Cosa non torna nel piano del governo per risolvere il sovraffollamento in carcere
L'idea di aumentare i posti è considerata poco lungimirante e problematica, soprattutto se realizzata con dei container

Dopo averne parlato per quasi tre anni (cioè da quando è in carica il governo) senza nessuna conseguenza concreta, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato un piano con l’obiettivo molto ambizioso di risolvere il più grande ed evidente problema delle carceri italiane: quello del sovraffollamento, da cui derivano molti altri gravi problemi.
È un piano che richiederà del tempo e di cui molte parti sono ancora vaghe, ma i principi su cui si basa e gli obiettivi prefissati sono già ritenuti molto problematici, e ne è stata messa in dubbio l’efficacia da chi si occupa con costanza di carcere: «È una presa in giro», dice per esempio Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, l’associazione che da anni si occupa dei diritti delle persone detenute con un lavoro molto approfondito di ricerca sul campo.
Il piano contiene sostanzialmente tre misure. La prima, la più pubblicizzata dal governo e già da tempo discussa, è quella che prevede di risolvere il sovraffollamento creando più posti per le persone detenute: costruendo nuove carceri o ampliando quelli che esistono già. È quella su cui sono state espresse più perplessità anche perché è quella di cui si sa di più.
Le altre due misure invece vorrebbero introdurre procedure più rapide per concedere la liberazione anticipata a chi ne ha diritto (una possibilità che esiste già) e la possibilità per le persone tossicodipendenti di scontare la pena in strutture alternative. Sono entrambe molto difficili da realizzare per diversi impedimenti, e al momento non se ne sa abbastanza per capire se il governo sia in grado di superarli.
Nelle carceri italiane sono detenute più di 62mila persone, a fronte di una capienza regolamentare di circa 51mila. Molti di questi posti però, circa 4.500, non sono davvero occupabili per manutenzioni in corso o inagibilità delle celle: i posti realmente disponibili sono quindi circa 47mila, oltre 15mila in meno rispetto alle persone detenute.
È sulla base di questi dati che il governo ha basato il suo piano di edilizia penitenziaria, sul quale esiste già da settembre del 2024 un commissario straordinario, Marco Doglio. Lui stesso ha spiegato al Sole 24 Ore che il piano prevede 60 «interventi edilizi» nei prossimi tre anni (quindi idealmente entro il 2028) per aggiungere poco meno di 10mila nuovi posti. Il costo è stimato in 758 milioni di euro. A questi 10mila dovrebbero aggiungersi altri 5mila posti per ampliare le carceri già esistenti in modo da colmare la mancanza di quelli che oggi sono inagibili.
Non è ancora chiaro quanti posti saranno ricavati in carceri di nuova costruzione o nell’ampliamento di quelle già esistenti, perché sia Nordio che Doglio hanno parlato in modo generico di opere di manutenzione, ristrutturazione e costruzione. Si sa però che una parte di questi posti verrà realizzata con “moduli prefabbricati”, delle specie di container, da aggiungere nelle carceri che già ci sono: già lo scorso aprile Doglio aveva annunciato un bando per realizzarli.
È una soluzione molto criticata e tutt’altro che «strutturale» (come è stato definito il piano dal governo) per risolvere il problema del sovraffolamento.
Secondo Gonnella pensare di risolvere il problema del sovraffollamento con dei moduli prefabbricati significa ignorare la funzione stessa della pena carceraria per come è pensata dal nostro ordinamento penitenziario, cioè trascorrere un certo periodo di tempo in un luogo che dia a chi ci sta dentro gli strumenti per poter tornare nella società libera. «I container o i moduli prefabbricati tradiscono un’idea di carcere come puro contenitore di corpi, anziché come un luogo con dentro spazi, attività e luoghi di cura che siano efficaci per il reinserimento delle persone», dice Gonnella.
Alcuni mesi fa l’architetto esperto di edilizia penitenziaria Cesare Burdese, parlando con Repubblica, aveva definito i moduli prefabbricati «poco più che baracche di cantiere. Ovvero, recinti», e aveva segnalato il rischio che tenere i detenuti in strutture del genere avrebbe aumentato «aggressività, violenze e ribellioni». C’è poi il problema di dove verranno messi questi moduli prefabbricati: se finiranno negli spazi aperti delle carceri, che al momento sembra l’unica soluzione possibile, verrà ridotto quello a disposizione dei detenuti per trascorrere del tempo all’aperto, così come gli spazi per altre attività preziose per la rieducazione delle persone condannate prescritta dalla Costituzione.
Altre grosse perplessità riguardano i tempi di questa operazione. Doglio aveva il mandato di costruire nuove carceri già entro il 2025, e non è successo. Ma soprattutto, i detenuti continuano ad aumentare, ed è probabile che continueranno a farlo a un ritmo alto anche a causa dei provvedimenti dello stesso governo Meloni, che da quando è in carica ha introdotto molti nuovi reati, ha aumentato le pene di quelli esistenti e ha introdotto il carcere anche per chi commette reati considerati lievi.
Dal 2023 al 2024 la popolazione carceraria è aumentata di più di 2mila persone: anche se il governo riuscisse davvero ad aggiungere 15mila posti nelle carceri, insomma, quando avrà finito con ogni probabilità si troverà di nuovo con più detenuti di quelli che le strutture possono ospitare, e avrà di nuovo lo stesso problema. Sembra insomma una soluzione poco lungimirante.
La soluzione auspicata da chi si occupa di carceri è più simile a quella contenuta in una proposta di legge presentata quasi un anno e mezzo fa dal deputato di Italia Viva Roberto Giachetti: consiste nell’aumentare gli sconti di pena in modo retroattivo, così che molte persone che hanno già una buona condotta in carcere possano uscire un po’ prima. È stata fortemente osteggiata dalla maggioranza, con l’illustre eccezione del presidente del Senato Ignazio La Russa.
C’è anche una contraddizione tra questo piano e alcune recenti dichiarazioni del ministro Nordio, secondo cui il sovraffollamento delle carceri non influirebbe sull’alto numero di suicidi, ma anzi contribuirebbe a evitarli. Le evidenze dimostrano il contrario, come sostiene da tempo chi studia da vicino i problemi del carcere in Italia: le carceri in cui si sono verificati più tentativi di suicidio sono anche quelle più affollate. Secondo gli ultimi dati dell’associazione Antigone, tra gennaio e marzo del 2025 i suicidi sono stati almeno 33; nel 2024 hanno raggiunto il dato più alto mai registrato in un solo anno, 91.
Un’altra misura del piano riguarda la liberazione anticipata, un istituto giuridico che esiste già nell’ordinamento penitenziario e che prevede, in sintesi, la riduzione di 45 giorni di pena per ogni semestre di pena scontata con una sentenza definitiva. Ci sono diversi requisiti per accedere alla liberazione anticipata, quello che vuole fare il governo ora è snellire le procedure per richiederla, attuando di fatto un decreto-legge del 2024. Nordio ha detto che potenzialmente questa misura riguarda diecimila persone detenute.
Non è chiaro però come il governo intenda risolvere uno dei problemi maggiori che rende difficile l’accesso alla liberazione anticipata, e cioè la cronica mancanza di personale nei tribunali di sorveglianza, di cui è la competenza di questo istituto giuridico. Presentando il piano, lo stesso Nordio ha ricordato che i magistrati di sorveglianza sono «pochi» e sono «sottoposti a un lavoro stressante», e ha aggiunto che il governo sta lavorando per migliorare la situazione.
Anche la possibilità di scontare la pena in strutture esterne al carcere per chi ha dipendenze da sostanze e da alcol non è nuova. Spiega Gonnella: «Sulla carta questo strumento c’era già, ma mancavano gli strumenti per attuarlo: in assenza di altri provvedimenti è improbabile che questa misura permetta realmente a tutte queste persone di uscire dal carcere». In base al nuovo piano possono accedere a questa misura persone che abbiano una pena, anche residua, inferiore agli otto anni (inferiore a quattro se per reati gravi) e rispettino una serie di requisiti. Il governo deve ancora spiegare precisamente come funzionerà l’accesso a questa misura e quali saranno le strutture che ospiteranno i detenuti con dipendenze. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, di Fratelli d’Italia, ha detto alla Stampa che i criteri di ammissibilità delle strutture «saranno definiti in una fase successiva».
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