Con Hugo Pratt il fumetto diventò un’altra cosa

Quelli di Corto Maltese furono tra i primi graphic novel in Italia, e lo resero famoso nel mondo fino alla morte trent'anni fa

di Giuseppe Luca Scaffidi

Hugo Pratt beve una birra in un bar di Venezia, 1966. (Archivio Cameraphoto Epoche/Getty Images)
Hugo Pratt beve una birra in un bar di Venezia, 1966. (Archivio Cameraphoto Epoche/Getty Images)
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Nel 1967 Hugo Pratt pubblicò sulla rivista Sgt. Kirk il primo numero di Una ballata del mare salato, il fumetto più importante della sua carriera. È quello in cui fece la prima apparizione il marinaio e avventuriero Corto Maltese, ed è ricordato anche per la sua importanza storica: insieme a lavori come La rivolta dei racchi di Guido Buzzelli è considerato il primo esempio mai pubblicato in Italia di graphic novel, il termine con cui oggi vengono definiti i fumetti con una struttura e delle ambizioni letterarie simili a quelle di un romanzo.

Pratt, che morì il 20 agosto di trent’anni fa, lo pubblicò in venti numeri fino al febbraio del 1969. Ci riuscì grazie all’interessamento dell’imprenditore immobiliare genovese Florenzo Ivaldi, che era un grande estimatore del lavoro con cui Pratt si era fatto conoscere in Argentina, il paese in cui aveva vissuto nel decennio precedente e in cui era già diventato un autore famoso, e decise quindi di fargli da mecenate.

Dopo quell’esperienza, Pratt era rientrato in Italia nel 1962, e da allora aveva lavorato soprattutto come disegnatore per il Corriere dei piccoli, la rivista di fumetti più diffusa del tempo, collaborando con lo scrittore Mino Milani all’adattamento a fumetti dei grandi romanzi d’avventura per ragazzi di Robert Louis Stevenson, come L’isola del tesoro e Il ragazzo rapito.

L’incontro con Ivaldi fu un punto di svolta per Pratt, che fino ad allora si era affermato quasi esclusivamente come disegnatore, affidandosi ai testi di altri sceneggiatori e scrivendo poco o nulla di suo. Grazie allo spazio che gli fu assicurato su Sgt. Kirk, Pratt potè affrancarsi dai rigidi ritmi della serialità per dedicarsi a un progetto tutto suo, con dei tempi di consegna più blandi e una libertà artistica pressoché totale.

(Archivio Cameraphoto Epoche/Getty Images)

Fino a quel momento, in Italia e non solo, il fumetto era considerato un mezzo narrativo di second’ordine. Più che le possibilità espressive, ne venivano evidenziati i limiti: non aveva la dinamicità e l’impatto visivo di un film, e neppure quella profondità che solitamente si cerca in un romanzo. Nel migliore dei casi veniva percepito come un altro modo di concepire la narrativa per bambini: un mezzo funzionale al racconto di storie brevi, semplici e disimpegnate.

Con Una ballata del mare salato Pratt mise in crisi questi pregiudizi, cogliendo l’occasione per inserire nella storia tutte le sue ossessioni. C’era il mare, raccontato con uno sguardo simile a quello che aveva incrociato nei romanzi di Joseph Conrad, Herman Melville, Jack London e Henry de Vere Stacpoole. C’erano le carte geografiche, che amava disegnare e in cui amava reinventare i confini, e che servivano a dare concretezza e mistero ai viaggi dei suoi personaggi. C’erano le ambientazioni e gli sviluppi tipici dei romanzi d’avventura di Emilio Salgari di cui era stato un vorace lettore da ragazzo, che gli avevano trasmesso il gusto per l’esotico e per i mondi lontani. E c’era il cinema, soprattutto i western americani, da cui riprese il ritmo delle inquadrature, l’economia dei dialoghi e la tendenza a sfruttare i momenti di silenzio come parte integrante della narrazione.

Ma entrarono spesso nelle sue invenzioni anche interessi molto specifici come quello per l’esoterismo e la massoneria, che gli derivava dall’ambiente familiare e che sarebbe diventato un elemento caratteristico delle sue opere successive. A queste basi Pratt aggiunse la sensibilità poetica ereditata dal nonno Eugenio Genero, ufficiale degli Alpini e poeta dialettale veneziano, che gli trasmise l’amore per quel linguaggio essenziale, immaginifico e metaforico che caratterizzò molti suoi personaggi.

Una ballata del mare salato riuscì a intercettare un pubblico più adulto e colto, diverso da quello abituale dei fumetti italiani. I lettori rimasero affascinati dallo stile di disegno pulito ed espressivo di Pratt, dall’impostazione cinematografica delle sue tavole, e soprattutto dalla caratterizzazione dei suoi uomini di mare, che sfuggivano al rigido manicheismo tipico di molte produzioni del tempo («Non sono un eroe, non amo le regole», dice una delle frasi più famose di Corto Maltese) e rivelavano progressivamente frammenti del loro passato, abbandonandosi spesso a digressioni poetiche.

L’incipit di Una ballata del mare salato, in cui è lo stesso Oceano Pacifico a introdurre la storia, è ancora oggi ricordato come uno degli esordi più originali e riusciti del fumetto, citato come esempio della capacità di Pratt di esaltare le possibilità di questo mezzo espressivo.

Una ballata del mare salato (Rizzoli)

Corto Maltese, che negli anni successivi diventò protagonista di una lunga serie di avventure ambientate in ogni angolo del mondo, entrò a far parte della cultura pop italiana e ottenne una considerazione enorme anche all’estero, dove Pratt fu accolto come un vero e proprio maestro. A livello internazionale ottenne una considerazione simile a quella di Osamu Tezuka in Giappone, Hergé in Belgio, Moebius in Francia o Will Eisner negli Stati Uniti.

Le storie di Corto Maltese furono pubblicate in riviste di grande prestigio come la francese Pif Gadget, e anche negli Stati Uniti molti autori si lasciarono ispirare dal suo lavoro. Frank Miller (quello di Sin City e 300) ha citato spesso Pratt come una delle sue principali influenze, tanto da chiamare “Corto Maltese” un’isola immaginaria in Il ritorno del Cavaliere Oscuro, il suo fumetto più famoso.

Una ballata del mare salato (Rizzoli)

In quegli anni Pratt seppe ritagliarsi un posto di rilievo nel mondo della cultura italiana, dovuto non soltanto all’enorme successo di critica e pubblico dei suoi fumetti, ma anche alla sua personalità. I suoi viaggi in giro per il mondo, i molti riferimenti esoterici presenti nei suoi racconti e la sua proverbiale riservatezza lo rendevano un personaggio intrigante e interessante da raccontare.

Lui stesso amava giocare su questa ambiguità. Quando i giornalisti gli chiedevano conto della sua fama di “intellettuale del fumetto” tendeva spesso a sottostimarsi, preferendo definirsi un semplice fumettaro o, al massimo, «un operatore del mondo della fantasia». Allo stesso tempo, amava raccontare con toni molto evocativi alcuni aneddoti della sua vita da giramondo, lasciando sempre un margine d’incertezza: parlava di incontri improbabili, di esperienze esotiche in Africa o nei Caraibi, senza chiarire se fossero del tutto veri. «Ho almeno tredici modi diversi di raccontare la mia vita, e non so se uno di questi sia più vero degli altri», disse in una lunga intervista con il critico del fumetto francese Dominique Petitfaux, poi finita in un libro.

Una mostra dedicata al lavoro di Hugo Pratt, Bologna, 2016 (Roberto Serra/Iguana Press/Redferns)

Pratt nacque il 15 giugno 1927 a Rimini ma trascorse la sua infanzia a Venezia, in un ambiente familiare aperto e cosmopolita. Le origini inglesi e marrane dei nonni, le conoscenze esoteriche della madre Evelina Genero e la carriera militare del padre Rolando influenzarono moltissimo i suoi interessi.

La passione per il fumetto e la sensibilità per l’immagine partirono dalla contemplazione delle figurine Liebig che, da bambino, trovava nei dadi da brodo o nei pacchetti di sigarette inglesi. A differenza dei coetanei, che collezionavano quelle dei calciatori, Pratt era incuriosito dalle scene che vedeva raffigurate in quelle figurine: uomini tatuati appartenenti ai popoli delle isole del Pacifico, spiagge remote lambite dal mare o soldati in uniformi insolite.

Lui stesso ha raccontato che, grazie a quelle figurine, cominciò a costruire un immaginario che presto si sarebbe arricchito di libri, film e fumetti: fu lettore precoce delle collane popolari della Sonzogno, scoprì le avventure disegnate da Franco Caprioli e rimase colpito da romanzi come La laguna azzurra di Henry de Vere Stacpoole.

Ancora adolescente seguì la famiglia in Africa orientale, dove il padre era stato destinato come ufficiale nell’allora colonia d’Abissinia (oggi Etiopia). Nel 1943 tornò in Italia e, grazie alla sua ottima conoscenza dell’inglese, fu arruolato come interprete per l’esercito alleato, incarico che mantenne fino alla fine della guerra.

Nel 1945, rientrato a Venezia, insieme agli amici e futuri colleghi Alberto Ongaro, Mario Faustinelli e Ivo Pavone creò Asso di Picche, il primo eroe mascherato italiano. Fu il vero inizio della sua carriera da fumettista: il lavoro del “gruppo di Venezia” (il nome collettivo che fu attribuito agli autori che gravitavano attorno alla rivista) fu infatti notato da Cesare Civita, imprenditore italiano di origini ebraiche che nel 1938, dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali, si era trasferito dapprima in Francia e poi in Argentina.

Qui aveva fondato la Editorial Abril, una delle case editrici più famose del tempo, che in quel decennio diventò un punto di riferimento per una generazione di fumettisti di enorme talento. Per dare l’idea, tra le persone che lavorarono per Civita in quel decennio ci furono Héctor Oesterheld e Francisco Solano López, i futuri autori dell’Eternauta, il fumetto più importante della storia argentina.

Nel 1950 Pratt si trasferì a Buenos Aires insieme a Faustinelli e Pavone. Per la Editorial Abril disegnò serie come Junglemen, Sgt. Kirk e Ernie Pike, spesso su testi di Oesterheld. In Argentina imparò a lavorare con ritmi editoriali serrati, e cominciò ad affinare il suo stile: se nelle prime opere il suo segno appariva ancora carico di dettagli, negli anni a Buenos Aires imparò a sviluppare una sintesi più efficace, sia grafica che narrativa. Le sue tavole cominciarono a privilegiare l’andamento del racconto e la costruzione dell’atmosfera, più che l’accumulo minuzioso di particolari.

La permanenza in Sudamerica si protrasse per oltre un decennio, con tappe intermedie in Brasile e in Perù. Dopo il rientro in Italia e la pubblicazione di Una ballata del mare salato, Pratt continuò a scrivere e disegnare le avventure di Corto Maltese fino al 1988, ambientandole in epoche e luoghi sempre diversi. Corte Sconta detta Arcana (1974), in particolare, è considerata una delle sue opere più riuscite: è ambientata a Hong Kong e in Manciuria nel 1920, durante la guerra civile russa e le lotte per il controllo della Cina del Nord. Corto Maltese viene coinvolto in una trama che intreccia società segrete cinesi, complotti militari e la leggenda di un treno carico di oro degli zar appartenuto all’ammiraglio controrivoluzionario russo Kolcak.

Negli anni successivi Pratt continuò a far muovere Corto Maltese tra ambientazioni in parte reali e in parte immaginarie: dalla Venezia esoterica di Favola di Venezia alla rotta verso l’Asia centrale di La casa dorata di Samarcanda, fino a La giovinezza, che racconta l’adolescenza di Corto Maltese, e a Mū, la città perduta (1988), l’ultima avventura del marinaio, una rielaborazione del mito d’Atlantide.

Corte Sconta detta Arcana (Rizzoli)

Accanto alle storie di Corto Maltese, Pratt si dedicò anche ad altri progetti, tra cui raccolte di racconti a fumetti come Gli scorpioni del deserto, ispirati alla sua esperienza giovanile in Africa. Negli anni precedenti alla morte per tumore, avvenuta a Pully (Svizzera) il 20 agosto 1995, a 68 anni, pubblicò opere più sperimentali come Morgan e Saint-Exupéry, che confermarono la sua propensione a intrecciare storia, finzione ed esoterismo.

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