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L’uragano Katrina, 20 anni fa

Il 29 agosto del 2005 uno degli uragani più forti di sempre causò la morte di quasi 1.400 persone e allagò per giorni New Orleans, anche per gravissimi errori umani

New Orleans, 30 agosto 2005
(AP Photo/David J. Phillip)
New Orleans, 30 agosto 2005 (AP Photo/David J. Phillip)
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La storia dell’uragano Katrina iniziò a metà di agosto del 2005 con una depressione tropicale: un fenomeno meteorologico di intensità relativamente bassa e assai frequente nei mesi estivi nell’oceano Atlantico. Dopo qualche giorno passò brevemente dalle parti di Miami, in Florida, come un uragano della più debole categoria 1 nella scala di Saffir-Simpson, causando comunque la morte di 14 persone. Fino a quel punto non si trattava di avvenimenti eccezionali negli Stati Uniti, dove la stagione degli uragani ha cicli annuali e sempre pericolosi: è quello che successe dopo che fece diventare quella stagione la più impressionante di sempre, e Katrina una storia che è rimasta nella storia degli Stati Uniti.

1.392 morti e 108 miliardi di dollari di danni, i più costosi mai causati da una catastrofe naturale negli Stati Uniti. Una grande e famosa città sommersa per una settimana, con l’amministrazione locale, le agenzie federali e lo stesso governo nazionale incartati per giorni su come rispondere al disastro; ma anche un grande sforzo collettivo per la ricostruzione. Sono tutti elementi che contribuiscono a costruire il ricordo di Katrina, riconosciuto assieme agli attacchi alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 come uno degli eventi più memorabili degli anni Duemila del paese.

Dopo essere passata sopra Miami e la Florida, la tempesta, che era stata chiamata Katrina il 24 agosto, non si dissipò ma proseguì il suo corso. Il 28 agosto sopra le calde acque del golfo del Messico si intensificò con rapidità eccezionale fino a diventare un uragano di categoria 5, la più alta, e proseguì il suo percorso girando verso nord, in direzione della città di New Orleans, che al tempo aveva 500mila abitanti ed era una delle più grandi e importanti del sud degli Stati Uniti (ora ne ha un po’ meno, ma ha conservato la sua attrattiva turistica, storica e culturale).

Una foto del personale di soccorso che cerca persone che necessitano aiuto per le strade allagate di New Orleans, 30 agosto 2005

Personale di soccorso cerca persone che necessitano aiuto per le strade allagate di New Orleans, 30 agosto 2005 (AP Photo/Dave Martin)

Il momento in cui una perturbazione che si forma sopra l’oceano tocca terra ha un nome specifico in inglese: è chiamato landfall, la tempesta inizia a essere frenata e a perdere intensità, ma è quando può causare più danni agli esseri umani, anche scaricando grandi quantità di pioggia. Quando raggiunse terra per la seconda volta – a Buras, un minuscolo centro una novantina di chilometri a sud di New Orleans, sul delta del Mississippi (il più grande e importante fiume degli Stati Uniti) – Katrina era sceso alla categoria 3, ma portava comunque venti di oltre 200 chilometri orari e precipitazioni intensissime. Erano le 6 di mattina del 29 agosto del 2005. Alle 9 era già arrivato sopra la città, e il suo centro si spostava verso nord con una velocità di circa 25 chilometri all’ora.

L’arrivo di Katrina non fu inaspettato: il 26 agosto la governatrice della Louisiana (lo stato di New Orleans) Kathleen Blanco aveva proclamato lo stato di emergenza, e il 27 era stato consigliato ai residenti di allontanarsi dalle zone a rischio. Il giorno prima dell’arrivo dell’uragano in città, il 28, il consiglio divenne un ordine e anche il presidente George Bush raccomandò alla popolazione di seguire le indicazioni delle autorità e andarsene. Da tutta la zona circostante si spostarono 1 milione e 200mila persone, ma in città rimasero comunque circa 100mila persone, che non avevano i mezzi o la possibilità di spostarsi, o non vollero farlo. Moltissime non avevano la macchina, e i tentativi di organizzare un servizio di evacuazione non riuscirono.

Fu solo il primo dei numerosi fallimenti delle autorità nella gestione del disastro, e fu causato soprattutto dall’inefficienza della FEMA, l’agenzia federale per la gestione delle emergenze, e dalle sue incomprensioni con l’amministrazione cittadina, guidata dal sindaco Ray Nagin. L’annunciato servizio di autobus per permettere alle persone di lasciare la città divenne operativo solo dopo diversi giorni.

Per chi rimase a New Orleans era stato allestito e aperto al pubblico un centro per sfollati al Superdome, lo stadio di football cittadino. Anche la sua gestione si rivelò poi disastrosa: sovraffollato e male equipaggiato per permettere agli sfollati una permanenza che si prolungò assai più del previsto, i bagni smisero rapidamente di funzionare così come l’aria condizionata, e l’aria divenne praticamente irrespirabile per il caldo e il gran numero di persone, fino a 25mila. Condizioni aggravate dalla tensione per la mancanza di soccorsi e la difficoltà di ottenere notizie e comunicazioni.

George Bush sorvola New Orleans il 31 agosto 2005, rientrando dalle sue vacanze in Texas: la foto divenne uno dei simboli dell’inefficienza della risposta delle istituzioni all’uragano (AP Photo/Susan Walsh)

New Orleans si trova su una striscia di terra larga una decina di chilometri fra il lago Pontchartrain, in pratica una grossa laguna al livello del mare, e il delta del fiume Mississippi, che in quel tratto si trova qualche metro più in alto rispetto al lago. A est ha un importante canale che entra nel Mississippi, e la città è quindi circondata dall’acqua. I quartieri sulle rive del fiume, a sud della città e dove si trova anche il centro storico, si trovano più in alto rispetto a quelli sulle rive del lago, a nord, e molte zone sono persino sotto al livello del mare, in una specie di conca.

Per via di questa conformazione le inondazioni sono un problema fin dalla fondazione della città, e nel corso del Novecento furono costruite grandi opere per proteggerla dalle variazioni del livello dell’acqua che la circonda: all’inizio degli anni Duemila tutta la città era già da anni circondata quasi completamente da argini di cemento.

L’uragano Katrina provocò un’onda di tempesta di oltre 8 metri, una delle più alte mai registrate negli Stati Uniti. È un fenomeno, chiamato storm surge in inglese, tipico delle tempeste tropicali come gli uragani, che provoca un notevole innalzamento locale del livello di un corpo d’acqua provocato da una tempesta molto forte: ha varie cause, fra cui la minore pressione atmosferica, il vento, la pioggia e la conformazione del terreno. Unita ai 25 centimetri di pioggia portati dall’uragano, l’onda sfondò in diversi punti il complesso sistema di argini, causando l’allagamento in molti casi improvviso di diversi quartieri.

Il primo a essere allagato fu il Lower Ninth Ward, una zona esterna al centro e abitata interamente dalla popolazione nera e soprattutto povera, adiacente all’Industrial Canal che collega il Mississippi con il lago e col mare. Il quartiere è sotto il livello del mare e gli argini non lo protessero. Gran parte dei morti fu qui, e nei giorni successivi moltissime persone dovettero essere portate via in elicottero dai tetti delle proprie case. Le foto delle file di villette a schiera circondate dall’acqua e con intere famiglie sul tetto sono fra le più ricordate quando si parla dell’uragano Katrina. Per giorni chi poteva si mosse con barche e zattere, a volte di fortuna, per recuperare i feriti o in cerca di aiuti o viveri tra le case. Dopo che l’acqua fu scesa, gran parte degli edifici non era più in piedi.

Una strada di New Orleans ancora parzialmente allagata l’11 settembre 2005, quasi due settimane dopo la prima inondazione (AP Photo/Mark Saltz)

Nelle ore successive anche gli argini sul lago Pontchartrain e su tre canali che andavano verso il centro cedettero, causando l’allagamento di quasi tutti i quartieri a nord della città, e poi anche più a sud: il primo settembre l’80 per cento della città era coperto dall’acqua. Fu quasi solo il centro storico di New Orleans, con il caratteristico Quartiere Francese costruito su una zona lievemente più elevata lungo il Mississippi, a rimanere in salvo. Il Times-Picayune, il giornale di New Orleans, ha creato un’animazione che mostra il progredire dell’inondazione.

Una mappa che mostra gli allagamenti a New Orleans: quelle colorate in rosso sono le zone che finirono sommerse durante il picco dell’inondazione, mentre indicati con una linea rossa o verde sono i sistemi di argini della città e con una stella i punti in cui gli argini cedettero o furono abbattuti in seguito per far defluire l’acqua (Wikimedia)

In generale le distruzioni furono così grosse che sul momento fu difficile capirne la portata. Nei giorni successivi i giornali si riempirono di storie di ritardi nei soccorsi, confusione e disagi. Le reti dei telefoni cellulari non funzionavano e i canali radio destinati a polizia e soccorritori erano ingolfati. Gli operatori del 911, il numero di emergenza negli Stati Uniti, in servizio durante l’uragano hanno raccontato al Times-Picayune di turni estenuanti in cui ricevevano di continuo chiamate di persone in condizioni disperate. L’unica indicazione che potevano dare quasi sempre era solo di raggiungere una posizione più elevata. Quasi sempre chi li chiamava si trovava già sul tetto della propria casa, circondata dall’acqua.

Ci vollero diversi giorni per riuscire a organizzare una risposta realmente efficace. La città visse nel frattempo cercando drammaticamente di cavarsela da sola in una condizione di isolamento e di mancanza di comunicazioni, oltre che di disperazione e pericoli generati dalla catastrofe. Mentre le persone aspettavano lasciate a loro stesse, circolarono leggende sulla presenza di coccodrilli nell’acqua.

In quei giorni in città praticamente non ci furono autorità di nessun tipo, e anzi la polizia stessa fu in molti casi un problema. Da anni il dipartimento cittadino, in cui i poliziotti erano quasi tutti bianchi, era noto per essere corrotto e inefficiente. Durante Katrina girarono notizie di saccheggi compiuti dagli stessi poliziotti, di altri che disertarono e di un gruppo di agenti che si rinchiuse in un hotel alla periferia della città.

Gli ospedali continuarono a operare in maniera limitata e in condizioni proibitive per medici e pazienti. All’inizio di settembre del 2005 il New York Times raccontò la storia di una residenza per anziani in cui furono scoperti 32 cadaveri, e scrisse che si parlava di altre vicende simili accadute in città (una apprezzata serie tv tratta da un libro raccontò nel 2022 una di queste, al Memorial Hospital).

I pullman chiesti dalle autorità locali sarebbero arrivati solo alla fine della settimana. Molti degli uomini della Guardia nazionale della Louisiana, i riservisti dell’esercito, stavano combattendo nella guerra in Iraq, e quelli della Guardia nazionale del New Mexico richiesti dalla governatrice Blanco arrivarono dopo una settimana.

Negli anni successivi all’uragano il Corpo degli ingegneri dell’esercito, l’agenzia che aveva progettato e costruito le chiuse, gli argini e i vari sistemi di drenaggio e pompaggio delle acque attorno alla città è stato indicato come colpevole di gravi negligenze, che aumentarono drasticamente la gravità dei danni. Alcune zone furono allagate proprio perché non era rimasto nessuno a gestire le stazioni di pompaggio. Le ultime zone rimaste allagate vennero asciugate solo l’11 ottobre, 43 giorni dopo l’arrivo della tempesta.

La mancanza di manutenzione e controlli comportò anche una mancanza di consapevolezza fra gli abitanti, che in molti casi non erano a conoscenza dei rischi che correvano, cosa che aveva spinto molti, specialmente fra i neri e i poveri, a non assicurarsi contro i danni delle alluvioni. Questo determinò gravi disparità nelle risorse disponibili per la ricostruzione, uno dei grandi temi di dibattito nei mesi e negli anni successivi all’uragano, e di cui la città continua a vivere le conseguenze.

Gli enormi danni subiti dalla comunità nera (circa due terzi della popolazione della città) e lo scarso interesse di cui fu accusato il governo federale – reso visibile dal simbolico fatto che l’allora presidente George W. Bush rimase in vacanza durante i primi giorni di emergenza – alimentarono le critiche dei neri nei confronti della classe dirigente nazionale. Iniziarono a circolare teorie complottiste secondo cui l’élite (bianca) della città avesse fatto saltare in aria gli argini per proteggere le proprie case e persino per allontanare i neri dalla città.

I primi piani per la ricostruzione non contribuirono a rassicurare in questo senso: prevedevano tutti una città con meno abitanti, meno poveri, meno criminalità e di fatto meno neri. Il governo federale, ma anche il sindaco nero Nagin, furono accusati di voler espellere i neri dalla città. I media contribuirono alla percezione di ingiustizia: nel pieno delle inondazioni i servizi televisivi che vennero trasmessi nel resto del paese spesso chiamavano «saccheggiatori» e «sciacalli» anche i cittadini disperati e abbandonati dalle autorità e privi di ogni servizio (per quanto i casi di saccheggio ingiustificato furono effettivamente frequenti).

Alla fine la città è stata in gran parte ricostruita, ma non del tutto. Il Corpo degli ingegneri dell’esercito ha speso 14 miliardi di dollari per ricostruire gli argini della città. Decine di migliaia di persone che ci abitavano prima dell’uragano non ritornarono se non anni dopo, migliaia di case rimaste inagibili furono abbattute e non sempre riedificate. La costa del delta del Mississippi è stata modificata radicalmente e porta ancora i segni dell’alluvione. Oggi la città è in crescita da anni ed è tornata uno dei centri culturali più vivaci e attraenti di quella parte di Stati Uniti, ma ancora in occasione del censimento del 2020 aveva fra il 20 e il 25 per cento di abitanti in meno rispetto a quello del 2000.

– Leggi anche: Cosa accadde al Superdome