Che barche sono quelle della Global Flotilla in partenza dall’Italia
Per scelta sono state prese di dimensioni contenute, tra i 12 e i 16 metri, trovate online o col passaparola

Domenica da Genova sono partite alcune barche a vela della Global Sumud Flotilla, una grande flotta di circa 40-50 imbarcazioni che salperanno da vari porti del Mediterraneo per provare a portare aiuti umanitari e cibo ai civili palestinesi. È una missione quasi impossibile, visto che Israele ha imposto un blocco navale sulla Striscia, e si è opposto anche con la forza a iniziative simili negli scorsi mesi.

Le operazioni di carico sulla Ghea, una delle barche della Global Sumud Flotilla, Genova, 31 agosto 2025 (il Post)
A Genova gli attivisti hanno tenuto nascoste le barche fino alla vigilia della partenza per evitare sabotaggi. Nella Handala, che alla metà di luglio era salpata dal porto di Barcellona verso Gaza in un altro tentativo di rompere il blocco israeliano, avevano trovato dell’acido nei contenitori dell’acqua. Anche nelle altre missioni sono accaduti episodi sospetti. «Ad Atene nel 2011 ci segarono l’albero motore il giorno prima della partenza», racconta Maria Elena Delia, la coordinatrice italiana della missione. Per questo tutte le barche sono state controllate da una squadra di sommozzatori prima di partire.
Le imbarcazioni in partenza dall’Italia sono in tutto 25, la metà di tutta la spedizione (ne salpano anche da Barcellona, da Tunisi e dalla Grecia). Sono tutte barche a vela di medie o piccole dimensioni, tra i 12 e i 16 metri di lunghezza, maneggevoli ma in grado di reggere a lungo navigazioni in mare aperto. Da Genova è partita la piccola Ghea, che può ospitare un massimo di 6 persone, e la più grande Luna Bark, dove possono starci comodamente almeno in 10. Da Barcellona si muoveranno invece due navi più grandi, con 25 persone a bordo tra cui la ex sindaca della città, Ada Colau.
La scelta di barche non molto grandi non è stata casuale: gli attivisti l’hanno fatta per apparire meno aggressivi.

Attivisti caricano i pacchi alimentari sulla Luna Bark prima della partenza, 31 agosto 2025 (il Post)
Tutte le barche che partiranno da Genova sono state acquistate in Italia sul mercato dell’usato, «spulciando tra i siti specializzati e attraverso il passaparola», racconta Luca Poggi, il responsabile logistica della Flotilla. Sono state pagate in media tra i 30mila e i 50mila euro ciascuna, prezzi che gli organizzatori considerano favorevoli. «Molti venditori, quando hanno saputo che ci servivano per portare gli aiuti alla popolazione di Gaza, ci hanno fatto pagare meno di quello che chiedevano all’inizio, chiedendo di essere coinvolti nell’iniziativa», aggiunge Poggi.
La nave ammiraglia italiana è un due alberi che si chiama Taigete, come una stella della costellazione delle Pleiadi. È il nome che gli aveva dato il vecchio proprietario. «Non lo abbiamo cambiato, così come abbiamo lasciato i nomi di tutte le altre barche che abbiamo comprato per portare gli aiuti a Gaza, perché ogni nave ha una storia e in ogni imbarcazione che partirà c’è un pezzetto della vita di qualcun altro», dice Poggi.
In appena un mese e mezzo, grazie alla mobilitazione spontanea di decine di intermediari, agenti, meccanici e skipper, gli attivisti sono riusciti a sistemarle e ad attrezzarle con videocamere e con la connessione a Starlink, la rete di telecomunicazione satellitare di SpaceX, una società di Elon Musk. Li hanno aiutati alcuni esperti di sicurezza informatica. Dopodiché si sono costituiti gli equipaggi: «Tutti ci dicevano che in così poco tempo non saremmo riusciti a comprare neppure una barca, invece non solo siamo riusciti a raccogliere i soldi necessari ad acquistarle, ma le abbiamo anche rimesse a posto, abbiamo risolto tutti i problemi burocratici e le abbiamo trasferite nei porti da cui partiranno», continua Poggi.
Per comprarle, gli attivisti hanno aperto un conto sul quale continuano ad arrivare donazioni da tutto il mondo: la mattina del 31 agosto c’erano 350mila euro.

La Luna Bark partita, 31 agosto 2025 (il Post)
Su ogni barca ci sarà in media una decina di persone: due skipper, una persona con competenze meccaniche in grado di risolvere eventuali problemi al motore in mare, un esperto di viaggi in barca a vela in grado di dare una mano e un medico. Per il resto, gli equipaggi sono stati composti in maniera mista, mescolando attivisti e persone che possono garantire un certo livello di protezione da eventuali abusi, come giornalisti e politici.
«Abbiamo ricevuto centinaia di richieste di adesione e abbiamo fatto una serie di colloqui in cui abbiamo valutato anche la motivazione ad affrontare eventuali situazioni rischiose, abbiamo fatto dei corsi di formazione alla non violenza e abbiamo redatto un protocollo sui comportamenti da tenere se dovessimo essere fermati», dice la coordinatrice Maria Elena Delia. Soprattutto, c’è l’obbligo di non rispondere a nessuna provocazione e di rispettare le norme del diritto internazionale. «Se ci chiederanno di non proseguire ci fermeremo, ma se ci diranno di tornare indietro rimarremo fermi», dice Delia.
Finora tutte le missioni sono state fermate in acque internazionali, in un caso addirittura vicino alle coste maltesi, dunque molto lontano da Gaza. «Siamo consapevoli della difficoltà della missione: il nostro obiettivo principale è creare un precedente che possa portare all’apertura di un corridoio umanitario, gestito magari dall’ONU», aggiunge Delia. «Il secondo è di rompere il blocco navale, è molto difficile perché finora le barche sono sempre state bloccate, ma questa volta sono molte ed è difficile intercettarle e fermarle tutte».
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