Quando la Russia pensò di avere fatto un affare a vendere l’Alaska
E gli Stati Uniti di aver preso una mezza fregatura: breve storia del posto dove a Ferragosto si vedranno Trump e Putin

Quando il 15 agosto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e quello della Russia Vladimir Putin si incontreranno in Alaska, lo faranno su un territorio che un tempo era russo ed era chiamato l’“America russa”. Nel 1867 l’allora Impero russo vendette l’America russa, cioè l’Alaska, agli Stati Uniti. Al tempo l’accordo sembrava sensato, ma oggi parte dei russi se n’è pentita.
Il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung lo ha da poco definito «l’accordo più stupido della storia». Gli Stati Uniti, per quell’enorme territorio grande quasi quattro volte la Germania, pagarono 7,2 milioni di dollari, che secondo alcune stime equivarrebbero a circa 25 miliardi di dollari oggi.
L’Impero russo aveva cominciato a colonizzare l’Alaska alla fine del Settecento, con alcune chiese e insediamenti di cacciatori di pelli, tutti situati sulla costa. I russi non avevano più di tanto esplorato l’entroterra, né avevano cercato di insediarsi stabilmente, anche se, per conquistare le zone costiere più pregiate, avevano massacrato migliaia di persone indigene. L’Alaska era soprattutto un avamposto per cacciatori, in cui vivevano poche migliaia di persone.

L’assegno con cui gli Stati Uniti comprarono l’Alaska (Wikimedia)
Alla metà dell’Ottocento l’Alaska cominciò a diventare un peso per l’Impero russo. Era un territorio lontanissimo dalla capitale Pietroburgo, ritenuto di scarso valore economico e poco difendibile.
L’Alaska confinava allora con l’Impero britannico, che controllava il Canada: l’Impero britannico era il principale rivale internazionale di quello russo, e i due da decenni erano dentro una competizione economica e militare (soprattutto in Asia centrale, che sarebbe poi divenuta nota come “il grande gioco”). L’imperatore russo Alessandro II cominciò a temere che i britannici avrebbero potuto approfittare della vulnerabilità dell’Alaska e conquistarla.
Così si cominciò a pensare di vendere il territorio agli statunitensi, con cui l’Impero russo al tempo aveva un buon rapporto – e comunque meglio che l’avessero loro piuttosto che i britannici. I negoziati avvennero tra l’inviato russo Eduard de Stoeckl e il segretario di Stato americano William Seward. I due si accordarono sulla vendita il 30 marzo del 1867.

Un’illustrazione mostra la firma dell’accordo per l’acquisto dell’Alaska. Quello seduto al centro è William Seward, mentre Eduard de Stoeckl è in piedi con la mano sul mappamondo (Pictorial Parade/Getty Images)
Paradossalmente, al tempo erano gli americani quelli convinti di aver fatto l’affare peggiore. I media criticarono l’acquisto di quella che definirono la «ghiacciaia di Seward», e dissero che il presidente Andrew Johnson aveva comprato «un giardino di orsi polari». La Camera degli Stati Uniti, che era controllata dai Repubblicani (Johnson era un Democratico) fece ostruzionismo per mesi, e ratificò il trattato di vendita soltanto un anno dopo.

Una vignetta satirica statunitense sull’acquisto dell’Alaska (Getty Images)
Al contrario, l’inviato russo Stoeckl ricevette per i suoi servizi di negoziatore l’alta somma di 25 mila dollari, e una rendita vitalizia di 6 mila dollari l’anno.
Nel 1896 in Alaska fu scoperto l’oro. Migliaia di statunitensi cominciarono a trasferirsi nel territorio. Nel corso del Novecento furono scoperti il petrolio e altre importanti risorse. Nel gennaio del 1959 l’Alaska divenne definitivamente uno stato americano, il 49esimo (le Hawaii furono il 50esimo, nell’agosto dello stesso anno).

L’allora presidente Dwight D. Eisenhower (al centro) guarda la bandiera americana con 49 stelle, dopo l’aggiunta dell’Alaska (AP Photo/Bob Schutz)
Nel corso dei decenni i russi si sono chiesti più volte come sarebbe cambiata la storia del mondo se non avessero venduto l’Alaska. La Russia avrebbe avuto un avamposto nel continente americano, e sarebbe stata estremamente vicina alle città statunitensi del nord-ovest, come Seattle. Avrebbe avuto inoltre un maggiore controllo dell’Artico.
Per molti nazionalisti russi la vendita dell’Alaska è una rivendicazione ancora attiva, e alcuni ne chiedono perfino la restituzione. Nel 2014 Putin definì la vendita dell’Alaska «a buon mercato», ma aggiunse che «non bisogna agitarsi troppo per questo».
L’anno scorso il governo russo ha emanato un decreto per «proteggere le proprietà della Russia all’estero», comprese le proprietà dell’ex Unione Sovietica e dell’ex Impero Russo. Il decreto, apparentemente, aveva l’obiettivo di proteggere soprattutto le proprietà culturali, ma alcuni nazionalisti russi hanno cominciato a speculare che Putin avrebbe richiesto indietro l’Alaska (non è successo). Il dipartimento di Stato rispose molto rapidamente, tramite un portavoce: «Penso di poter parlare a nome di tutto il governo quando dico che non la riavrà indietro».



