In un mese sono morte più di 80 persone in montagna

Lo ha detto il presidente del Soccorso alpino nazionale, segnalando situazioni al limite con chi viene salvato che si rifiuta di pagare

Operazione di recupero del Soccorso alpino intorno alla Cima dei Lastei sulle Dolomiti, 22 giugno 2025 (Soccorso alpino via ANSA)
Operazione di recupero del Soccorso alpino intorno alla Cima dei Lastei sulle Dolomiti, 22 giugno 2025 (Soccorso alpino via ANSA)

Intervistato dal Corriere della Sera, il presidente del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, Maurizio Dellantonio, ha detto che tra il 21 giugno e il 23 luglio sulle montagne italiane sono morte 83 persone e cinque sono state segnalate come disperse, uno dei dati più alti degli ultimi anni con circa il 20 per cento in più di interventi di soccorso.

Dellantonio ha spiegato che una delle cause è la maggiore frequentazione dei posti di montagna da parte dei turisti, iniziata prima del solito nella stagione estiva, probabilmente a causa della grande ondata di caldo tra fine giugno e inizio luglio: «Mentre a valle non si respirava, qui su faceva bel tempo. L’anno scorso non era così».

Negli ultimi giorni si è parlato molto del sovraffollamento di alcune delle aree montane italiane più famose, soprattutto nel comprensorio delle Dolomiti. Sui social network la scorsa settimana erano state condivise foto e video che mostravano centinaia di persone in coda sotto al Sole per prendere la funivia e salire sul Seceda, una montagna che si trova in val Gardena, in Alto Adige. Le immagini avevano portato nuovi elementi al dibattito sul cosiddetto “overtourism” nelle aree montane, cioè il fenomeno per cui la presenza eccessiva di turisti mette in difficoltà gli abitanti e può causare danni all’ambiente.

La maggiore presenza di persone in montagna, magari poco esperte e alla ricerca di un po’ di fresco, fa sì che siano sottovalutati i pericoli che si possono incontrare nelle escursioni per i sentieri. Dellantonio ha detto che circa il 60 per cento delle persone morte nell’ultimo mese in montagna erano escursionisti: «Scivolano, si fanno male. Contano tanto anche i malori: c’è chi non sta bene, eppure si avventura lo stesso. Il restante 40 per cento sono alpinisti, biker, paracadutisti. Molti non conoscono i propri limiti».

Il soccorso alpino può essere a pagamento a seconda della difficoltà dell’intervento e delle condizioni in cui viene trovato chi lo richiede, con regole che cambiano in base alla regione in cui ci si trova. In generale se dopo il recupero si viene trasferiti in pronto soccorso o si decide il ricovero il soccorso è gratuito, mentre se il recupero viene ritenuto immotivato o si è in assenza di infortunio si applicano di solito tariffe al minuto che possono superare i 100 euro, oppure viene richiesta una cifra forfettaria. Alcune regioni applicano il sistema dei “ticket” anche per gli infortuni più seri. Dellantonio dice che però circa la metà delle persone recuperate si rifiuta di pagare «anche quando, di fatto, gli hai salvato la vita».

L’articolo è stato aggiornato per chiarire meglio i casi in cui il soccorso è a pagamento.