Fare le vacanze in un borgo diventato un albergo
In tutta Italia gli “alberghi diffusi” trasformano località piccole e poco note in mete turistiche, e funziona
di Martina Paolucci

Questo e gli altri articoli della sezione Capire il turismo di oggi sono un progetto del workshop di giornalismo 2025 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.
Negli ultimi anni molte piccole città italiane hanno cercato nel turismo una possibile soluzione allo spopolamento, incentivando il recupero di case vuote o diroccate dei centri storici per trasformarle in alberghi. Non hotel tradizionali, con camere tutte in uno stesso grande edificio, ma “alberghi diffusi”, ovvero composti da vari appartamenti distribuiti in più punti. Soprattutto nelle cittadine più piccole, dove abitano poche decine di persone, gli alberghi diffusi hanno un impatto significativo sull’economia che permette almeno in parte di rallentare l’abbandono. Di fatto, anche le piccole frazioni dell’entroterra sono diventate posti in cui passare le vacanze.
In Italia ci sono circa 300 alberghi di questo tipo. Solitamente sono gestiti da imprenditori privati che ristrutturano immobili abbandonati o vuoti per adattarli ad accogliere gli ospiti, anche in collaborazione con le amministrazioni comunali. La metà degli alberghi diffusi, quindi circa 150, è riconosciuta ufficialmente da un’associazione nazionale di settore. Sebbene siano in crescita, gli alberghi diffusi sono comunque una piccola minoranza delle circa 230mila strutture ricettive presenti in Italia.
Uno di questi è la “Casa delle Favole” a Ferriere, in Alta Val Nure. Ferriere è il comune con la superficie più estesa di tutta la provincia di Piacenza – anche più del capoluogo – e ha circa 70 frazioni. La Val Nure è nell’Appennino ligure-emiliano e da anni è soggetta a un progressivo spopolamento: tra il 2001 e il 2023 la popolazione di Ferriere si è praticamente dimezzata e oggi ha oggi poco più di mille residenti. Gli abitanti effettivi sono ancora meno, se si esclude chi vive altrove per studio o per lavoro.
D’estate però la popolazione aumenta notevolmente, grazie a chi si sposta nelle seconde case e chi arriva per turismo. La maggior parte dei turisti è italiana, ma ci sono anche persone straniere, soprattutto francesi, anche perché dalla Val Nure negli ultimi decenni molte persone sono emigrate in Francia e soprattutto d’estate tornano a Ferriere per le vacanze.
La “Casa delle Favole” è a 3 chilometri da Ferriere, in Località Perotti, ed è composta da otto case indipendenti, tutte nel borgo a breve distanza l’una dall’altra. Fino ai primi anni Duemila erano case disabitate e diroccate, poi Giampaolo e Alessandro Mainardi (padre e figlio), da sempre residenti nella zona, le hanno ristrutturate. L’attività è partita nel 2011: «Nel borgo all’epoca dell’apertura abitavano circa quattro o cinque persone» dice Alessandro Mainardi, che oggi gestisce l’albergo diffuso.
Gli abitanti non sono aumentati di molto, ma da quando ha aperto la “Casa delle Favole” arrivano più turisti, soprattutto in alcuni periodi dell’anno. La stagione turistica in Val Nure va da aprile a ottobre e durante le settimane estive le case dell’albergo diffuso sono sempre piene, tanto che se a luglio si prova a prenotare un soggiorno per agosto è difficile trovare posto.
I visitatori che frequentano gli alberghi diffusi, a Ferriere e altrove, sono riconducibili a un tipo di turismo “lento”: soprattutto famiglie e anziani che nei periodi festivi si allontanano dalla città e che si fermano nei borghi anche per intere settimane. Ci sono anche coppie giovani, «che vengono a conoscere il territorio o che si fermano qui come punto di appoggio» per visitare la Val Nure, dice Mainardi.
Da anni l’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi (ADI) autoregolamenta il settore. Non è un ente governativo: non raggruppa tutti gli alberghi diffusi presenti in Italia ma solo quelli che fanno domanda per iscriversi, che vengono valutati in base a una serie di criteri: il più importante è che si trovino in un centro storico. Un altro è che la distanza tra le case che compongono l’albergo diffuso non superi i 300 metri dalla sede centrale, per poter garantire a tutti gli ospiti i servizi alberghieri essenziali, per esempio la colazione.
Secondo l’idea del fondatore dell’associazione, Giancarlo Dall’Ara, l’albergo diffuso dovrebbe mantenere un forte legame con il territorio, recuperando gli immobili già esistenti e abbandonati invece di costruirne di nuovi. «All’inizio dire di usare le case che erano state scartate dai proprietari perché considerate non più adeguate veniva visto male, invece noi proprio perché erano degli scarti li volevamo riutilizzare», dice.
Non a caso Dall’Ara ha iniziato a pensare al modello dell’albergo diffuso quando visitò la Carnia, regione montana del Friuli-Venezia Giulia, pochi anni dopo il terremoto del 1976. Lì vide molte case danneggiate dal terremoto, ristrutturate ma poi rimaste vuote, dato che intanto i proprietari si erano trasferiti altrove: pensò che avrebbero potuto essere usate a fini turistici. Nel 2006 Dall’Ara decise di fondare l’associazione per mettere insieme circa 15 imprenditori che gestivano alberghi diffusi.
Ai 150 alberghi diffusi riconosciuti dall’ADI se ne aggiungono quasi altrettanti che rispettano soltanto in parte i criteri: forniscono un modello di ospitalità diffusa, ma magari si trovano in grandi città, la distanza tra un appartamento e l’altro è di chilometri, oppure sono strutture che hanno perso il legame con il borgo e con la comunità che lo abita.
La maggior parte degli alberghi riconosciuti dall’associazione si trova nelle aree interne o in zone relativamente poco turistiche, spesso montane o difficilmente raggiungibili. L’Istat considera come “aree interne” i piccoli comuni dove anche i servizi essenziali non sono sempre garantiti. In queste aree lo spopolamento va avanti da decenni, per via delle migrazioni verso le città e del progressivo invecchiamento della popolazione. Tra il 2014 e il 2024 la popolazione residente nelle “aree interne” è calata del 5 per cento.
Alcuni alberghi diffusi sono stati aperti in borghi che erano quasi del tutto disabitati, anche per cercare di creare dei posti di lavoro e rilanciare l’economia locale: in questi casi si parla proprio di “paese albergo”, dato che le attività ricettive coinvolgono e influenzano tutti gli aspetti della vita nel borgo. «È un modello che non offre servizi da “fabbrica del turismo”» dice Dall’Ara. «Non fanno il marketing tradizionale per cui tutta l’estate organizzano eventi per attrarre gente».
La prima regione italiana a riconoscere formalmente l’albergo diffuso è stata la Sardegna, con una legge regionale del 1998. Uno tra i primi ad aprire, quattro anni dopo, è stata la “Antica Dimora del Gruccione”. Si trova a Santu Lussurgiu, un comune con poco più di 2mila abitanti nella provincia di Oristano e nella regione storica del Montiferru, in una valle a circa 30 chilometri dal mare.
«Rispetto ad altri paesi dell’entroterra soffre un po’ meno dello spopolamento», dice Lucilla Speciale, che gestisce l’albergo diffuso, formato da tre case con 15 camere complessive. La sede principale è una casa del Settecento che appartiene alla loro famiglia da generazioni. Speciale è nata a Milano, dove viveva e lavorava la madre, ma entrambe sono originarie della Sardegna. Negli anni Novante le due decisero di tornare lì e recuperare la vecchia casa di famiglia per aprire un’attività turistica, grazie anche ai finanziamenti della regione e dell’Unione Europea.
«Durante la primavera e l’autunno c’è moltissimo turismo “attivo”, quindi molti stranieri che girano la Sardegna in bicicletta, o che fanno trekking, o altri sportivi», dice Speciale. «Poi abbiamo una base importante di ospiti locali, che arrivano dalle città per il fine settimana. D’estate abbiamo gli ospiti più “tradizionali” della Sardegna, che si muovono per vedere le spiagge ma che vengono a stare da noi», nell’entroterra.
In Sardegna ci sono sette alberghi diffusi riconosciuti dall’ADI, di cui cinque nella provincia di Oristano, la meno popolata della regione.