Le adozioni internazionali ormai sono pochissime
E hanno molti problemi: uno dei tanti è che oggi non vengono più viste come un atto di generosità, anzi

A marzo una sentenza della Corte costituzionale ha annullato il divieto per le persone singole di adottare bambini e bambine dall’estero. È vero che la sentenza è stata un passo avanti per le adozioni internazionali, ma è anche vero che questo tipo di adozioni è in calo da anni per via di problemi di cui si parla poco. Le famiglie italiane non sono preparate quasi per niente ad accogliere minori provenienti dall’estero, sul territorio mancano strumenti adeguati e omogenei per assisterle, e più in generale oggi si discute maggiormente di come il sistema delle adozioni internazionali sia ancora molto influenzato da pregiudizi colonialisti e razzisti.
Al calo delle adozioni contribuiscono inoltre cambiamenti nei paesi da cui abbiamo sempre adottato, non necessariamente negativi.
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La sentenza della Corte costituzionale dice che le 7mila domande del 2007 sono diventate circa 500 nel 2024; secondo la Commissione per le adozioni internazionali, l’organo che in Italia vigila su questo tipo di adozioni, sono calate del 90 per cento negli ultimi 13 anni.
Le adozioni internazionali sono regolamentate dalla Convenzione dell’Aja del 1993 e dalle leggi nazionali dei paesi che vi aderiscono, oltre che da accordi tra i paesi adottanti e quelli d’origine. Formalmente alla Convenzione dell’Aja aderiscono 107 paesi, ma quelli d’origine dei bambini e delle bambine adottate sono meno di 30, dice Monya Ferritti. Ferritti è stata per anni presidente del Coordinamento CARE, ente che riunisce decine di associazioni che si occupano di adozioni, è autrice di vari libri sul tema ed è una delle persone più competenti in materia.
Una delle ragioni per cui la Corte costituzionale ha ritenuto opportuno dichiarare illegittimo il divieto per le persone singole di adottare bambini e bambine dall’estero riguarda proprio il calo delle adozioni: citando la «progressiva riduzione delle domande di adozione», i giudici hanno ritenuto che la platea dei potenziali adottanti andasse estesa, anziché ridotta.
Secondo le associazioni del settore, però, una lettura del genere è riduttiva e allargare la platea degli aspiranti adottanti non è l’unica soluzione ai molti problemi delle adozioni internazionali. «Il problema non è solo che meno persone adottano, ma che i bambini adottabili dall’estero sono sempre meno, e attorno a loro si creano dei colli di bottiglia di persone che non sempre sono adeguatamente preparate ad accoglierli», dice Ferritti.
Altre cause del calo di adozioni internazionali sono il maggior ricorso alla procreazione medicalmente assistita, che permette di avere figli a chi non può averli spontaneamente, e il fatto che prevedano tempi lunghi e costi elevati. Adottare è un percorso che può richiedere anni e più viaggi in luoghi lontani, per via dei periodi conoscitivi tra il minore e l’aspirante famiglia. Inoltre molti paesi hanno chiuso o ridotto i canali per adottare. Lo hanno fatto l’Etiopia, il Vietnam e nel 2024 anche la Cina, uno dei paesi di maggior provenienza dei bambini e delle bambine storicamente adottate dall’estero dalle famiglie italiane, insieme a Russia, Bielorussia e Ucraina.
Le adozioni sono state sospese o limitate anche a seguito di scandali per abusi e violazioni compiute nei paesi adottanti, molto spesso occidentali. Inchieste giornalistiche e indagini giudiziarie degli ultimi decenni hanno fatto emergere vari casi di adozioni non consensuali, soprattutto in paesi poveri o in ex colonie di paesi occidentali, a volte con l’attiva partecipazione della Chiesa cattolica. Oppure, in altri casi, le adozioni sono state sospese semplicemente perché alcuni paesi sono diventati più ricchi e hanno sviluppato un sistema di welfare per cui ci sono meno famiglie in difficoltà, oppure hanno registrato un calo della fertilità nella popolazione e quindi hanno bisogno di tenere bambini e bambine prima adottabili.
Oggi in Italia arrivano meno bambini e bambine dall’estero, e quelli che arrivano sono cambiati rispetto al passato: sono più grandi, con vissuti più difficili, ed è più frequente rispetto al passato che abbiano quelli che gli esperti chiamano special needs, cioè condizioni di disabilità o difficoltà di apprendimento e di inserimento in contesti nuovi e radicalmente diversi da quelli d’origine. Capita che le famiglie riescano a superare queste difficoltà, ma ci sono anche casi in cui non va così, perché non sanno gestire questi bisogni. Le cosiddette “restituzioni”, cioè quando la famiglia adottiva rinuncia al minore adottato dopo averlo accolto per un certo periodo di tempo, sono rare e drammatiche, ma emblematiche di problemi quotidiani che riguardano molte famiglie adottive.
In Italia gli strumenti per affrontare questi problemi sono carenti e disomogenei: «La qualità e presenza dei servizi sociali che svolgono le indagini sulle famiglie è molto variabile a seconda delle regioni, senza standard unici, per cui in alcune regioni la valutazione dell’aspirante famiglia adottiva e i percorsi di accompagnamento funzionano molto bene e in altre no», dice Ferritti.
Secondo Ferritti uno dei principali problemi nell’assistenza alle famiglie riguarda il mancato lavoro da fare sulle differenze culturali: «Il sistema delle adozioni internazionali deve formarsi in senso decoloniale e antirazzista, e oggi non è così: molte persone non sono adeguatamente preparate a crescere una persona nera o non bianca in una società bianca, ed è un problema», dice.
Per decenni le adozioni internazionali sono state raccontate sulla base di pregiudizi razzisti e di stampo coloniale, oggi spesso identificati con la formula white saviour complex, traducibile più o meno come “il complesso del salvatore bianco”: cioè l’attitudine paternalista, condiscendente e più o meno consciamente razzista con cui molte persone bianche percepiscono sé stesse in relazione a persone non bianche.
Nella cultura delle adozioni tutto questo può concretizzarsi nell’idea che un bambino o una bambina adottato da un paese svantaggiato debba necessariamente sentirsi fortunato e dimostrare gratitudine nei confronti di chi lo ha sottratto al contesto d’origine: e quindi essere felice e sereno, una volta inserito in una realtà “migliore”.
Negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, il tema dei pregiudizi razzisti inconsapevoli è stato molto discusso anche dalle stesse persone adottate e diventate adulte: l’attivista e scrittrice statunitense Angela Tucker ha recentemente trattato il tema nel libro You Should Be Grateful (“Dovresti essere grata”), pubblicato nel 2023. Nel libro Tucker racconta la propria esperienza di bambina nera adottata in una società bianca, di come ha affrontato i pregiudizi benintenzionati delle persone che aveva attorno, così come il suo rapporto con la mancata somiglianza fisica con i parenti e il suo contesto d’origine.
Negli ultimi anni il cambiamento della sensibilità ha portato a mettere in discussione il concetto stesso di adozione internazionale, non più visto come un atto di carità e filantropia. Per quanto molti percorsi adottivi vadano a buon fine, conclude Ferritti, «oggi comincia a farsi strada l’idea che la cosa migliore, quando possibile, sia sempre garantire a un bambino o a una bambina una famiglia nel suo contesto d’origine, anziché allontanarlo».
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