I presidenti di regione che non possono ricandidarsi ma non vogliono mollare

De Luca in Campania, Emiliano in Puglia e Zaia in Veneto hanno fortemente condizionato le trattative per scegliere chi verrà dopo di loro

Il presidente della Puglia Michele Emiliano con quello del Veneto Luca Zaia a Polignano a Mare, il 6 luglio 2023 (ANSA/Francesca Pierleoni)
Il presidente della Puglia Michele Emiliano con quello del Veneto Luca Zaia a Polignano a Mare, il 6 luglio 2023 (ANSA/Francesca Pierleoni)
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Alle prossime elezioni regionali, che si svolgeranno tra settembre e ottobre, non potranno candidarsi tre presidenti di regione che hanno governato per oltre un decennio e che sono molto popolari nei rispettivi territori: Michele Emiliano in Puglia, Vincenzo De Luca in Campania e Luca Zaia in Veneto. Pur avendo storie politiche ed esperienze diverse (Emiliano e De Luca sono del Partito Democratico, Zaia è leghista), tutti e tre sono accomunati dall’aver condizionato pesantemente le trattative per scegliere i loro successori.

Soprattutto Zaia e De Luca ci avevano provato fino all’ultimo a ricandidarsi. La Lega negli anni ha fatto numerosi tentativi per abolire il limite dei due mandati consecutivi per i presidenti di regione, l’ultimo dei quali – un emendamento a un disegno di legge che riguardava la composizione dei consigli regionali – è stato bocciato a fine giugno. L’emendamento avrebbe permesso anche a De Luca di ricandidarsi, ma lui nel frattempo ci aveva provato per conto suo facendo approvare una legge regionale che già glielo permetteva. La legge era però stata impugnata dal governo di fronte alla Corte costituzionale, che l’aveva dichiarata incostituzionale.

In tutto questo Emiliano era rimasto più defilato. Nel 2023 aveva detto che in Puglia non era mai stata attuata la legge nazionale che pone il limite al terzo mandato, quindi secondo lui una via legale per ricandidarsi ci sarebbe stata. Ma si era mostrato poco interessato. Poi nel 2025 aveva confermato di non volersi ricandidare, dicendo che un candidato per la Puglia c’era già: Antonio Decaro, europarlamentare e popolarissimo ex sindaco di Bari.

Ora però Emiliano sta un po’ intralciando la candidatura di Decaro, che fino a poco tempo fa sembrava scontata. Perché è vero che Emiliano ha assicurato di non volere un terzo mandato, ma ha anche detto di volersi candidare al consiglio regionale. La sua sarebbe una presenza ingombrante: ha governato la regione per dieci anni, e rimane uno dei politici pugliesi più noti. Peraltro, oltre a Emiliano, ha fatto sapere di volersi candidare in consiglio anche il suo predecessore, Nichi Vendola, che fu governatore della Puglia dal 2005 al 2015 (oggi è presidente di Sinistra Italiana, si candiderebbe nelle liste di Alleanza Verdi e Sinistra). Decaro si troverebbe insomma in consiglio quelli che hanno governato la Puglia negli ultimi vent’anni, e perciò, attraverso un post sui suoi social, ha messo in discussione la sua candidatura.

«Io voglio essere un presidente libero, capace di assumermi fino in fondo la responsabilità delle scelte. Non voglio essere ostaggio delle decisioni di chi mi ha preceduto. La Puglia non ha bisogno di un presidente a metà», ha scritto Decaro.

De Luca sta influenzando i preparativi per le elezioni in un altro modo. Messo da parte l’obiettivo di rimanere alla guida della Campania, e preso atto del fatto che il PD nazionale è convinto di voler candidare l’ex presidente della Camera Roberto Fico, del Movimento 5 Stelle, De Luca ha accettato di farsi da parte e non intralciare la candidatura di Fico a patto che suo figlio venga messo a capo della segreteria regionale. E così Piero De Luca sarà l’unico candidato al prossimo congresso per decidere chi guiderà il partito in Campania, con un esito scontato.

Vincenzo De Luca a una conferenza stampa il 9 luglio 2025 (ANSA/CIRO FUSCO)

È uno sviluppo notevole, perché la segretaria nazionale Elly Schlein era stata eletta con la promessa di cambiare le cose nel partito, e togliere potere ai vecchi dirigenti (lei li aveva chiamati «cacicchi e capibastone»). Per ottenere una transizione pacifica in Campania però è stata costretta ad accontentare proprio uno di quei «cacicchi», anzi il più agguerrito e quello più ostile al nuovo corso imposto da Schlein, cioè De Luca stesso.

– Leggi anche: Da dove vengono le espressioni come «cacicchi e capibastone»

Quanto a Zaia, il suo futuro politico è da tempo un argomento centrale nel dibattito interno al centrodestra. Parallelamente ai tentativi di superare il limite dei due mandati, nel suo partito e tra gli alleati si sono interrogati su che ruolo alternativo affidargli: un posto da ministro, uno da europarlamentare o addirittura (ma era più improbabile) da commissario europeo, e poi presidente di una qualche partecipata di Stato o sindaco di Venezia (ques’ultima ipotesi non è ancora stata accantonata del tutto).

In queste settimane il problema però è un altro: la volontà di Zaia di presentare una sua lista, che abbia nel simbolo il suo nome o un riferimento diretto a sé stesso, a sostegno del candidato presidente che verrà scelto dal centrodestra. Per Zaia è un modo per dimostrare il proprio consenso, per eleggere consiglieri regionali a lui vicini e continuare quindi a contare qualcosa nella vita politica del Veneto. Per lo stesso motivo, però, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è scettica, perché così facendo Zaia finirebbe per drenare voti non solo alla Lega, ma anche a Fratelli d’Italia, cioè il suo partito, e ne ridurrebbe il potere negoziale quando si dovrà decidere la composizione di un’eventuale giunta.