Le ragioni per cui alla fine lo tsunami non è stato così forte
Un terremoto di magnitudo 8.8 non ha portato a onde grandi e devastanti come ci si sarebbe aspettato

Il terremoto di magnitudo 8.8 di mercoledì al largo della costa della Kamchatka, nell’estremo est della Russia, è stato uno dei più forti mai registrati, eppure ha generato uno tsunami meno energetico del previsto con danni finora limitati. L’allerta per l’arrivo delle onde in buona parte dei paesi che affacciano sull’oceano Pacifico ha permesso di evacuare dalle coste milioni di persone, riducendo i rischi di gravi incidenti come nel passato. Intanto i sismologi stanno cercando di capire che cosa abbia determinato le ondate relativamente piccole registrate dal Giappone agli Stati Uniti. È un lavoro che li terrà impegnati per mesi, ma si può fare qualche prima ipotesi.
La penisola della Kamchatka si trova sul limitare di una delle aree a più alta attività sismica del pianeta, dove si incontrano la placca pacifica e quella nordamericana (che si estende molto oltre il Nordamerica per come lo vediamo). Secondo la teoria più condivisa, la litosfera (cioè la crosta terrestre e la parte dello strato subito sotto, che si chiama mantello) è divisa in placche che si muovono allontanandosi e avvicinandosi l’una all’altra, con punti di scorrimento lungo i loro margini. In prossimità di queste aree si formano le faglie, cioè delle fratture che vanno in profondità nel terreno e che sono dovute allo spostamento tra i due blocchi contrapposti.

(Wikimedia)
La placca pacifica è più densa e sprofonda lentamente sotto quella nordamericana, in un processo incessante che arriva a 8 centimetri all’anno: non sembra molto, ma è un movimento veloce per queste enormi masse di roccia. Il grande attrito tra le due placche fa sì che i margini di quella pacifica raggiungano alte temperature mentre sprofondano. La faglia è lunga centinaia di chilometri e non è quindi uniforme: in alcune aree il processo può incepparsi anche per millenni, causando una fortissima tensione tra gli strati di roccia. Quando questa supera la resistenza del materiale roccioso, la faglia si rompe di colpo e in pochi minuti si libera l’energia accumulata, sotto forma di un grande terremoto come quello di mercoledì.
Un evento di questo tipo viene definito “megasisma” (da megathrust earthquake) e ha la caratteristica di rendere attiva una faglia per centinaia di chilometri. È per questo motivo che buona parte dei dieci terremoti più forti mai registrati è stata di questo tipo e che un altro, di magnitudo 9, interessò sempre la Kamchatka nel 1952. Il movimento improvviso ed esteso fa sì che l’acqua che si trova sopra la faglia venga mossa – un po’ come avviene quando muoviamo una mano immersa in acqua – producendo onde che viaggiano per migliaia di chilometri.

(NOAA)
Nelle profondità oceaniche, uno tsunami può raggiungere la velocità di circa 800 chilometri orari, ma con onde che sono molto ampie e distanti tra loro, e che raramente superano l’altezza massima di un metro. Quando si avvicinano alle coste le onde rallentano perché il fondale è meno basso: si riduce la loro distanza e diventano più alte. Nel caso del terremoto del Giappone del 2011 raggiunsero svariate decine di metri di altezza, mentre nel caso di ieri non sono state segnalate onde più alte di 4 metri in Kamchatka e di meno di due metri alle Hawaii. Nella penisola russa potrebbero esserci stati picchi più alti, ma la regione è per lo più disabitata e non ci sono ovunque sistemi affidabili di rilevazione del moto ondoso.
Come hanno spiegato vari esperti, ogni tsunami è una storia a sé e molto dipende dal terremoto che l’ha originato, dalle caratteristiche della faglia e delle coste in una certa area geografica, e da numerose altre variabili. Il terremoto di ieri è avvenuto in mare a circa 140 chilometri di distanza dalla città più vicina e questo può avere influito sui suoi effetti, sia per quanto riguarda la scossa vera e propria sia per le ondate. La città in questione, Petropavlovsk-Kamchatskiy, è inoltre protetta da una baia che la rende meno esposta.
Dalle prime stime sembra che lungo un tratto di faglia di quasi 500 chilometri ci sia stato uno spostamento di 6-9 metri, a differenza di quanto era avvenuto durante il terremoto del Giappone del 2011 con uno spostamento calcolato fino a 45 metri, sempre lungo una faglia di centinaia di chilometri. Lo spostamento moderato, forse più in orizzontale che verticale, potrebbe avere prodotto un moto ondoso in profondità meno intenso, senza la generazione di forti tsunami come erano stati osservati in altri terremoti di magnitudo comparabile. Saranno comunque necessarie analisi più approfondite della grande quantità di dati raccolti durante e dopo il terremoto per confermarlo.



