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  • Giovedì 28 agosto 2025

Lo zafferano più prezioso dell’India è minacciato dai porcospini

Mangiano i bulbi nelle piantagioni del Kashmir, dove si coltiva la varietà migliore e più costosa

Il raccolto dello zafferano a Pampore, nel Kashmir indiano, nel 2023 (AP Photo/Mukhtar Khan)
Il raccolto dello zafferano a Pampore, nel Kashmir indiano, nel 2023 (AP Photo/Mukhtar Khan)
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A Ishaad Ahmed Dar basta fare quattro o cinque passi nel suo campo per trovare una buca scavata da un porcospino. Tira su dei bulbi, mezzi mangiati: «Qui abbiamo visto per la prima volta i porcospini nel 2015, ma è solo dall’anno scorso che hanno cominciato a danneggiare seriamente i raccolti» dice. I raccolti sono quelli di zafferano, la spezia più costosa al mondo, e i campi sono quelli di Pampore, nel Kashmir indiano, a pochi chilometri dalla capitale Srinagar.

Ishaad Ahmed Dar mostra la buca di un porcospino, l’istrice indiano (Valerio Clari/il Post)

Ishaad Ahmed Dar mostra i bulbi dello zafferano mangiati dagli istrici (Valerio Clari/il Post)

Lo zafferano venduto all’ingrosso costa tra i 3mila e i 4mila euro al chilo. Quello prodotto nel Kashmir indiano, regione himalayana al confine con il Pakistan, può avvicinarsi ai 5mila. È la qualità più pregiata ma la produzione è limitata e in calo costante da trent’anni: negli anni Novanta se ne producevano 16 tonnellate, nel 2011 8 tonnellate, nel 2024 sono diventate meno di 3. La diminuzione è attribuibile al cambiamento climatico, all’urbanizzazione e, ultimamente, ai porcospini. In italiano spesso si usa porcospino per riferirsi ai ricci ma è un errore, pur diffuso: i porcospini sono istrici.

Lo zafferano, nome scientifico Crocus sativus, è una pianta con fiori viola che all’interno hanno tre lunghi stimmi di colore rosso intenso, da cui si ricava la spezia. Ha un bulbo di circa 5 centimetri di diametro, che contiene una ventina di gemme. Alcune produrranno la pianta e il fiore, altre dei bulbi secondari, che poi potranno essere piantati. Il principale produttore mondiale è l’Iran, seguito dalla Spagna.

In Kashmir, dove chiamano lo zafferano kesar, i bulbi vengono seminati a marzo, su campi pianeggianti in file predefinite e a distanze predefinite. In tarda estate spuntano le piantine, i fiori vengono raccolti fra ottobre e novembre e poi portati in case o piccole aziende dove vengono tolti gli stimmi, l’unica parte utilizzata. Servono circa 150 fiori per avere un grammo di zafferano (150mila per un chilo) e tutto il lavoro di semina dei bulbi, raccolta dei fiori e separazione degli stimmi va fatto a mano.

Il fiore e gli stimmi rossi (AP Photo/Mukhtar Khan)

Lo zafferano del Kashmir è particolarmente pregiato perché contiene concentrazioni di crocina più alte rispetto agli altri: 8,72 per cento contro circa il 6 per cento di quello iraniano. La crocina è la sostanza responsabile del colore dello zafferano e anche del suo aroma.

I bulbi durano dieci anni, producendone altri, come detto, ma solo se tutto va bene e non arrivano i porcospini. L’istrice indiano è un roditore che si può trovare in molte nazioni dell’Asia sudoccidentale e centrale (dal Medio Oriente all’India, passando per Iran, Afghanistan e Pakistan). In Kashmir abitava normalmente le zone montuose e boschive, ma da una decina d’anni è arrivato in pianura, per via della deforestazione e della riduzione del suo habitat naturale. Da lì ha iniziato a spostarsi verso i campi coltivati.

È un animale notturno, capace di scavare in profondità: estrae i bulbi di zafferano e li mangia. Nell’ultimo anno le associazioni di coltivatori sostengono che abbia ridotto la produzione di circa il 30 per cento.

L’istrice indiano (Rufus46, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

L’istrice indiano in Kashmir è una specie protetta: gli agricoltori non possono cacciarlo e finora si sono rivelate poco efficaci le soluzioni alternative, a partire da uno spray repellente. È stata ipotizzata l’introduzione di predatori, come cani randagi, che sono comuni in tutta la regione e in buona parte dell’India, ma portarli forzatamente in una zona agricola potrebbe creare altri problemi. Costruire reti intorno alle coltivazioni dà alcuni vantaggi (anche se non sempre è sufficiente), ma può essere piuttosto costoso, visto che i campi sono estesi. Gli amministratori locali consigliano trappole che permettano di catturare gli istrici e trasferirli altrove, ma qualcuno rischia le multe e li caccia comunque.

L’istrice non è l’unico problema per le coltivazioni di zafferano del Kashmir: il più grave è il cambiamento climatico, che anche in questa regione, a 1.600 metri di altitudine, sta rendendo le estati molto calde e poco piovose.

Dar, la cui famiglia coltiva zafferano da un paio di generazioni, dice che le piante «hanno bisogno di pioggia almeno nei mesi di agosto, settembre e ottobre, altrimenti produce meno». Negli ultimi anni le piogge sono state meno frequenti e meno regolari. Anche l’urbanizzazione è un problema, in una zona non lontana dalla città più grande della regione: molte case sono nate dove c’erano i campi, riducendo lo spazio per le coltivazioni. Quella dello zafferano è poi una coltivazione che prevede un enorme lavoro manuale, è poco automatizzata e poco aiutata dalla tecnologia. Chi se ne occupa dice che le nuove generazioni di contadini tendono a evitarla.

La raccolta dei fiori a Pampore nel 2021 (AP Photo/Mukhtar Khan)

A Pampore, dove la tradizione viene fatta risalire al XII secolo, le coltivazioni si concentrano in un’area di circa 18-20 chilometri di circonferenza, in cui sono attivi circa 9mila contadini. Ashraf Gud, rappresentante dell’associazione dei coltivatori della zona (KSGA), li definisce «agricoltori marginali», che hanno cioè porzioni limitate di terreno (meno di un ettaro, cioè 100 metri per 100 metri) e che per questo fanno fatica a sostenersi col loro lavoro. Dice anche che un altro problema per lo zafferano del Kashmir sono i prodotti contraffatti: «Vendono finto zafferano fatto anche con la carta e la gente non se ne accorge, quando lo compra».

Lo zafferano in vendita (Valerio Clari/il Post)

La KSGA aiuta gli agricoltori a vendere il prodotto: il 95 per cento di quello del Kashmir finisce sul mercato indiano. In India si consumano 55 tonnellate l’anno di zafferano e l’uso alimentare (per cibo e bevande) non è il principale. Viene usato nella medicina tradizionale, come cosmetico soprattutto durante le cerimonie di nozze (per la sposa ma anche per ornare piatti e stoviglie per gli invitati) e in molti riti della religione induista, come colorante naturale.

Per evitare le contraffazioni l’associazione ha ottenuto dal 2020 una certificazione  di indicazione geografica, mentre risolvere gli altri problemi si sta rivelando più complesso. Nel 2010 il governo centrale indiano aveva promosso una «Missione zafferano» che avrebbe dovuto favorire l’uso di strumenti di irrigazione per garantire l’acqua necessaria anche in assenza di precipitazioni, ma non è stata realizzata.

Qualche anno fa fu provata una coltivazione dello zafferano in serra detta “aeroponica”, ossia senza l’uso di terra ma alimentando la pianta tramite la nebulizzazione di acqua contenente fertilizzanti: i fiori nascevano, lo stimma aveva le stesse caratteristiche, ma i bulbi non si “moltiplicavano” e la coltivazione non era quindi economicamente sostenibile sul lungo periodo.

Coltivazioni all’interno di zafferano, vicino a Srinagar (AP Photo/Dar Yasin)

Un’ultima possibilità è trasferire le coltivazioni all’interno di serre, prelevando la terra dai campi utilizzati in passato: risulterebbe meno dipendente dal clima kashmiro, diventato imprevedibile, e risolverebbe anche la questione istrici. Ci sono stati esperimenti positivi, ma per renderla una soluzione diffusa servono investimenti consistenti, per cui gli agricoltori stanno chiedendo aiuto allo stato.