Perché in montagna ci si saluta sempre
È un'abitudine diffusa in molti paesi e oltre alle ragioni più ovvie ha anche un'utilità pratica

Salutare le persone sconosciute che si incrociano per strada con un “buongiorno” è un comportamento urbano nel senso di cortese e rispettoso, ma non nel senso letterale: in città non capita tanto spesso, e il più delle volte anzi non capita affatto. In ambienti meno affollati invece è la norma: in uno in particolare, la montagna, oltre che una buona abitudine è un comportamento consolidato. Lo dimostra il fatto che salutare le persone che si incontrano durante un’escursione è un’usanza diffusa in zone di montagna di molti paesi di lingue e culture diverse.
Una delle ragioni fondamentali è che meno persone ci sono in giro, più possibilità ci sono che le loro relazioni diventino significative o necessarie, tanto più in un luogo che espone quelle persone a una serie di rischi per la loro sicurezza. Vale anche per altri ambienti generalmente poco affollati, come per esempio il mare per chi va in barca. Salutarsi tra sconosciuti è il modo più semplice e immediato per stabilire una prima relazione amichevole e dichiarare implicitamente una disponibilità a cooperare e aiutarsi in caso di necessità. È una forma di cosiddetto “altruismo reciproco”, ovvero un’azione intrapresa con l’aspettativa che l’altro agirà in modo simile in un secondo momento.
La propensione al saluto dipende anche dall’eccezionalità dell’esperienza di percorrere un sentiero in montagna rispetto ad altre attività quotidiane e più comuni. Lo scalatore statunitense e fotografo naturalista Galen Rowell definì «fattore ciao» questo desiderio delle persone di salutare quando sono in situazioni fuori dall’ordinario.
In montagna dire “ciao” o “buongiorno” è un modo per prestare attenzione all’incontro e soffermare lo sguardo sull’altra persona, anche solo fugacemente, invece di ignorarla. Ha senso farlo perché quell’attenzione può diventare fondamentale in caso di smarrimenti che richiedano di ricostruire in un secondo momento il percorso seguito da persone disperse o in difficoltà. È più semplice trovarle e aiutarle, se altri escursionisti sono in grado di orientare le ricerche fornendo informazioni dettagliate riguardo a un eventuale incontro con quelle persone (l’abbigliamento, l’equipaggiamento o altro).
A parte queste ragioni, salutarsi e sorridersi tra sconosciuti in montagna è una prassi che deriva da norme sociali e valori culturali condivisi all’interno di comunità tendenzialmente piccole e molto omogenee. Per un turista o un escursionista occasionale salutare una persona sconosciuta, che fino a prova contraria potrebbe essere un abitante del luogo, non è solo una questione di buona educazione: significa anche mostrare la volontà di aderire a quelle norme e rispettarle.
Ma indipendentemente dal fatto che siano o no abitanti del luogo, se una persona che incrociamo su un sentiero durante un’escursione condivide con noi quello spazio è probabile che condivida con noi anche certi valori e una passione, o quantomeno un interesse, per la montagna. Quindi è come se la conoscessimo già, anche se non l’abbiamo mai vista prima: in un certo senso, nessuno è uno sconosciuto in montagna.

Gruppi di escursionisti salgono e scendono dal Semnoz, una montagna dell’Alta Savoia ad Annecy, in Francia (Richard Bord/Getty)
In Giappone, un paese in cui il rispetto reciproco e i saluti hanno in generale un ruolo centrale nei costumi, tra le persone che si incontrano lungo un sentiero di montagna è normale dirsi konnichiwa (simile all’italiano “buongiorno”). Un’alternativa comune è l’espressione di incoraggiamento ganbatte, che corrisponde più o meno a “continua così” o “resisti”. Non ricevere risposta è rarissimo e può risultare stridente, perché salutarsi in montagna è un modo di riconoscersi parte di un impegno collettivo lungo lo stesso percorso.
Il “galateo” della montagna include altre abitudini, che sono abbastanza simili un po’ dappertutto. Se le persone si incrociano su un sentiero stretto, chi scende di solito dà la precedenza a chi sale, spostandosi verso il fianco della montagna. Quando invece gli escursionisti camminano nella stessa direzione e con un passo diverso, chi sta dietro e ha intenzione di superare l’altro lo avvisa chiedendo scusa (osaki ni, in Giappone) e poi lo ringrazia.
La parola tedesca bergheil (dall’unione di berg, “montagna”, e heil, “illeso” ), con cui si esprime gratitudine per essere arrivati in cima sani e salvi, fu invece utilizzata per lungo tempo tra le alpi austriache come saluto tipico in vetta. È un altro segno di quanto sia antica e radicata nei luoghi di montagna l’abitudine di salutarsi, dato che fu probabilmente inventata nel 1881 da un alpinista austriaco, prima di acquisire connotazioni nazionalistiche dopo la Seconda guerra mondiale: una delle ragioni per cui da tempo è più comune salutarsi in montagna dicendo servas o griaß.
Nel 2016, intervistato dalla rivista Vita, l’alpinista italiano Reinhold Messner disse di non apprezzare la parola bergheil perché associata al concetto di conquista. Segnalò e contrappose a quella parola un’espressione utilizzata invece in Tibet, di solito quando qualcuno lascia un campo e si avvia verso una vetta: kalipé, che significa “sempre con il passo lento”.
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