La Scala contro ciabatte e canottiere

Ultimamente il teatro sta insistendo sul “dress code”, per via di turisti un po' troppo disinvolti

(AP Photo/Luca Bruno)
(AP Photo/Luca Bruno)
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Da qualche giorno all’ingresso del Teatro alla Scala di Milano sono stati messi dei cartelli in cui si vieta esplicitamente l’ingresso a chi indossa canottiere, infradito o pantaloncini corti. Le stesse indicazioni sono state inoltre rese più esplicite sui biglietti d’ingresso agli spettacoli: chi si presenta vestito così non solo non può entrare, ma non potrà ottenere un rimborso del biglietto nel caso in cui l’abbia già comprato. Verrà inoltre accompagnato all’esterno dalla maschera del teatro, cioè dalla persona che accoglie spettatori e spettatrici e li accompagna ai propri posti.

Sia i cartelli all’ingresso che le indicazioni sui biglietti, così come sul sito del teatro, ribadiscono regole già in vigore dal 2015 sul cosiddetto dress code per entrare al Teatro alla Scala: cioè sull’insieme di regole che indicano quale tipo di abbigliamento è ritenuto appropriato per un determinato luogo o occasione. Pur essendo formalmente in vigore, negli ultimi anni queste regole non erano state rispettate con regolarità.

Come ogni anno anche quest’estate è capitato che molti turisti si presentassero in teatro in pantaloncini, canottiere o ciabatte infradito: la nuova direzione, di Fortunato Ortombina, ha quindi deciso di esplicitare le regole su come ci si deve vestire per entrare.

Regole di questo tipo esistono in moltissimi teatri al mondo, in alcuni casi anche molto più severe di quelle della Scala, che è uno dei teatri più noti e prestigiosi al mondo ma che da anni aveva un buon margine di tolleranza. Alla Scala si può andare in maglietta e scarpe da ginnastica, per capirci: altri teatri prevedono l’obbligo di indossare completi per gli uomini e abiti lunghi per le donne.

Il Teatro ha fatto sapere che il divieto di indossare ciabatte, canottiere e pantaloncini non è legato solo a questioni di immagine e decoro, ma ha anche ragioni molto concrete: «Soprattutto in galleria i posti sono molto vicini: può essere sgradevole per chi assiste a uno spettacolo di tre o quattro ore, per cui ha pagato magari un centinaio di euro, stare tutto il tempo a contatto con la pelle nuda di un corpo sudato», spiega un portavoce del Teatro, secondo cui le indicazioni esplicitate dal Teatro non sono tanto regole, «ma accorgimenti per non darsi reciprocamente fastidio».

Le regole sull’abbigliamento ribadite dal Teatro alla Scala erano state introdotte in occasione dell’EXPO del 2015, l’esposizione universale per cui erano attesi a Milano grossi flussi di turisti, quando il sovrintendente e direttore artistico del teatro era Alexander Pereira. Fino a quel momento alla Scala erano in vigore regole più rigide sull’abbigliamento, che Pereira fece abolire mantenendo in vigore solo il divieto di andare agli spettacoli in ciabatte infradito, canottiere e pantaloncini corti.

Negli ultimi anni, con la direzione artistica del francese Dominique Meyer, il margine di tolleranza si era ulteriormente ampliato, coerentemente con lo stile con cui aveva voluto dirigere il teatro: Meyer aveva sempre sostenuto di voler accogliere in teatro chiunque, indipendentemente dall’abbigliamento o dalla provenienza sociale, per rendere la Scala un luogo aperto.

Le cose sono cambiate con il nuovo sovrintendente e direttore artistico del Teatro alla Scala, Ortombina, in carica da febbraio e prima sovrintendente del Teatro La Fenice di Venezia, altra città in cui la pressione turistica è molto forte e ritenuta insostenibile da chi ci vive.

Il divieto di indossare canottiere, ciabatte infradito e pantaloncini prevede comunque eccezioni: per esempio nel caso di bluse o abiti senza maniche, o di casi in cui le ciabatte infradito siano le calzature tradizionali giapponesi.