche tramite un rigido blocco navale (in vigore dal 2006).
Nella cultura palestinese il termine sumud ha un significato molto ampio e in un certo senso sfuggevole: indica sia una forma pratica di opposizione contro Israele, sia un concetto che descrive le motivazioni alla base della causa palestinese. Negli anni è diventato una specie di simbolo identitario della comunità, quasi come una bandiera: tra le altre cose la parola è riprodotta su magliette, gadget e meme diffusi sui social, ed è anche il titolo di un libro sull’esperienza di maternità delle donne palestinesi.
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Sumud è intraducibile in italiano: di recente il traduttore palestinese Nabil Bey Salameh ha spiegato che, per dare conto di tutte le sue sfumature, si potrebbe rendere con le parole «restanza, caparbietà, resilienza, resistenza, speranza nel futuro, solidarietà».
In arabo sumud (صُمُود) deriva dalla forma verbale samada (صَمَدَ), che significa sia “resistere” sia “prendere”: ha quindi un’accezione sia passiva sia attiva. È probabilmente questa condizione un po’ a metà che ha reso così attraente l’uso del termine per descrivere un atteggiamento collettivo di molti palestinesi: sumud descrive la caparbietà nel volere abitare le terre che spettano loro secondo la stragrande maggioranza della comunità internazionale, e fa quindi riferimento a una resistenza non violenta e non armata, ma attuata attraverso la permanenza.
Uno studio del 2017 ha definito sumud come un concetto «socio-politico» che si riferisce alla volontà di sopravvivere in un ambiente avverso. Più concretamente sulla rivista New Arab il giornalista palestinese Yousef Alhelou ha scritto che per sumud si può intendere «i modi in cui si sopravvive all’interno di un’occupazione militare», senza però accettarla. Per Alhelou anzi sumud rappresenta «l’antitesi della sottomissione».
Questo concetto iniziò a diffondersi negli ambienti palestinesi negli anni successivi alla Nakba (“la catastrofe”), il termine usato nel mondo arabo per riferirsi a quello che successe prima e durante la guerra che Israele vinse nel 1948 contro diversi paesi arabi e che obbligò circa 700mila palestinesi a lasciare le proprie case.

La raccolta delle olive in un paese palestinese vicino a Nablus (David Silverman/Getty Images)
Negli anni Settanta l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, la principale organizzazione politica che rappresentava gli interessi dei palestinesi), raccomandava ufficialmente ai palestinesi di reagire all’occupazione israeliana della Cisgiordania, avviata nel 1967, con sumud. Nel 1982 nel suo libro The Third Way: A Journal of Life in the West Bank il poeta palestinese Raja Shehadeh scriveva:
«A volte, quando cammino per queste colline, apprezzando inconsciamente la sensazione della terra dura sotto ai miei piedi, l’odore del timo e delle colline e degli alberi attorno a me, mi ritrovo a fissare un ulivo. E mentre lo guardo davanti ai miei occhi si trasforma in un simbolo di resistenza (samidin), della nostra causa, delle nostre perdite»
Da anni l’albero di ulivo viene associato alla parola sumud. Oltre a essere uno degli alberi più diffusi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è molto longevo ed è noto per la sua capacità di resistere sia alle ondate di calore sia alle gelate. I palestinesi più impegnati politicamente, insomma, si rivedono in un albero che nonostante tutto quello che gli succede intorno cerca di rimanere nello stesso posto.
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