Le nuove accuse di incostituzionalità alla norma sugli stupefacenti del codice della strada
Altri due giudici hanno spiegato che molte cose della riforma non tornano

Dopo un primo ricorso presentato da una giudice di Pordenone, altri due giudici hanno chiesto alla Corte costituzionale di esprimersi sul nuovo codice della strada approvato dal governo alla fine del 2024, e in particolare sulla contestata norma che punisce chi usa sostanze stupefacenti. Tre ricorsi alla Corte costituzionale in pochi mesi sono il sintomo dell’evidente difficoltà di procure e tribunali che faticano ad applicare una norma considerata incostituzionale, ideologica e repressiva, e tra l’altro fraintendibile.
Le critiche si concentrano su un punto della riforma, già molto discusso negli ultimi mesi, che ha eliminato le parole “stato di alterazione psico-fisica” dalle sanzioni relative alla guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti: applicando la legge in modo oggettivo, ora basta un test positivo per vedersi sospendere la patente, anche giorni dopo aver assunto la sostanza. La procedura seguita da carabinieri e polizia prevede l’utilizzo di un test salivare per accertare la positività, e successivamente l’invio di campioni di saliva a un laboratorio per confermare l’assunzione. Non serve più la visita di un medico o di una medica per accertare lo stato di alterazione psico-fisica, come accadeva fino allo scorso anno.
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Le sostanze stupefacenti però possono rimanere nell’organismo giorni o settimane dopo l’assunzione: dipende dalla dose assunta, dalla frequenza d’uso e dal metabolismo. Applicando la legge così com’è, anche chi ha assunto sostanze giorni prima di mettersi alla guida, senza mettere in pericolo nessuno, rischia il ritiro della patente. Secondo associazioni e movimenti antiproibizionisti questa norma non ha quindi nulla che fare con la sicurezza stradale ed è solo un modo per il governo di portare avanti politiche repressive nei confronti di chi usa sostanze stupefacenti.
La contestazione dei giudici riguarda proprio l’applicazione della riforma, che per come è stata scritta nasconde dei paradossi.
Nel suo ricorso alla Corte costituzionale, un giudice per le indagini preliminari di Macerata ha evidenziato questo: siccome la legge prevede di sanzionare chi si è messo alla guida semplicemente dopo aver assunto sostanze stupefacenti, senza specificare limitazioni temporali, dovrebbe essere incriminato anche chi ha assunto stupefacenti a 18 anni e si mette al volante a 60. Se invece – com’è – il termine “dopo” si riferisce a un periodo di tempo più ristretto tra l’assunzione e la guida, manca un riferimento certo per permettere a un magistrato di capire quale violazione sia rilevante penalmente e quale no.
Il giudice ha anche rilevato una disparità di sanzione tra chi guida senza avere mai avuto la patente e chi invece guida dopo aver assunto sostanze quando gli effetti sono cessati: nel primo caso nonostante la pericolosità viene fatta solo una sanzione amministrativa, nel secondo invece si rischia una condanna penale.
Molte contraddizioni simili sono state rilevate anche in un ricorso alla Corte costituzionale presentato da un giudice per le indagini preliminari di Siena, che tra le altre cose ha notato come l’unico modo per risolvere i problemi di questa legge sarebbe ripristinare l’accertamento dello stato di alterazione psico-fisica.
Lo scorso aprile i ministeri dell’Interno e della Salute hanno provato a rimediare alla confusione con una nuova circolare che di fatto sconfessa l’impostazione del ministero dei Trasporti. La circolare chiarisce che per accusare qualcuno per guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti bisogna accertare che la sostanza «produca ancora i suoi effetti nell’organismo durante la guida».
In un altro passaggio la circolare specifica ancora meglio: occorre provare che la sostanza sia stata assunta in un periodo di tempo «prossimo» alla guida del veicolo. In questo modo i ministeri hanno cercato di recuperare il criterio dello stato di alterazione psico-fisica eliminato lo scorso anno.
Le circolari, tuttavia, non hanno lo stesso valore delle leggi. In teoria le forze dell’ordine dovrebbero seguirle, ma di fronte a un giudice vale comunque il contenuto della legge.



