Vi ricordate le foto di Anne Geddes?
Molto kitsch e amatissime negli anni Novanta, ora lo sono un po' meno ma per la prima volta ne è stata fatta una mostra

Il 16 agosto a Tubinga è stata inaugurata la prima mostra retrospettiva sulla carriera della fotografa australiana Anne Geddes. Chiunque abbia memoria degli anni Novanta conosce le sue foto di neonati agghindati con fiori, foglie di cavolo e ali di farfalla, o travestiti da api, pulcini e piselli. In quegli anni erano ovunque, riempivano pareti, biglietti d’auguri, tazze e quaderni. I calendari e i libri di Geddes vendettero decine di milioni di copie in più di 80 paesi.
Questa è la prima volta che le sue foto vengono esposte in una mostra, ma a differenza di molte cose tipiche degli anni Novanta è difficile pensare che la loro estetica tornerà di moda. Un po’ perché le sue foto hanno un gusto sdolcinato e kitsch che oggi è decisamente superato da approcci artistici più provocatori e cinici. Un po’ perché il lavoro di Anne Geddes aveva un senso particolare al tempo, quando modificare le foto non era facile come oggi e le sue composizioni avevano effettivamente qualcosa di unico; le cose da allora sono molto cambiate.
La carriera da fotografa di Geddes, che oggi ha 68 anni, iniziò negli anni Ottanta, a 25, con foto classiche di bambini piccoli, senza particolari scenografie o travestimenti. La sua creatività però fu notata e lei fu assunta in un’agenzia di biglietti di auguri in Nuova Zelanda. Il suo primo calendario di foto di neonati uscì nel 1992. Tra le sue foto più famose di quegli anni c’è quella di Maneesha, una bambina nata prematura al settimo mese, che dorme tra le grandi mani di un uomo, un giardiniere di nome Jack, poi impiegato da Geddes anche in altre foto.
Ma furono le foto a tema floreale del libro Down in the Garden del 1996 a farla conoscere a un larghissimo pubblico. Improvvisamente «era tutto un vasi, vasi, vasi: era come se avessi un vaso di fiori tatuato sulla fronte. Tutti volevano i vasi di fiori!». Su Instagram Geddes ha recentemente cominciato a pubblicare dei video in cui racconta come realizzò alcune fotografie di quegli anni, come quella del bambino che dorme sulla zucca, o quella della bambina travestita da ninfea (li ha cancellati poco dopo l’uscita di questo articolo, ndr). «Era tutto vero, le foglie, l’acqua, la preparazione è stata incredibile».
Il culmine della carriera di Geddes arrivò probabilmente nel 2004, quando uscì il concept album di Celine Dion Miracle, i cui temi erano l’infanzia, la nascita e la maternità, e a cui fu abbinato un libro di sue foto. In quell’occasione fu anche ospite nel programma televisivo di Oprah, uno dei più seguiti negli Stati Uniti.

Anne Geddes e Celine Dion alla presentazione di Miracle (Gregory Pace/FilmMagic)
Da allora le sue foto sono comparse saltuariamente su copertine di riviste e all’interno di campagne pubblicitarie. Nel 2020, durante il lockdown, molti giornali ripresero la sua iniziativa di farsi mandare foto di neonati da tutto il mondo per pubblicarle sul suo profilo Instagram come invito all’ottimismo e alla speranza in un periodo di incertezza. A parte per alcune singole iniziative però, negli ultimi vent’anni di Geddes non si è più sentito molto parlare.
Le cose infatti sono cambiate velocemente con la diffusione di internet e di programmi per modificare le foto sempre più efficaci e facili da usare da chiunque. Oggi Geddes vive a New York, e dal suo sito si può acquistare un corso per imparare a fotografare autonomamente i propri figli “alla Anne Geddes”, usando lo smartphone.
Tutte le sue foto infatti erano e sono ancora oggi fatte in studio, con bambini, fiori, cavoli e zucche veri. Naturalmente «non posso fotografare un neonato in un fiore vero; fotografo entrambi i soggetti separatamente e poi li unisco in seguito», ha raccontato di recente, «durante lo shooting, il neonato è adagiato in una forma morbida e perfettamente aderente che ricorda il fiore. Ma tutto viene creato in studio».

Anne Geddes nel 2021 (Roy Rochlin/Getty Images)
Gestire i pianti e le necessità dei neonati, e allestire set sufficientemente comodi e sicuri per loro era il grosso del lavoro. Geddes ha detto di aver sempre lavorato la mattina perché è quando i bambini sono più di buon umore, e di preferire quelli di sei o sette mesi, che sanno già stare seduti ma non possono allontanarsi. Prima di scattare li fa mangiare in modo che si tranquillizzino. «Se tutto va bene, abbiamo finito in cinque minuti. Ma se un bambino proprio non ne vuole sapere, passo a un altro».
La mostra di Tubinga è la prima in cui le foto di Geddes vengono esposte al pubblico. A questo proposito ha raccontato di aver fatto molta fatica e essere riconosciuta come artista e di essere «stata spesso ignorata» nel settore perché «i neonati, la gravidanza, e il miracolo di una nuova vita non sono molto considerati come soggetti nel mondo dell’arte». Della retrospettiva ha detto che tra le sue foto preferite, quelle in bianco e nero, ce ne sono alcune che molti non hanno mai visto prima e che per lei è un’occasione per far conoscere anche quelle. «Non vedo l’ora che le persone vedano questi miei altri lavori: è la prima volta che qualcuno mi chiede di esporli», ha detto al Guardian.
Oggi lavora più che altro su commissione, per privati o per aziende, spesso per beneficenza. Nel 2016 fece una campagna internazionale per promuovere il vaccino contro la meningite, in cui fotografò cinque atleti paralimpici, tra cui l’italiana Bebe Vio, con dei bambini in braccio. Una giornalista di The Cut ha recentemente scritto che un servizio da dodici scatti per un calendario lo fa pagare tra i 200mila e i 300mila dollari.



