La Pimpa è sempre stata un po’ psichedelica
Fin dalla prima storia, pubblicata 50 anni fa, ha coinvolto lettori piccoli e grandi in un mondo surreale dove niente è inanimato

Attraverso la finestra della sua camera da letto una cagnolina col manto bianco a pois rossi e con la lingua sempre di fuori parla con la luna e a un certo punto le dà da mangiare, perché la vede trasformarsi da piena a mezzaluna e quindi pensa che abbia fame. La prima storia a fumetti della Pimpa, pubblicata sul Corriere dei Piccoli il 13 luglio 1975, cinquant’anni fa, aveva già tutto quello che serve per spiegarla e raccontarla.
Creata dal disegnatore italiano Francesco Tullio-Altan, da allora la Pimpa è diventata più di un fumetto: uno dei cartoni animati italiani di maggiore successo di sempre, e un personaggio che continua a funzionare su ogni mezzo e non solo tra i bambini, il pubblico per cui era stata pensata inizialmente. Altan l’aveva disegnata per gioco per sua figlia Kika, di due anni: raccontò di essere stato ispirato dal suo modo di vedere personaggi e interlocutori nelle cose, senza fare differenza tra viventi e inanimati.
Il nome lo aveva scelto per caso ripensando a una bambina che conosceva da piccolo, che aveva avuto un’istitutrice tedesca a cui ogni tanto lei faceva il verso dicendo «la pimpa» invece che «la bimba». Armando, l’altro personaggio centrale oltre alla protagonista, compariva anche lui fin dalla prima vignetta. Fa la parte del proprietario della cagnolina, ma incarna di più il ruolo del padre e dell’amico, ed è l’unico essere umano, cioè l’unico per cui parlare è una facoltà normale e prevista.
Per il resto di normale non c’è niente, nelle storie della Pimpa. La struttura ricorrente prevede un incontro iniziale e uno finale tra Pimpa e Armando, e in mezzo un’avventura di lei in giro per il mondo o anche un’esperienza in casa che da comune diventa surreale e assurda. Le cose inanimate sono pochissime e, se lo sono, non lo restano a lungo: il sole parla e gioca con le nuvole a mosca cieca, le sedie hanno gli occhi e sorridono, come anche lo scolapasta, la sveglia, il buio e le foglie. E quasi ogni cosa ha un nome proprio di persona: l’aereo Gigi, la nuvola Teresa, la foglia Olga, la manica a vento Pinuccia.
A fare parlare gli oggetti è la fantasia della Pimpa: uno schema tutto sommato abbastanza comune in molta produzione narrativa e illustrativa per bambini (e non solo) che sviluppa il tema dell’animismo infantile. Ma a differenza di altre strisce e fumetti di successo, in cui la realtà dei bambini coesiste con quella degli adulti (Calvin & Hobbes, per esempio) e questo genera effetti umoristici, nelle storie della Pimpa non esistono altre prospettive a parte la sua. Più che umorismo, le storie suscitano stupore e curiosità per la logica infantile e imprevedibile della protagonista.
La struttura delle storie e lo stile minimale e laconico di Altan (con questo stesso approccio aveva creato nel 1976 il celebre personaggio dell’operaio Cipputi) resero la Pimpa un prodotto facilmente adattabile per la televisione. Già prima della serie di cartoni animati della Pimpa prodotta negli anni Ottanta e diretta da Osvaldo Cavandoli, la Rai aveva trasmesso nel 1979 un cartone animato abbastanza sperimentale con lei protagonista.
La serie di Cavandoli cominciata poi nel 1982, composta da episodi di cinque minuti, era un po’ meno onirica di quel primo cartone, ma manteneva le caratteristiche tipiche di ogni storia della Pimpa. Fu un grande successo, seguito da altre tre serie animate: una negli anni Novanta, diretta da Enzo D’Alò, una nel 2010 e un’altra nel 2015. Il fumetto continuò a essere pubblicato sul Corriere dei Piccoli fino alla chiusura della rivista, nel 1995, ma già dagli anni Ottanta alla Pimpa era dedicato un mensile specifico, pubblicato ancora oggi, da Franco Cosimo Panini Editore.
La Pimpa ha molto successo anche tra le nuove generazioni e sui social, in particolare su Instagram, dove l’account ufficiale pubblica ogni giorno una tavola.
L’editrice e autrice di libri per bambini Giovanna Zoboli scrisse sulla rivista Doppiozero del successo prolungato e trasversale di questo personaggio di Altan, attribuendolo agli scarti logici di cui è capace e al fascino degli esseri umani per ogni forma di antropomorfismo. Come quello dei bambini, scrisse, il pensiero di Pimpa «va in tutt’altro modo da quanto ci si potrebbe aspettare, beffandosi con naturalezza di sicurezze e aspettative».



