Il ritrovamento del Titanic, grazie a una caldaia
Quello con cui inizia il film: appena quarant'anni fa e dopo settanta dal naufragio più famoso del Novecento

«La caldaia!» urlò qualcuno con entusiasmo nella sala di controllo da cui Robert Ballard e altre persone stavano osservando le immagini del fondale marino, a circa 3.800 metri di profondità. In condizioni normali l’avvistamento di una caldaia non suscita tutto questo entusiasmo, ma in quella notte del primo settembre di quarant’anni fa Ballard si trovava in condizioni tutt’altro che normali. Su una nave nell’oceano Atlantico, a 600 chilometri di distanza dalla Terranova, aveva appena trovato i resti del Titanic, sprofondato in quella zona il 15 aprile del 1912 nel più famoso e disastroso naufragio del Novecento. Per 73 anni era rimasto sepolto nell’oceano, senza che nessuno riuscisse a trovarlo.
Prima di quell’impresa, Robert Ballard, che faceva parte della Marina militare degli Stati Uniti, si era fatto notare per i suoi progetti legati all’oceanografia e all’archeologia subacquea, in un periodo in cui i progressi tecnologici iniziavano a rendere possibile la costruzione di nuovi sommergibili comandati a distanza per l’esplorazione delle profondità oceaniche. Fu in quel contesto che decise di impegnarsi nella ricerca del Titanic, per quanto fosse alto il rischio di aggiungersi a una lunga lista di fallimenti.
Oggi conosciamo con precisione le coordinate del punto in cui si trova il relitto del Titanic (la prua è a N 41°43’ 57’’ O 49° 56’ 49’’) e, in un mondo sempre connesso e geolocalizzato, sembra quasi impossibile che in oltre 70 anni nessuno fosse riuscito a trovare il relitto del naufragio più famoso di tutti. Visto che si conosceva la rotta che avrebbe dovuto seguire la nave nel suo viaggio inaugurale da Southampton (Regno Unito) a New York (Stati Uniti), l’area di mare era nota, ma solo in linea di massima. Le ultime ore del transatlantico dopo l’impatto con l’iceberg erano state però caotiche e la comunicazione della posizione della nave era stata imprecisa. A causa della mancanza di una quantità sufficiente di scialuppe di emergenza e delle difficoltà dei soccorsi, nel naufragio morirono circa 1.500 delle 2.200 persone che si erano imbarcate.
Già nelle settimane dopo l’incidente era stata proposta una spedizione per localizzare il relitto nel nord Atlantico e per provare a recuperarlo, ma divenne presto evidente che il progetto non poteva essere realizzato con le tecnologie dell’epoca, visto che nell’area in cui si era inabissato il relitto il fondale era a migliaia di metri di profondità. Nei decenni successivi furono fatte diverse proposte, alcune anche molto creative con l’uso di potenti magneti o di grandi palloni gonfiabili, per provare a riportare a galla il Titanic benché nessuno sapesse di preciso dove si trovasse.
Le spedizioni erano molto costose e rischiose, di conseguenza non c’era un grande interesse a finanziarle anche se il ritrovamento del Titanic avrebbe poi potuto aprire opportunità commerciali, per esempio legate alla vendita degli oggetti che si erano eventualmente conservati nel relitto. Tra quelli che ci provarono all’inizio degli anni Ottanta si distinse il petroliere texano Jack Grimm, che organizzò tre spedizioni per identificare le tracce del Titanic utilizzando soprattutto tecnologie sonar.
Il dispositivo faceva propagare onde sonore nell’acqua e in base ai loro tempi di ritorno, una volta riflesse dal fondale, si poteva calcolare come cambiasse la profondità lungo il percorso e l’eventuale presenza di qualcosa di inatteso, come un grande relitto. Non fu trovato nulla, ma in compenso quell’attività permise di mappare accuratamente l’ampia zona del nord Atlantico dove, da qualche parte, giaceva il Titanic.
Fu in quel periodo che Ballard iniziò a pensare a come sfruttare i progressi in diverse tecnologie per sviluppare nuovi sistemi di ricerca, facendo anche tesoro di ciò che aveva imparato da un proprio tentativo fallimentare di ricerca del Titanic verso la fine degli anni Settanta. Grazie ad alcuni finanziatori aveva fondato una società per lo sviluppo di Argo e Jason, due veicoli sottomarini di nuova generazione.
Argo era un sommergibile comandato a distanza tramite un lungo cavo, ed era equipaggiato con sonar, fari e videocamere, in modo da osservare ciò che trovava a distanza, in una sala di controllo nella nave cui era collegato. Jason era un robot, che funzionava tramite un collegamento con Argo, che aveva invece la capacità di muoversi sul fondale marino e di riprenderlo da vicino.

Il veicolo sottomarino Argo (Wikimedia)
Ballard propose alla Marina degli Stati Uniti di finanziare lo sviluppo e l’impiego del sistema per la ricerca del Titanic, ma la proposta fu respinta. In compenso, i responsabili della Marina chiesero a Ballard se fosse interessato a indagare la fine che avevano fatto due sottomarini nucleari andati persi negli anni Sessanta. Se da quelle attività di ricerca fosse avanzato del tempo, Ballard sarebbe stato libero di impiegarlo per il suo progetto di ricerca del Titanic.
Le attività intorno ai sommergibili richiesero tempo, ma nella dozzina di giorni che avanzarono Ballard dedicò gli sforzi della spedizione all’esplorazione di un’area di mare ampia più di 500 chilometri quadrati per provare a trovare il relitto che gli interessava. Il tempo a disposizione per scandagliare un’area così grande con i sonar era insufficiente, di conseguenza si decise di provare un approccio diverso sfruttando le conoscenze maturate durante le spedizioni per i due sottomarini statunitensi. Il gruppo di ricerca aveva infatti notato che con quei due naufragi si erano prodotte lunghe scie di detriti sul fondale: le correnti avevano trasportato gli oggetti più leggeri a maggiore distanza e smosso meno quelli più pesanti, creando un’area di detriti molto più ampia rispetto a quella del solo impatto dei relitti con il fondale.
Se la stessa cosa era accaduta con il Titanic, l’approccio più pratico era provare a usare le videocamere di Argo per trovare la lunga scia di detriti che avrebbe condotto la spedizione verso il Titanic (il sonar non aveva una definizione tale da rilevare oggetti così piccoli). Quell’intuizione si rivelò corretta, anche se fu necessaria più di una settimana di ricerche infruttuose per identificare i primi indizi.
Il primo settembre del 1985 alle 00:48 (ora locale) sugli schermi nella sala di controllo della nave Knorr su cui si trovava Ballard apparvero i primi segni di quella che poteva essere una scia di detriti. Poco dopo, un grande cerchio semisepolto dal fondale fu la conferma: era una delle caldaie che alimentavano i motori a vapore del Titanic. Nelle ore successive fu avvistato il relitto: era la prima volta che veniva osservato dal naufragio di 73 anni prima.
Le immagini confermarono che il Titanic si era spezzato in due mentre si inabissava, come avevano raccontato alcuni testimoni, anche se all’epoca i loro resoconti erano stati ritenuti non affidabili. La sezione di prua, lunga circa 140 metri, andò a sbattere violentemente contro il fondale dove sprofondò di circa 20 metri, deformandone in parte la struttura. La sezione di poppa, lunga circa 105 metri, subì i danni peggiori nella caduta verso il fondale perché in diversi punti erano rimaste sacche d’aria, che implosero a causa della grande pressione a migliaia di metri di profondità facendo collassare le strutture che avevano intorno.
Intorno al relitto furono trovate due scie di detriti lunghe entrambe intorno ai 700 metri e che coprivano complessivamente un’area di quasi 5 chilometri quadrati. Adagiati e semisommersi dal fondale c’erano oggetti di ogni tipo, da vestiti a bottiglie di vino, passando per vasche da bagno, specchi e oggetti personali. Alcuni di questi furono recuperati da missioni successive, molto criticate specialmente da chi si occupa di archeologia marina e in generale della preservazione di un relitto unico nel suo genere e dall’alto valore storico.
A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta sono state condotte decine di spedizioni verso il Titanic, sia con veicoli sottomarini comandati a distanza sia con equipaggi a bordo. Il miglioramento nelle tecnologie ha reso via via possibile un’osservazione sempre più nel dettaglio di ciò che resta del Titanic e degli oggetti che ancora conserva al suo interno. Il regista canadese James Cameron partecipò a diverse spedizioni tra il 1995 e il 1997, anno in cui uscì il suo film Titanic con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, uno dei più grandi successi cinematografici di sempre, a testimonianza dell’enorme interesse che continua a suscitare ancora oggi il Titanic a un secolo dal suo naufragio.

Parte del relitto del Titanic (Atlantic Productions / Magellan)
Alle ricerche scientifiche e alla realizzazione di film e documentari si era di recente aggiunta un’opportunità turistica, con la società statunitense OceanGate che offriva costosi biglietti per osservare dal vivo il Titanic sul piccolo sommergibile Titan. Il 18 giugno del 2023 il veicolo implose nelle vicinanze del relitto, uccidendo le cinque persone che si trovavano a bordo, compreso il CEO di OceanGate, Stockton Rush. Un rapporto finale sull’incidente non è stato ancora pubblicato, ma dalle indagini è emerso che molti problemi di sicurezza legati alla tenuta del Titan furono ignorati da Rush.

“The Big Piece” al Luxor Hotel di Las Vegas, Stati Uniti (Wikimedia)
Oggi il Titanic è un bene tutelato dalla Convenzione UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo del 2001, ma garantirne la conservazione è molto difficile sia dal punto di vista pratico sia legale. Nel 1998 una grande sezione dello scafo di dritta della nave fu riportata a galla e trasferita sulla terraferma. Il blocco di ferro e bronzo di 14 tonnellate è esposto al Luxor Hotel di Las Vegas: l’hanno chiamato “The Big Piece”, “Il grande pezzo”.



