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  • Mercoledì 20 agosto 2025

I molti modi in cui Israele non fa arrivare il cibo a Gaza

Imponendo un sistema di complicati trasbordi e bloccando arbitrariamente al confine beni di prima necessità, ha raccontato Haaretz

Due autisti di camion di aiuti umanitari aspettano di entrare a Gaza bevendo tè, 6 agosto 2025
Due autisti di camion di aiuti umanitari aspettano di entrare a Gaza bevendo tè, 6 agosto 2025 (AP Photo/Khaled Elfiqi)
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Israele impone limitazioni e divieti burocratici arbitrari ai camion di cibo e generi di prima necessità diretti nella Striscia di Gaza, con il risultato che l’arrivo degli aiuti è spesso rallentato o reso impossibile. Questo avviene dall’inizio della guerra, ma la questione è diventata più grave e urgente ora che moltissime persone nella Striscia soffrono di malnutrizione e rischiano tutti i giorni di essere uccise andando a recuperare cibo nei centri di distribuzione allestiti da Israele e usati di fatto come arma di guerra contro i palestinesi.

– Leggi anche: Usare la fame come arma di guerra

Questi divieti burocratici sono arbitrari e a volte incomprensibili: di recente, ha raccontato il quotidiano israeliano Haaretz, è stato vietato l’ingresso a Gaza di un carico di datteri perché considerati un cibo di «lusso» (non avviene sempre: a volte i datteri sono fatti passare). In altri casi sono state vietate le patate perché si conservano a lungo e quindi potrebbero essere rubate e usate dai miliziani di Hamas come merce di scambio.

Attualmente il cibo e i generi di prima necessità entrano nella Striscia di Gaza per due canali principali. Il primo è gestito da Israele stesso tramite la Gaza Humanitarian Foundation, una pseudo ong che ha monopolizzato la distribuzione di cibo rendendola però inefficiente e generando le condizioni per una serie continua di stragi di palestinesi.

L’altro metodo è gestito dalle agenzie dell’ONU o dalle ong che ancora operano nella Striscia, e che fanno arrivare il cibo su camion che nella maggior parte dei casi partono dalla Giordania, attraversano Israele ed entrano nella Striscia attraverso uno dei valichi di frontiera gestiti dall’esercito israeliano: quasi sempre quelli di Rafah e di Kerem Shalom, nel sud.

Gli ostacoli burocratici, raccontati da Haaretz, cominciano con le autorizzazioni. Per operare nei territori palestinesi, le ong e le organizzazioni umanitarie devono ottenere un permesso da Israele. Dopo l’inizio della guerra, il 7 ottobre del 2023, il governo israeliano ha bloccato i nuovi permessi per quasi un anno e mezzo, tenendo fuori molte ong o costringendole a ingegnarsi in vari modi per poter accedere alla Striscia di Gaza (per esempio, associandosi a gruppi che avevano il permesso già da prima).

A marzo di quest’anno le procedure di registrazione sono state riaperte, ma affidate al ministero per la Diaspora guidato da Amichai Chikli, un estremista che si oppone apertamente al lavoro delle ong. Il ministro ha reso complicatissime le procedure di registrazione e le condizioni necessarie, impedendo l’accesso a decine di organizzazioni.

La settimana scorsa molte organizzazioni hanno firmato un appello per chiedere cambiamenti al sistema di registrazione, sostenendo che il sistema impedisca la consegna degli aiuti. Oxfam, una ong britannica, ha detto per esempio che Israele ha vietato l’ingresso di aiuti dal valore di 2,5 milioni di dollari. Un’altra ong, Anera, ha detto di avere centinaia di tonnellate di riso oltre ad altri generi di prima necessità pronti da consegnare, ma di non aver ancora ricevuto il permesso per farlo.

I camion in fila al varco di Rafah, 6 agosto 2026

I camion in fila al varco di Rafah, 6 agosto 2026 (AP Photo/Khaled Elfiqi)

Ulteriori ostacoli burocratici riguardano gli spostamenti dei camion. Solitamente gli aiuti partono dalla Giordania, dove molte ong hanno base, e subiscono molti trasbordi. Dapprima sono caricati su un camion giordano, che arriva fino al confine con Israele. Da lì sono caricati su un camion israeliano, che attraversa il paese fino ad arrivare al varco di Kerem Shalom. Poi sono trasferiti di nuovo su un camion palestinese, che entra nella Striscia. Questo sistema già di suo è lento e macchinoso, ma di recente il governo israeliano ha deciso che tutti i camion che attraversano Israele devono essere scortati dalla polizia. L’organizzazione delle scorte rallenta ulteriormente il transito.

Quando infine i camion arrivano al varco di Keren Shalom vengono sottoposti a controlli spesso arbitrari, che bloccano alimenti come appunto i datteri o le patate.

Gli ostacoli maggiori sono però per i materiali da costruzione e le attrezzature, per esempio quelle mediche. Israele ha una lista lunghissima di beni e materiali ritenuti “a doppio uso”, che cioè potrebbero teoricamente essere riconvertiti per uso militare da Hamas. Questa lista comprende pannelli solari, batterie, generatori, tavoli operatori, macchine per le ecografie, vaporizzatori per le persone che soffrono di malattie respiratorie, e altro ancora.

Persone palestinesi assaltano un camion appena entrato a Gaza, 4 agosto 2025

Persone palestinesi assaltano un camion appena entrato a Gaza, 4 agosto 2025 (AP Photo/Mariam Dagga)

I controlli, le lungaggini burocratiche e i blocchi imposti da Israele fanno sì che ai varchi con la Striscia di Gaza si creino sistematicamente delle file lunghissime di camion che aspettano di entrare. Il varco di Kerem Shalom, peraltro, è chiuso la domenica, e opera a ritmi ridotti il venerdì e il sabato.

Dopo i controlli i soldati israeliani non consentono ai camion di assicurare adeguatamente i propri carichi, e molto spesso sacchi di farina e altro finiscono per cadere per terra all’ingresso della Striscia: alcune foto satellitari scattate all’inizio di agosto mostrano queste strade bianche per la farina caduta.

Secondo le accuse delle ong, inoltre, l’esercito israeliano costringe i camion che entrano nella Striscia a fare strade che sono notoriamente infestate dai predoni e da persone disperate che assaltano i veicoli per rubare il cibo. Secondo l’esercito, questo avviene perché è necessario che le strade usate dai camion siano prevedibili per ragioni di sicurezza.

Alcune ong, parlando con Haaretz, hanno sostenuto che Israele faccia tutto questo deliberatamente per dimostrare che il sistema internazionale degli aiuti non funziona, e per favorire invece il proprio sistema, quello della Gaza Humanitarian Foundation. Il governo israeliano invece sostiene che i controlli e le lungaggini burocratiche siano necessari per ragioni di sicurezza, e anzi accusa l’ONU e varie ong di non fare abbastanza per consegnare in maniera efficace gli aiuti alla popolazione.