Le chitarre che piacciono a Jack White

Vecchie, sgargianti, scassate, economiche, sconosciute, con microfoni e theremin incorporati: in questi 50 anni ne ha spremute tante

Jack White in concerto nel 2024 a Detroit (Aaron J. Thornton/Getty Images)
Jack White in concerto nel 2024 a Detroit (Aaron J. Thornton/Getty Images)
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Nel 2008, quando era ancora lontano dai cinquant’anni che compie oggi, il musicista statunitense Jack White incaricò Randy Parsons, celebre liutaio famoso per le sue collaborazioni con gente come Jimmy Page, Peter Frampton e Sammy Hagar, di apportare una serie di modifiche a una chitarra. Era una Anniversary Jr, uno dei modelli meno famosi prodotti dall’azienda americana Gretsch. White non era nuovo a quel tipo di richieste: nei primi anni Duemila si era fatto conoscere per la sua propensione a utilizzare chitarre a buon mercato, dall’aspetto improbabile e dalla struttura pesantemente modificata.

In quell’occasione, però, White esagerò più del solito. Chiese a Parsons degli interventi piuttosto eccentrici: tra questi, l’aggiunta di un theremin ottico (uno strumento elettronico che genera suoni quando ci si avvicina con la mano, senza bisogno di toccarlo), un piccolo amplificatore incorporato e soprattutto un microfono estraibile simile a quelli usati dagli armonicisti, che serviva a produrre suoni vocali distorti e graffianti direttamente dallo strumento.

La Triple Green Machine di Jack White (Jack White Art and Design)

Quella chitarra, chiamata “Triple Green Machine”, è diventata nel tempo una delle più rappresentative di White, che in più di venticinque anni di attività ne ha cambiate tantissime, da quando suonava nei White Stripes, il famosissimo duo che aveva con Meg White e che diventò molto famoso negli anni Duemila, e poi nella sua carriera solista, oltre che con altre band come i Raconteurs e i Dead Weather. White è infatti notoriamente un feticista delle chitarre, che suona con uno stile grezzo e viscerale, nonché un collezionista piuttosto ossessivo di amplificatori, pedali e modelli d’epoca. Le chitarre che utilizza sono così tante che, per tenere il passo, i fan hanno aperto un sito dedicato alla sua sconfinata collezione.

Jack White utilizzava il microfono distorto della sua Triple Green Machine suonando “Blue Veins” con i Raconteurs.

Nella prima parte della sua carriera, le chitarre di White erano accomunate da alcune caratteristiche: spesso erano economiche, appariscenti al limite del kitsch e prodotte da marchi poco blasonati. Lui stesso le definiva «chitarre da banco dei pegni». Questo perché, quando cominciò a guadagnarsi da vivere come musicista, non poteva permettersi modelli  troppo costosi, e di conseguenza passava le giornate a scandagliare mercatini e fiere dell’usato alla ricerca di buoni affari. Era raro vederlo sul palco con una Gibson o una Fender, insomma.

Al di là dei motivi più strettamente economici, la predilezione per questi modelli rispondeva anche a un’esigenza artistica: White ha detto in più occasioni che, dal suo punto di vista, suonare strumenti scomodi, costruiti con materiali di recupero e assemblati approssimativamente, è un modo per stimolare la creatività e ottenere suoni più potenti, ruvidi e riconoscibili.

Per esempio, il riff più famoso dell’intera carriera di White — il celebre “po-po-po-po-po-po-po” di “Seven Nation Army” dal disco Elephant (2003) dei White Stripes — fu composto con una chitarra semisconosciuta prodotta da Valco, un’azienda di Chicago. Si trattava di un’Airline rossa, dalla forma squadrata e insolita, costruita nel 1964 e realizzata in Res-O-Glas, una plastica rinforzata con fibra di vetro usata per ottenere corpi cavi leggeri, economici e resistenti.

Fino ai primi anni Duemila, nessun musicista di rilievo si era mai esibito con un’Airline, anche perché Valco aveva interrotto la produzione del modello nel 1968. Quando White cominciò a usarla regolarmente sul palco con i White Stripes, il modello ottenne però un inatteso momento di popolarità, tanto che l’azienda canadese Eastwood Guitars rilevò il marchio e ne riprese la produzione. Oggi sono ancora in commercio, anche se vengono realizzate in legno anziché in Res-O-Glas.

Jack White nel 2007, con un’Airline (Stephen Lovekin/WireImage)

Oltre alla Airline, durante la sua esperienza con i White Stripes usò spessissimo un modello semiacustico degli anni Cinquanta: una Kay K6533 Value Leader, che suonava principalmente utilizzando lo slide (il cilindro che viene fatto scivolare sulle corde mentre vengono pizzicate, per ottenere suoni particolari), proprio come in “Death Letter”.

Jack White suona la Kay K6533 Value Leader al Primavera Sound del 2007 (Wikimedia Commons)

Sempre nei primi anni con i White Stripes, White suonò anche un’altra semiacustica: la Crestwood Astral II, un modello giapponese degli anni Settanta prodotto per il mercato americano. È la chitarra che usò per costruire i riff dei primi successi dei White Stripes, come “Let’s Build a Home” e “I Fought Piranhas”.

Jack White suona la Crestwood Astral II durante un concerto nel 2007 (Gene Shaw/Getty)

Dal 2007, dopo aver lasciato i White Stripes, White ha utilizzato soprattutto chitarre Gretsch d’annata, come la White Penguin Jupiter Thunderbird e per l’appunto la “Triple Green Machine”, spesso facendole ritoccare da Parsons.

Jack White in concerto a Detroit, nel 2024 (Scott Legato/Getty Images)

Negli ultimi dieci anni i gusti di White in fatto di chitarre sono cambiati: oggi utilizza soprattutto modelli Fender, di cui è anche un endorser. Le sue preferite sono la Telecaster e la Jazzmaster, sempre modificate rispetto agli standard di fabbrica per adattarle al suo stile.

Uno dei modelli più riconoscibili è la “Three Wheel Motion”, una Telecaster metallizzata dotata di un interruttore che consente di passare immediatamente all’accordatura in Drop D (ossia per abbassare di un tono la sesta corda, portandola da mi a re) e di un kill switch, un pulsante che interrompe istantaneamente il segnale audio.

White nacque come John Anthony Gillis a Detroit il 9 luglio del 1975. Cominciò a farsi strada nel mondo della musica nel 1997, quando fondò i White Stripes insieme alla compagna Meg White, da cui prese il cognome. Il fascino e l’estetica particolare contribuirono al loro enorme successo, ma i White Stripes diventarono una delle band più importanti del primo decennio dei Duemila principalmente perché proposero un rock che era allo stesso tempo duro e puro, ispirato al blues americano e all’hard rock inglese degli anni Sessanta e Settanta, ma anche originale e nuovo, grazie a un grande lavoro di ricerca sui suoni.

Con dischi come White Blood Cells (2001) e soprattutto Elephant entrarono nelle classifiche americane e guadagnarono la stima e l’ammirazione degli intenditori di rock, blues, grunge, e dei molti altri generi che integrarono nella loro produzione. Molte delle loro canzoni di maggior successo, come “The Hardest Button to Button” o “Fell in Love with a Girl” e la stessa “Seven Nation Army”, erano caratterizzate proprio dai riff distorti di White e dall’eccentricità dei suoi assoli, pieni di note sbagliate e fraseggi raffazzonati, ma proprio per questo unici ed efficaci.

I White Stripes si sciolsero nel 2011, quando White era già diventato uno dei chitarristi più rispettati del rock contemporaneo: da allora si è dedicato soprattutto alla carriera solista, pubblicando album molto apprezzati dalla critica, e ai progetti Raconteurs e Dead Weather.

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